Il criterio per la determinazione del valore delle azioni da liquidare in favore del recedente è individuato, per il periodo precedente al 2003, dall’articolo 2437 c.c. vecchia formulazione, mentre per il periodo successivo dall’articolo 2437 ter c.c
Il rimborso delle azioni quotate, ex articolo 2437 c.c. ante riforma 2003, deve avvenire al prezzo medio, calcolato in ragione della tipologia delle azioni possedute dal socio recedente e del semestre precedente al momento in cui la società ha deliberato in merito al recesso esercitato dal socio. Il caso. Due istituti bancari deliberavano una fusione per incorporazione in ragione della quale la prima banca confluiva nella seconda. Le azioni della banca incorporata risultavano quotate in borsa. Alcuni azionisti dell'ente incorporato, ritenendo non conveniente il rapporto di cambio fissato per l'acquisizione delle nuove azioni, esercitavano diritto di recesso articolo 2437, comma 1, c.c. . Gli stessi azionisti, non condividendo le modalità di calcolo adottate per determinare e liquidare il valore delle azioni possedute, adivano la competente A.G. affinché fosse rideterminato il prezzo di acquisto. Il tribunale, accoglieva la domanda dei soci uscenti mentre la corte d'appello riformava la sentenza di primo grado sicché gli azionisti uscenti proponevano ricorso per cassazione. Indiscutibile il diritto al rimborso delle azioni in favore del socio dissenziente. La disciplina applicabile al caso in questione è quella dell'articolo 2437 c.c., nella formulazione ante riforma 2003 che stabilisce I soci dissenzienti dalle deliberazioni riguardanti il cambiamento dell’oggetto o del tipo della società, o il trasferimento della sede sociale all’estero hanno diritto di recedere dalla società e di ottenere il rimborso delle proprie azioni, secondo il prezzo medio dell’ultimo semestre, se queste sono quotate in borsa, o, in caso contrario in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio. Dunque, è indiscutibile il diritto al rimborso delle azioni in favore del socio dissenziente come certo è anche il criterio per la determinazione del prezzo di rimborso, ovvero, per le azioni quotate in borsa, prezzo medio dell'ultimo semestre. Di contro, appare incerto il termine temporale iniziale da cui far decorrere il semestre es. momento in cui è stata deliberata la fusione, momento in cui è stato esercitato diritto di recesso, momento in cui è stato deliberato diritto di recesso . Cosa si intende per «ultimo semestre». La tesi difensiva, articolata da parte attrice, valorizzava l'indicazione generica di ultimo semestre e lo individuava nel semestre precedente alla delibera di fusione. Così facendo, sosteneva parte attrice, si sarebbe potuto determinare il valore delle azioni quotate in borsa nettato dell'effetto scaturente dalla notizia della fusione. Detta interpretazione risultava identica a quella contenuta nella nuova formulazione dell'articolo 2437 ter, comma 3, c.c., La S.C., confermando la pronuncia della corte territoriale, ha respinto questa interpretazione chiarendo che la nuova norma è propriamente nuova, dunque, totalmente sconnessa dalla precedente nonché priva di valore interpretativo della prima. La cassazione osserva ancora che il tenore letterale della norma porta a ritenere che l'ultimo semestre decorra dal momento in cui è stato esercitato il diritto di recesso e più precisamente dal momento in cui il recesso è stato legittimato con delibera assembleare. Tale scelta, a parere della Corte, eviterebbe condotte speculative scaturenti dalla variazione del prezzo delle azioni determinata dall'operazione societaria in questo caso di fusione . Inoltre, nella sentenza numero 17012/2004, la Cassazione ha affermato «Per stabilire quale sia il termine di riferimento temporale che occorre prendere in considerazione per procedere alla liquidazione della quota cui il socio receduto ha diritto in caso di società le cui azioni siano quotate, lo stesso primo comma del citato articolo 2437c.c. stabilisce che si debba aver riguardo al prezzo medio delle azioni nell'ultimo semestre. Il legislatore non dice espressamente da quale data debba essere fatto decorrere tale ultimo semestre, ma è da escludere che si tratti della data in cui il recesso si è perfezionato con la ricezione, da parte della società, della dichiarazione resa dal socio. E' da escluderlo, perché sarebbe incompatibile con la logica sottostante alla norma in esame. Questa, infatti, da un lato intende ancorare il diritto alla liquidazione a parametri di mercato che non potrebbero comunque essere ignorati, per il fatto stesso che si tratta di azioni quotate, rischiando altrimenti di prodursi un inammissibile scollamento tra quanto il socio percepirebbe per effetto del recesso e quanto ricaverebbe vendendo le sue azioni sul mercato d'altro lato, però, la stessa norma individua il prezzo di riferimento non già nell'immediata attualità delle quotazioni di mercato, bensì operando la media su quotazioni di un periodo precedente. Il che si giustifica anche e soprattutto con l'esigenza di evitare o limitare il rischio che il calcolo del valore di rimborso sia condizionato dai riflessi eventualmente prodotti sull'andamento delle quotazioni di mercato proprio dall'operazione societaria dalla quale il socio dissente e che ha determinato perciò il suo recesso. Il diritto di rimborso spettante al socio che recede da una società quotata, quindi, è rigorosamente ancorato nel vigore dell'originario articolo 2437 c.c. alle quotazioni di mercato registrate nel semestre anteriore al giorno in cui è stata assunta la deliberazione che legittima il recesso». Valore di rimborso e prezzo delle azioni. Parte attrice affermava che il prezzo medio delle azioni doveva essere calcolato considerando tutte le categorie di azioni emesse dalla banca incorporata. Anche sotto questo profilo, la Cassazione ha confermato la pronuncia della Corte d'Appello ed ha chiarito che il valore medio deve essere calcolato facendo riferimento alle sole azioni di tipologia identica a quelle di proprietà del socio che ha esercitato diritto di recesso. In tal senso, ancora una volta, osserva che il tenore letterale della norma fa riferimento alle proprie azioni , dunque, devono escludersi azioni con caratteristiche diverse da quelle possedute dal socio uscente. Inoltre, l'articolo 2437 c.c. testé riportato, individua due criteri di calcolo, uno per le azioni quotate ed uno per i titoli non quotati solo nel secondo caso il legislatore intende liquidare la somma in ragione del patrimonio della società mentre nel primo si limita a far riferimento alla media del valore delle azioni possedute dal recedente, cosicché una diversa interpretazione risulterebbe distante dalla volontà del legislatore. Per tutte queste ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso di parte attrice e confermato la sentenza di secondo grado.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 novembre 2012 13 marzo 2013, numero 6207 Presidente Segreto – Relatore Scaldaferri Svolgimento del processo Nel marzo 1995, M C. , S C. e S.O. , titolari di azioni di risparmio del Credito Varesino s.p.a., quotate in borsa, i quali non avevano partecipato alle assemblee che avevano approvato l'operazione di fusione per incorporazione con la Banca Popolare di Bergamo s.coop. a r.l. e che pertanto avevano esercitato, a norma dell'articolo 2437 comma 1 cod.civ. nel testo allora vigente il diritto di recesso loro riconosciuto dalla società, convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo la Banca Popolare di Bergamo Credito Varesino ora Banche Popolari Unite s.c.a r.l. deducendo l'illegittimità o erroneità del metodo, seguito dalla convenuta, per calcolare il valore dei titoli da rimborsare con la conseguente condanna al pagamento dei maggiori importi non corrisposti , sotto due profili a quanto alla individuazione nella data della delibera assembleare che aveva approvato la fusione anziché nella data di sospensione del titolo da parte della CONSOB a seguito dell'annuncio della deliberazione del progetto di fusione da parte dei rispettivi consigli di amministrazione del dies a quo del semestre di riferimento per il calcolo della media delle quotazioni da utilizzarsi quale parametro di determinazione del valore di rimborso b quanto al riferimento al prezzo medio di borsa, registrato in tale semestre, delle sole azioni della categoria di quelle in concreto possedute dai soci receduti, anziché alla media del valore complessivo di tutte le azioni, indipendentemente dalla categoria, diviso per il numero delle stesse. La società convenuta si costituì in giudizio chiedendo il rigetto della domanda, che invece il Tribunale accolse, ritenendo a che il semestre di riferimento dovesse decorrere non dalla data delle delibere assembleari di approvazione del progetto di fusione bensì da quella in cui i rispettivi Consigli di Amministrazione avevano deliberato di dar corso alla fusione, onde evitare di prendere in considerazione l'influenza sulle quotazioni di mercato determinata dalla notizia del progetto di fusione b che il rimborso doveva avvenire sulla base del valore della quota del patrimonio netto, cioè del valore medio di tutte le azioni, diviso per il numero di esse, atteso che l'articolo 2437 comma 1 cod.civ. nel testo anteriore alla riforma del 2003 non conteneva alcuna differenziazione di trattamento tra le diverse categorie di azioni quotate. La Corte d'appello di Brescia, investita del gravame proposto dalla Banche Popolari Unite soc.coop. a resp.lim., ha, in riforma della sentenza di primo grado, rigettato la domanda proposta dai soci receduti. Ha ritenuto la Corte territoriale, quanto al primo profilo, che l'articolo 2437 comma 1 cod.civ., nella formulazione qui da applicare, si limita a prendere in considerazione, quali momenti rilevanti, la deliberazione dell'assemblea e la dichiarazione di recesso del socio dissenziente, nessun riferimento ponendo ad atti precedenti, peraltro di per sé inidonei a dar luogo alla fusione. E che, sotto il secondo profilo, non risolutivo deve considerarsi il fatto che la norma ricordata anteriore alla introduzione nell'ordinamento, nel 1974, della categoria delle azioni di risparmio non ponga distinzioni tra i diversi tipi di azioni, ed invece insuperabile in quanto espressione di scelte legislative insindacabili deve considerarsi il fatto che la norma stessa limiti il riferimento al patrimonio netto, ai fini della determinazione dell'importo da rimborsare, al solo caso in cui la società non sia quotata in borsa, mentre dal riferimento, nell'ipotesi opposta, al prezzo medio dell'ultimo semestre si evince che il recedente non può che conseguire l'importo medio corrispondente a quello che avrebbe percepito ove mai avesse venduto le sue azioni sul mercato. Avverso tale sentenza, depositata il 21 luglio 2005, C.M. , S C. e O S. hanno proposto ricorso a questa Corte sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la Banche Popolari Unite s.c.a r.l Motivi della decisione 1. Con il primo motivo i ricorrenti censurano, sia sotto il profilo della violazione di norma di diritto articolo 2437 cod.civ. sia sotto quello del vizio di motivazione, l'accertamento del dies a quo del semestre di riferimento. Assumono che la interpretazione della Corte non troverebbe fondamento nella formulazione della norma che non specifica da quale data debba calcolarsi l'ultimo semestre , e d'altra parte sarebbe, oltre che illogica e contraddittoria, contraria alla ratio della norma stessa, che è quella di garantire una valutazione del patrimonio della società non influenzata dalla notizia della fusione. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano, sotto il profilo della violazione di norme di diritto articolo 2437, 2348 e 2350 cod.civ., articolo 14 e 15 legge numero 216/1974 e sotto quello del vizio di motivazione, il criterio di determinazione del valore di rimborso. Deducono che immotivatamente e erroneamente la Corte ha ritenuto che la norma ha escluso per le azioni quotate il riferimento al valore del patrimonio, visto che il prezzo delle azioni moltiplicato per il loro numero corrisponde al valore del patrimonio sociale come valutato dal mercato in quel momento, e per fare tale valutazione occorre considerare tutte le azioni in circolazione aggiungono che del pari erroneamente la Corte ha affermato che al socio recedente non può spettare più di quanto ricaverebbe da una vendita delle sue azioni, giacché il caso in esame non corrisponde affatto ad una libera contrattazione della cessione delle azioni, bensì ad una ipotesi particolare, sulla cui verificazione il socio recedente non ha alcuna possibilità di scelta. Sostengono quindi che il prezzo medio sia quello corrispondente all'insieme delle azioni costituenti il capitale sociale, tanto più che ogni azione da eguali diritti articolo 2348 e attribuisce il diritto ad una parte proporzionale del patrimonio netto articolo 2350 . 2. Tali censure esaminabili congiuntamente in quanto connesse sono prive di fondamento. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare Sez. 1 numero 17012/2004 , il diritto di rimborso delle azioni spettante al socio che recede da società con azioni quotate in borsa è rigorosamente ancorato dall'articolo 2437, nel testo ante riforma, alle quotazioni di mercato registrate nel semestre anteriore al giorno in cui è stata assunta la deliberazione assembleare che legittima il recesso. Le ragioni fondamentali di tale convincimento, che il Collegio condivide, risultano chiaramente esposte nella pronuncia richiamata, e, fedelmente trasfuse nella sentenza della Corte bresciana, resistono alle critiche prospettate in ricorso. 2.1. Da un lato i ricorrenti, valorizzando oltre misura la mancanza nell'articolo 2437 di una espressa indicazione circa la data dalla quale far decorrere l’ ultimo semestre e la ratio della norma di garantire una valutazione del patrimonio della società non influenzata dalla notizia della fusione, non considerano che la norma stessa a ricollega alla assunzione della deliberazione assembleare il sorgere del diritto di recesso b individua il prezzo di riferimento ai fini della liquidazione nella media delle quotazioni di mercato del semestre precedente al recesso, il che si giustifica anche e soprattutto con quell'esigenza di contenere il rischio che il calcolo del valore di rimborso sia condizionato dai riflessi eventualmente prodotti sull'andamento delle quotazioni di mercato proprio dall'operazione societaria che ha determinato il recesso del socio. È vero che tale esigenza la riforma del 2003 ha, nel nuovo articolo 2437 ter , ampliato retrodatando ulteriormente alla data della convocazione dell'assemblea il dies a quo della media semestrale delle quotazioni di mercato. Ma si tratta di altra norma, cui non può certo attribuirsi il valore di interpretazione autentica della precedente norma che regola la controversia in esame. 2.2. D'altra parte, è la norma stessa a prescrivere che il valore di rimborso spettante ai ricorrenti debba essere calcolato in base alle quotazioni di mercato delle azioni di risparmio da essi possedute. Inequivoco in tal senso è il valore espressivo della disposizione là dove afferma che, se le azioni proprie dei recedenti sono quotate in borsa, il rimborso delle stesse deve avvenire in base al prezzo medio di quelle azioni dell'ultimo semestre, ed in caso contrario in proporzione del patrimonio sociale risultante dall'ultimo bilancio. Il riferimento, che i ricorrenti propongono, ad una media tra le quotazioni di borsa di tutte le categorie di azioni emesse dalla società non trova fondamento nel testo normativo, che impone, nei casi di azioni di società quotata il che costituisce indefettibile presupposto della emissione di azioni di risparmio articolo 14 L.numero 216/1974 , di tener conto dei soli parametri di mercato, e preclude quindi in tali casi ogni valutazione basata sulla frazione di patrimonio netto corrispondente alle azioni possedute dal socio receduto. È vero che la norma, al momento della sua formulazione, non poteva tener conto della successiva introduzione della speciale categoria delle azioni di risparmio, privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale ma prive del diritto di voto e di convocazione dell'assemblea. Ma, anche qui, la scelta chiara del legislatore è nel senso che, ove le azioni possedute dal socio receduto siano quotate nel mercato dei titoli, il valore di rimborso a lui spettante deve tener conto esclusivamente delle indicazioni di prezzo fornite dal mercato stesso in relazione a quelle azioni. Né il titolare di azioni di risparmio può dolersi del fatto che in tal modo si possa pervenire ad una determinazione di un rimborso inferiore a quello spettante ai titolari di azioni ordinarie non può, in particolare, dolersi di una violazione dell'articolo 2348 cod.civ., atteso che il principio secondo cui tutte le azioni emesse dalla società attribuiscono uguali diritti trova espressa deroga, nel caso delle azioni di risparmio, nel disposto del comma quarto dell'articolo 14 della legge numero 216/1974. 3. Si impone pertanto il rigetto dei primi due motivi di ricorso, e tale statuizione esonera il Collegio dall'esame del terzo motivo, con il quale i ricorrenti, per l'ipotesi di cassazione della sentenza impugnata, hanno reiterato i motivi posti a base del loro appello incidentale contro la sentenza di primo grado. 4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.