Se all’esito dell’esame esterno della firma di traenza è evidente la non corrispondenza della conformità documentale di essa allo specimen della firma depositato presso la banca dal correntista, l’istituto di credito non può limitarsi a dichiarare il rifiuto del pagamento dell’assegno perché è stato denunciato come rubato, ma ha altresì l’obbligo di precisare chiaramente al pubblico ufficiale – incaricato del protesto – che il titolare del conto corrente è un soggetto diverso da quello il cui nome figura nella sottoscrizione dell’assegno.
Questo il principio espresso dalla Cassazione, con la pronuncia numero 8787/2012 depositata il 31 maggio, unitamente ad ulteriori ed importanti precisazioni in tema di illegittimità del protesto e responsabilità civile della Banca e del pubblico ufficiale – in questo caso, il notaio – incaricato di segnalare il protesto. I fatti di causa carnet rubato e firme apocrife. La vicenda in esame prende origine dallo smarrimento di un carnet di assegni dal quale ne vengono sottratti alcuni, illegittimamente riempiti e successivamente protestati. La peculiarità della caso risiede nel fatto che le firme sugli stessi erano aprocrife ma, comunque, riconducibili a determinati soggetti, diversi dai titolari del conto corrente sul quale gli assegni erano stati tratti e peraltro facilmente individuabili attesa la leggibilità delle firme. I titolari del conto corrente pertanto, visti i numerosi danni subiti in forza di tali protesti – revoche di affidamenti e mancata conclusione di alcune importanti operazioni di finanziamento –, hanno citato in giudizio la banca trattaria, contestando la legittimità del suo operato. La domanda viene rigettata in primo grado e, considerato l’esito negativo anche del giudizio di secondo, viene proposto ricorso per Cassazione per denunciare l’illegittima condotta della Banca e chiedere il risarcimento dei danni sopra denunciati. Banca e pubblico ufficiale attenzione prima del protesto! Nel caso in esame, come già precisato dalla giurisprudenza di legittimità, il pubblico ufficiale nella specie, notaio incaricato del protesto dalla banca trattaria che rifiuta il pagamento dell’assegno in quanto, come nella specie, denunciato come rubato è corresponsabile, in concorso e in via solidale, con l’istituto bancario nella realizzazione del protesto illegittimo, ove abbia omesso, anche per colpa lieve, la vigilanza sulla corrispondenza tra la firma di traenza dell’assegno e l’identità del correntista, nel caso in cui detta corrispondenza sia all’evidenza assente. Infatti, al medesimo pubblico ufficiale, nell’adempimento dei suoi obblighi di status, incombe personalmente di redigere la compilazione dell’atto con perizia e diligenza tali da non danneggiare un soggetto all’apparenza estraneo all’emissione dell’assegno, con la conseguenza che la violazione di siffatti obblighi comporta il risarcimento danni che ne siano derivati. Risarcimento del danno come e perché. Le illegittime condotte della banca e del pubblico ufficiale possono costituire, a carico dei nominativi erroneamente protestati, una rilevante fonte di pregiudizio nella vicenda in esame, si è concretizzato nella revoca di importanti affidamenti già concessi e nella mancata concessione di ulteriori finanziamenti per l’attuazione di significativi progetti. In particolare, secondo i Giudici di Piazza Cavour, la condotta dell’istituto di credito, come evidenziata in precedenza, si è concretizzata nel fatto della ingiusta pubblicazione dei nominativi dei correntisti sul bollettino dei protesti – ai sensi della l. numero 77/1955 - anziché degli effettivi, quanto abusivi, sottoscrittori degli assegni. La responsabilità della Banca deve considerarsi unitamente a quella del pubblico ufficiale – ormai, generalmente, un notaio – che si occupa della levata del protesto, posto che sussiste la sua responsabilità per concorso nel causare il protesto illegittimo se omette di vigilare, anche per colpa lieve, sulla corrispondenza tra la firma di traenza e il nome del titolare del conto corrente. In particolare il risarcimento alla sfera della persona. Nel caso di protesto illegittimamente levato, è consolidato un orientamento giurisprudenziale che riconosce l’ammissibilità del risarcimento del danno anche sotto il profilo della lesione dell’onore e della reputazione al protestato come persona, a prescindere dai suoi interessi imprenditoriali. In tal senso sono numerosi i precedenti che possono riscontrarsi in giurisprudenza a titolo di esempio, si è osservato che nel caso di illegittimo protesto di una cambiale presentata a un istituto diverso da quello indicato dalla debitrice come banca di appoggio sussiste il danno da lesione dell’immagine sociale della persona che si vede ingiustamente inserita nel cartello dei cittadini insolventi. È quindi contraddittorio ed erroneo, dopo aver affermato la responsabilità per il protesto, negare la liquidazione equitativa del danno da lesione dell’immagine sociale e professionale, la quale di per sé costituisce danno reale che deve essere risarcito sia a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento che di responsabilità extracontrattuale, in modo satisfattivo ed equitativo se la peculiare figura del danno lo richiede. Analogamente, la Cassazione ha precisato che il protesto cambiario, conferendo pubblicità ipso facto all’insolvenza del debitore, non è destinato ad assumere rilevanza solo in un’ottica commerciale-imprenditoriale, ma si risolve in una più complessa vicenda, di indubitabile discredito, tanto personale quanto patrimoniale. Ove venga sollevato illegittimamente e senza una conseguente, efficace rettifica, deve ritenersi idoneo a provocare un danno patrimoniale anche sotto il profilo della lesione dell’onore e della reputazione del protestato come persona a prescindere dai suoi eventuali interessi commerciali il danno, da ritenersi in re ipsa, andrà senz’altro risarcito, non incombendo sul danneggiato l’onere di fornire la prova della sua esistenza.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 24 aprile – 31 maggio 2012, numero 8787 Presidente Fioretti – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 10 marzo 2000, S.E. , S.S. e Se.El. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Viterbo la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito del protesto di quattro assegni tratti sul conto corrente numero xxxxxxxx, ad essi cointestato presso la filiale di Viterbo della predetta banca, facenti parte di un libretto di cui era stato denunciato lo smarrimento in data 28-2-1997, e dunque illecitamente utilizzati da ignoti. Gli attori deducevano la erroneità dei protesti, elevati nei loro confronti nel periodo tra il 10-3-1999 ed il 23-4-1999, nei quali si dichiarava che l’assegno era stato smarrito e la firma di traenza era apocrifa, sostenendo che i protesti avrebbero dovuto essere elevati nei confronti dei soggetti che avevano firmato i titoli risultando la loro firma leggibile lamentavano, quindi, di avere subito gravissimi danni a seguito dei detti protesti, e, in particolare che la Carivit. S.p.a. aveva revocato il fido a S.E. che per rientrare aveva dovuto subito versare lire 100.000.000 l'interruzione della trattativa avviata per l'instaurazione di un rapporto con la Creberg SIM finalizzato ad un affidamento di lire 200.000.000 presso il Credito Bergamasco il mancato finanziamento per l'acquisto di una autobetoniera da G.B. la mancata partecipazione ad una associazione temporanea di impresa con la ottenere dilazioni di pagamento. Si costituiva la banca convenuta assumendo la correttezza del protesti dei titoli smarriti e ricordando che i correntisti non avevano custodito i moduli con la dovuta diligenza, come prescritto dall’articolo 3 delle condizioni generali di conto corrente, e chiedendo pertanto il rigetto della domanda. Acquisita la documentazione prodotta, disposta l'esibizione dei titoli protestati e respinte le altre istanze istruttorie, con sentenza del 13 ottobre 2003, il Tribunale di Viterbo rigettava la domanda degli attori e compensava le spese processuali. Avverso detta sentenza proponevano appello i S. con atto notificato alla Banca Monte dei Paschi di Siena il 30 gennaio 2004. Si costituiva la banca appellata chiedendo il rigetto dell'appello. La Corte d'appello di Roma, con sentenza 730/10, rigettava l'appello. Avverso la detta sentenza ricorrono per cassazione i S. sulla base di tre motivi illustrati con memoria. Il Monte dei paschi non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti, deducendo una erronea interpretazione della giurisprudenza di questa Corte da parte del giudice di seconde cure, assumono che la responsabilità della banca trattaria non poteva essere esclusa per addebitare la stessa esclusivamente al pubblico ufficiale che aveva elevato il protesto. Con il secondo motivo lamentano la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del notaio che aveva elevato il protesto in quanto litisconsorte necessario. Con il terzo motivo lamentano la mancata ammissione della prova testimoniale. Il primo motivo è fondato. La Corte d'appello ha invero correttamente riconosciuto in conformità ai principi affermati da questa Corte Cass. 16617/10 che il protesto dei titoli doveva essere elevato nei confronti dei firmatari degli stessi che avevano illecitamente acquisito il carnet d'assegni, posto che le firme degli stessi risultavano leggibili,e non già nei confronti dei ricorrenti, titolari del conto. Ha peraltro escluso la responsabilità della banca ritenendo che l'unico responsabile dovesse ritenersi il notaio che aveva elevato il protesto. Tale assunto è erroneo. Nel caso di specie in cui le firme apposte sugli assegni non risultano apocrife, ma indicano nomi diversi da quelli dei titolari del conto, questa Corte ha già avuto modo di affermare che se all'esito dell'esame esterno della firma di traenza è evidente la non corrispondenza della conformità documentale di essa allo specimen della firma depositato presso la banca dal correntista, l'istituto di credito non può limitarsi a dichiarare che rifiuta il pagamento dell'assegno L. numero 349 del 1973, articolo 63, comma 1, numero 4 e articolo 1 perché è stato denunciato come rubato, ma ha l'obbligo di precisare chiaramente al pubblico ufficiale incaricato del protesto che il titolare del conto corrente è un soggetto diverso da quello il cui nome figura nella sottoscrizione dell'assegno ovvero che a nome di quest'ultimo nessun conto di traenza esiste presso di essa Cass. 6006/2003 , e che tra il titolare del conto ed il traente non vi è nessun rapporto negoziale o legale, opponibile alla banca, che legittimi quest' ultimo ad obbligarsi in nome e per conto di quegli R.D. 21 dicembre 1933, numero 1736, arti. 6 e 15 Cass. 18910/2004 . Diversamente il comportamento dell'istituto costituisce causa del fatto ingiusto della pubblicazione del nome del correntista sul bollettino dei protesti L. numero 77 del 1955, articolo 2 , con l'ulteriore conseguenza di aver fatto conoscere a chiunque le esatte generalità del cliente con cui intrattiene il conto, non essendo sufficiente a tutelarlo dal discredito sociale ed economico la collocazione in apposita categoria, con conseguente responsabilità, anche contrattuale, di tutti i danni che ne derivano Cass. 2936/1974, 18316/2 007 . Quanto poi al pubblico ufficiale, sussiste la sua corresponsabilità per concorso nel causare il protesto illegittimo se ha omesso di vigilare, anche per colpa lieve Cass. 2821/1971 , sulla corrispondenza tra la firma di traenza e il nome del titolare del conto corrente, poiché nell'adempimento dei suoi obblighi di status a lui personalmente incombe dirigere la compilazione dell'atto - L. numero 89 del 1913, articolo 47 - con perizia e diligenza professionale per non danneggiare un soggetto apparentemente estraneo all'emissione dell'assegno Cass. 16617/10 . Pertanto sia l'azienda di credito, sia il notaio, sono responsabili, in solido tra loro Cass. 11103/1998 dei danni che possono essere derivati dall'erronea elevazione del protesto. Il motivo va quindi accolto. Il secondo motivo è invece infondato. Invero nel caso di specie di verte in tema di responsabilità solidale per concorso nel fatto illecito e la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che in tema di obbligazione solidale passiva, poiché fra i debitori non sorge un rapporto unico ed inscindibile, non ricorre l'ipotesi del litisconsorzio necessario per cui non è necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti di quelli non chiamati in giudizio ex plurimis Cass. 14700/10 Cass. 24425/06 Cass. 379/05 Cass. 2590/62 . Nel caso di specie nessuna integrazione del contraddittorio nei confronti del notaio doveva essere disposta. Quanto al terzo motivo,va premesso che la sentenza impugnata contiene una duplice ratio decidendi. Dopo avere,infatti, escluso la responsabilità della banca trattarla questione esaminata con il primo motivo di ricorso ha poi affermato che in ogni caso,i ricorrenti non avevano fornito la prova di aver subito danno dagli erronei protesti. In relazione a tale affermazione i ricorrenti si dolgono della mancata ammissione delle prove richieste. La doglianza risulta fondata. Invero i capitoli di prova il cui testo è integralmente riportato nel ricorso appaiono rilevanti in quanto volti a dimostrare l'esistenza del pregiudizio subito per effetto dell'erronea elevazione dei protesti. Gli stessi collegati con missive già prodotte in atti di cui si chiede sostanzialmente la conferma vertono infatti su mancate concessioni di linee di credito da parte di banche, mancati finanziamenti,mancato accordo sulla costituzione di un ATI, rifiuto da parte di operatori commerciali di effettuare vendite di materiali etc In tal senso la motivazione fornita dalla Corte d'appello per definire le prove testimoniali scarsamente concludenti ai fini del decidere non appare adeguata. Si sostiene,in particolare, da parte della sentenza che non risultava rilevante che nei capitoli venisse specificato che gli odierni ricorrenti avevano rappresentato ai potenziali contraenti che si trattava di assegni rubati riempiti e sottoscritti da terzi poiché non risultava che alle missive dei terzi, in relazione alle quali si chiedeva la prova per testi, gli odierni ricorrenti avessero risposto per iscritto e poiché non risultava che essi avessero sollecitato la banca affinché si attivasse presso i terzi in questione per chiarire le ragioni dei protesti. Tali circostanze invero si riferiscono ad attività dei ricorrenti che sarebbero state volte ad eliminare o ridurre gli effetti negativi dei protesti ma non rilevano in alcun modo ai fini della dimostrazione o della esclusione della esistenza di danni derivanti dai protesti che si sarebbero comunque già in precedenza prodotti. Va inoltre soggiunto che, in relazione alla richiesta di danni non patrimoniali, questa Corte ha già avuto modo di affermare in altre occasioni, che il protesto ove illegittimamente sollevato, deve ritenersi del tutto idoneo a provocare un danno anche sotto il profilo della lesione dell'onore e della reputazione al protestato come persona, al di là ed a prescindere dai suoi interessi commerciali. Ne consegue che, qualora l'illegittimo protesto venga riconosciuto lesivo di diritti della persona, come quello alla reputazione, il danno, da ritenersi in re ipsa , andrà senz1 altro risarcito senza che incomba, sul danneggiato, l'onere di fornire la prova della sua esistenza. Cass. 18316/07 . Ovviamente nella diversa ipotesi ricorrente anche nel caso di specie in cui sia dedotta specificamente una lesione della reputazione commerciale per effetto dell1 illegittimità del protesto, quest'ultima costituirà semplice indizio dell'esistenza di un danno alla reputazione, da valutare nel contesto di tutti gli altri elementi della situazione cui inerisce Cass. 5 novembre 1998, numero 11103 Cass. 18316/07 . Il ricorso va, pertanto, accolto nei termini di cui in motivazione. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata con rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione che si atterrà nel decidere ai principi di diritto dianzi enunciati e che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. Accoglie il primo ed il terzo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.