Risponde di appropriazione indebita e non di truffa il promotore finanziario che si appropria di fondi forniti dall’investitore distraendoli dalla destinazione originaria cui essi erano assegnati.
Inoltre, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 12982 depositata il 21 marzo scorso, afferma che la ricognizione di debito resa dal promotore finanziario in epoca successiva all’affidamento dei fondi da parte dell’investitore non è sufficiente ad escludere la presenza dell’elemento soggettivo necessario ad integrare la fattispecie criminosa contestata. Il caso. Un promotore finanziario si faceva consegnare da una cliente, cieca dalla nascita, ingenti quantitativi di danaro che investiva, pro quota regolarmente in fondi e per gran parte invece destinava ad un conto corrente intestato alla propria convivente dai quali «avrebbero dovuto transitare in investimenti obbligazionari accessibili ai soli promotori». Dopo varie richieste di restituzione formulate al promotore dall’investitrice questi procedeva ad una restituzione di una parte assai modesta della somma investita e a sottoscrivere riconoscimento di debito con il quale si impegnava a procedere alla restituzione della somma stessa. Qualificata la fattispecie quale truffa la Procura procedente mandava a giudizio l’imputato. I Giudici di prime e seconde cure qualificavano giuridicamente il fatto quale appropriazione indebita. Condannavano l’imputato negando lui l’applicazione e dell’attenuanti generiche e dell’attenuante del risarcimento del danno. Avverso la pronuncia resa dal Giudice dell’appello proponeva ricorso l’imputato, deducendo errata interpretazione di legge in relazione al disposto dell’articolo 606 c.p. e 1814 c.c., mancanza manifesta o illogica motivazione in punto, violazione di legge in relazione violazione di legge in relazione all’applicazione dell’articolo 646 c.p. posta l’esistenza di riconoscimento del debito resa dall’imputato, violazione di legge in relazione all’articolo 124 c.p., violazione di legge in relazione all’applicazione dell’articolo 62 bis e 62 del c.p. La Corte dichiarava in parte infondato ed in parte inammissibile il ricorso. Ingenti somme di denaro investite. La Corte ricostruisce, ai fini di fornire risposta ai primi quesiti formulati nel ricorso, la vicenda in termini fattuali con un rapido ripercorrerne i punti salienti. Emerge pacificamente come l’investitrice, convinta del vantaggio prospettatogli dall’imputato nell’investire attraverso l’utilizzo del «fondo speciale per i promotori», procedeva al versamento di ingenti somme di danaro ai fini di estinguere anticipatamente il mutuo che ella aveva richiesto, su consiglio del promotore, in misura superiore alle reali necessità di ristrutturazione del proprio immobile proprio per liberare disponibilità finalizzate a procedere nei vantaggiosi investimenti prospettati. Quando la persona offesa, non riuscendo più a far fronte alle rate di rimborso del mutuo, si risolse a richiedere al promotore la restituzione della somma investita, egli, dapprima fece promesse ampiamente deluse e, successivamente, diede corso ad una restituzione di una piccola parte della somma investita e, ancora, a rilasciare un riconoscimento di debito con il quale si impegnava alla restituzione di quanto consegnato. Deluse anche le promesse contenute nel riconoscimento di debito la persona offesa proponeva querela. La Corte ritiene applicabile al caso di specie il disposto dell’articolo 646 c.p. posto che risulta pacifica la immissione nella disponibilità dell’imputato delle somme lui consegnate dalla persona offesa e, altrettanto indiscussa, la destinazione incompatibile delle stesse rispetto al «titolo ed alle ragioni che ne avevano giustificato il possesso». Chiara e condivisibile ricostruzione della fattispecie. Il valore del riconoscimento di debito. Appare altresì condivisibile la ricostruzione prospettata dalla Corte in relazione all’elemento psicologico dell’autore del reato che non può essere sconfessato da un’azione posta in essere ex post rispetto al fatto reato contestato. Ci si riferisce alla redazione del riconoscimento di debito che l’imputato ha effettuato e consegnato alla persona offesa ma che, necessariamente ha avuto riguardo ad un momento successivo alla commissione del fatto e che, per vero, non ha dato vita ad alcuna concreta attività restitutoria posto che le somme restituite in seguito alla formazione del documento de quo sono state davvero esigue. Dunque credo corretto che al documento di cui si discute non sia stata riconosciuta alcuna efficacia scriminate in termini di capacità di intervento sull’elemento psicologico, già perfetto e formato al momento della commissione del fatto reato, e, anche, che esso non abbia avuto alcuna efficacia in relazione ad una possibile sua funzione in chiave di «ravvedimento operoso». Il tenore del documento infatti non ha avuto alcuna concreta attuazione ed anzi, attraverso il medesimo, l’imputato può dirsi abbia cercato di «prolungare» l’attesa della persona offesa e delle conseguenze della propria condotta. Nessuna attenuante. La Corte in punto non fa altro che ribadire tesi note e condivise. Tesi che si fondano sulla necessaria esistenza di elementi positivi atti ad offrire un giudizio di resipiscenza rispetto alla condotta penalmente rilevante posta in essere dall’imputato e dunque a consentire la concessione delle attenuanti generiche. Attenuanti che, neppure nella originari intenzione del Legislatore, spettavano di diritto all’incensurato. Altrettanto nota e pacifica è l’interpretazione fornita in tema di applicazione della attenuante speciale del risarcimento del danno che, per essere invocata, deve potersi poggiare su di un effettivo ed integrale risarcimento dello stesso. Ovviamente nella sua forma economicamente risarcibile.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 novembre 2012 – 21 marzo 2013, numero 12982 Presidente Esposito – Relatore Cervadoro Svolgimento del processo Con sentenza del 10.11.2010, il Tribunale di Milano dichiarò D.L.D. responsabile del reato di cui agli articolo 646, 61 numero 7 c.p., così modificando l'imputazione originariamente ai sensi degli articolo 640, 61 numero 7 c.p. per aver procurato a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, pari a Euro 167.770,00, inducendo in errore B.A. , persona non vedente dalla nascita, con artifizi e raggiri, consistiti nel presentarsi come promotore finanziario, nel farsi affidare il denaro per investirlo in una torrefazione di sua proprietà, nel dissimulare lo stato di difficoltà dell'azienda dichiarando invece che il fatturato era altissimo, con l'aggravante di aver cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità In omissis , e lo condannò alla pena di mesi sette di reclusione ed Euro 400,00 di multa. Avverso tale pronunzia propose gravame l'imputato, e la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 20.6.2011, confermava la decisione di primo grado. Ricorre per cassazione l'imputato, deducendo 1 la violazione dell'articolo 606 lett. b e c.p.p., per errata interpretazione dell'articolo 646 c.p. e dell'articolo 1814 c.c. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in quanto l'imputato omettendo di restituire alla B. l'intero ammontare delle somme ricevute a titolo di prestito non ha realizzato un comportamento configurante il reato di appropriazione indebita, in quanto ai sensi dell'articolo 1814 c.c. le cose date a mutuo passano in proprietà al mutuatario 2 la violazione dell'articolo 606 lett.b e c.p.p., per erronea interpretazione dell'articolo 646 c.p., e mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto, non sussistendo l'elemento psicologico del reato, dimostra il fatto che il ricorrente avesse restituito Euro 32.300,00, e che con scrittura del 31.7.2007 si fosse riconosciuto debitore della somma di Euro 169.200,00 nei confronti della B. 3 la violazione dell'articolo 606 lett. b e c.p.p., per erronea interpretazione dell'articolo 124 c.p., e mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto, essendo stata la querela presentata in data 5 dicembre 2007, mentre l'ultimo trasferimento di danaro è avvenuto nel giugno 2005. La Corte ha ritenuto viceversa che il termine di legge deve farsi decorrere dal 9.7.2007 . Anche in questo caso la querela sarebbe comunque intempestiva 4 la violazione dell'articolo 526 c.p.p. per avere la Corte assunto elementi probatori non acquisiti agli atti in riferimento alla radiazione dall'Albo dei promotori finanziari 5 erronea determinazione della pena, e mancanza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dell'attenuante di cui articolo 62 numero 6 c.p. come prevalenti ai sensi dell'articolo 69 co.2 c.p. Chiede pertanto l'annullamento della sentenza. Motivi della decisione Il primo, secondo e terzo motivo di ricorso sono infondati. Dalle sentenze di merito emerge che la B. , cieca dalla nascita, nel 2003 aveva conosciuto il D. , promotore finanziario presso la Banca Mediolanum, cui si era rivolta per ottenere un mutuo di 220-250.000,00 Euro per l'acquisto e la ristrutturazione di una nuova casa a ottenuto il mutuo nella misura di Euro 300.000,00, superiore alla somma necessaria per l'acquisto, nella rappresentata prospettiva di investire la somma rimanente in fondi bilanciati accessibili però - secondo il D. - unicamente ai promotori, versava tramite bonifico la somma di Euro 60.000,00 su un conto corrente intestato a S.F. , convivente dell'imputato. Convinta del vantaggio prospettato negli investimenti in questione e della possibilità di estinguere prima il mutuo, dall' omissis versava ulteriori somme per un importo complessivo di Euro 200.000,00. A un certo punto, avendo la parte offesa iniziato a nutrire dubbi sugli investimenti effettuati a suo favore, il D. le aveva comunicato di aver utilizzato le somme per finanziare un suo progetto per l'acquisto di una torrefazione la Leo cafè srl di omissis , società costituita e poi fallita nel omissis che avrebbe quindi garantito senz'altro un reddito superiore a quello di altri prodotti finanziari. Quando la B. , divenuto tropo gravoso il mutuo, in assenza dei prospettati profitti degli investimenti aveva deciso di richiedere al D. la restituzione delle somme sia pure senza gli interessi promessi la situazione reale aveva iniziato ad emergere, compresa l'interruzione del rapporto dell'imputato con la Mediolanum e la radiazione dall'albo dei promotori finanziari. Dopo rassicurazioni deluse, numerosi solleciti e qualche assegno scoperto, il D. aveva restituito alla B. la somma di soli Euro 30.800,00, promettendole che avrebbe provveduto quanto prima a saldare il residuo debito aveva concordato un piano di rientro decorrente dal luglio 2007, comunque assicurandola che avrebbe provveduto alla restituzione dell'intero debito entro l'anno 2008 e in data 31.7.2007 il D. aveva sottoscritto in favore della B. una ricognizione di debito per l'importo di complessivo di Euro 169.200,00. Dopo di ciò aveva restituito, nel settembre 2007, solo la somma di Euro 1.500,00 a mezzo di bonifico bancario, segnalando di non essere in grado di restituire l'intera somma, e non dando più riscontro alle richieste e doglianze della B. , la stessa il 4.12.2007 presentava querela v.pagg. 1 e 2 della sentenza impugnata . Tale essendo la ricostruzione dei fatti, appare evidente che -contrariamente a quanto sostenuto in ricorso - le somme consegnate all'imputato non sono state date a mutuo solo dopo le prime richieste, il D. comunicò di aver utilizzato il capitale, non per investirlo nei prospettati fondi bilanciati, bensì per finanziare la propria personale e comunque asseritamele vantaggiosa iniziativa di torrefazione. La ricognizione di debito fu poi successiva e tesa unicamente a limitare le richieste della parte offesa. Da ciò consegue altresì che la querela proposta in data 4.12.2007 fu tempestiva, in quanto presentata entro il termine di legge che correttamente la Corte ha fatto decorrere dalla data del 9.9.2007 e non dal 9.7.2007 come indicato per un mero ed evidente errore materiale in sentenza, stante l'esplicito riferimento al momento della corresponsione dell'ultima somma ricevuta dalla parte offesa in restituzione , allorché con la corresponsione di Euro 1500,00 l'imputato comunicò che non vi sarebbero state altre restituzioni, e la parte offesa si rese conto, dopo i reiterati atti di fiducia a fronte di comportamenti dilatori, dell'impossibilità di rientrare in possesso del suo capitale. Con motivazione congrua e logica, la Corte ha poi affermato la sussistenza dell'elemento psicologico del reato, che non può essere escluso sulla base di un gesto tardivo quale è stato la ricognizione del debito o la restituzione di Euro 34.300,00 certamente modesta, se rapportata alla somma capitale di Euro 200.000,00, senza contare i prospettati e mai conseguiti profitti degli investimenti , emergendo con tutta chiarezza che il D. , avendo l'autonoma disponibilità delle somme in questione, ha dato alle stesse una destinazione incompatibili con il titolo e le ragioni che ne avevano giustificato il possesso v.pag. 4 e 5 della sentenza impugnata . Il ricorso è inammissibile con riferimento al quarto motivo solo formalmente, infatti, vengono evocati vizi di legittimità, mentre in concreto le doglianze sono articolate sulla base di rilievi, peraltro del tutto generici, che tendono ad una rivalutazione del merito delle statuizioni della Corte territoriale. Per quanto attiene, infine, il quinto motivo di doglianza, va osservato che la concessione delle attenuanti generiche risponde a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese come oggetto di una benevola concessione da parte del giudice, ne1 l'applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento della esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento Cass.Sez. 1, Sent. numero 46954/2004 Rv. 230591 . Nella specie la Corte territoriale ha spiegato di non ritenere l'imputato meritevole delle invocate attenuanti per la sua negativa personalità, desunta dalla sua condotta in danno di una persona più esposta per la sua grave disabilità e patrimonialmente annientata tanto da dover vendere la sua casa, dalla sua radiazione nel 2008 dall'albo dei promotori finanziari, e perché il fatto appariva di notevole gravità. Si tratta di considerazioni ampiamente giustificative del diniego, che le censure del ricorrente non valgono minimamente a scalfire. In modo del tutto generico è stata infine lamentata dal ricorrente l'omessa applicazione dell'attenuante di cui all'articolo 62 numero 6 c.p A ciò aggiungasi che ai reati contro il patrimonio può applicarsi esclusivamente l'attenuante dell'integrale riparazione del danno prevista dalla prima parte dell'articolo 62 numero c.p. cfr.Cass. Sez.2, Sent. numero 2970/2010 Rv. 249204 , in quanto la seconda ipotesi del ravvedimento operoso riguarda infatti il danno non risarcibile economicamente v.Cass.Sez.6, sent.numero 5290/1989 in assenza dell'integrale e tempestivo risarcimento del danno, l'attenuante invocata non poteva pertanto essere concessa. Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.