Falso ideologico e falsa perizia: due norme legate da principio di specialità

La fattispecie di falsa perizia è da ritenersi norma speciale rispetto a quella di falso ideologico. Detta norma tutela infatti uno specifico bene giuridico, tradizionalmente individuato nella sincerità e nella completezza delle prestazioni cui sono tenuti il perito e l’interprete al fine di garantire il buon funzionamento dell’attività giudiziaria, la precisa qualifica che deve rivestire il soggetto attivo, le particolari connotazioni delle modalità attuative della falsità ideologica che si realizza nel dare pareri mendaci ovvero nell’affermare fatti non conformi al vero.

Non può ricorrere la figura del falso innocuo con riferimento alla redazione della perizia richiesta dal legislatore in sede civile, posto che essa è volta ad essere stilata secondo una specifica procedura e segnatamente mediante asseverazione da parte dell’esperto. Con il che non può considerarsi innocuo il falso che concerna proprio il fulcro dell’attività valutativa, avente quale specifico oggetto la stima del patrimonio sociale. Tutto questo è quanto emerge dalla sentenza numero 20314 della Cassazione, depositata il 15 maggio scorso. Il caso. Nel dar corso a trasformazione di s.a.s. in s.r.l., il perito estimatore assumeva come proprie, senza compiere alcuna attività di vaglio le conclusione e le valutazioni effettuate da soggetto terzo così stimando il valore della società oggetto di trasformazione in misura pari a quella concordata da altri in fase di acquisizione a mezzo di cessione delle quote della predetta società. L’assenza di ogni attività valutativa era confermata dal perito estimatore. Condannato l’imputato in primo e secondo grado, il difensore formava ricorso per cassazione deducendo molteplici vizi del provvedimento tutti meritevoli di attenta ed approfondita disamina. Paiono oltremodo interessanti due aspetti dei denunciati vizi che, pertanto, formeranno oggetto di specifico, e non so quanto puntuale, commento. Il principio di specialità tra le norme dettate dall’articolo 479 e 373 c.p Il difensore si è lagnato in relazione alla qualifica di norma speciale attribuita all’articolo 373 c.p. rispetto a quella generale dettata dall’articolo 479 c.p La Corte di Cassazione annota come la corretta lettura della norma incriminatrice non possa che identificare la stessa come norma speciale rispetto a quella generale dettata in tema di falso ideologico dall’articolo 479 del codice sostanziale. In punto, e la riflessione mi pare corretta e fondante, la Corte osserva come il bene giuridico tutelato dalla fattispecie sia da rinvenirsi nella sincerità e nella completezza delle prestazioni cui sono tenuti il perito e l’interprete al fine di garantire il buon funzionamento dell’attività giudiziaria, la precisa qualifica soggettiva richiesta all’agente, la particolare connotazione delle modalità attuative della falsità ideologica che deve essere commessa dagli ausiliari e che si realizza nel dare pareri mendaci ovvero nell’affermare fatti non conformi al vero. Appare evidente che così rettamente ricostruita la norma , si versi in un tipico caso di rapporto di specialità tra due norme. Se è così, e francamente mi par condivisibile la lettura fornita dalla Corte, allora anche l’aver originariamente qualificata la violazione contestata all’imputato facendo riferimento all’articolo 479 del codice sostanziale, poi riqualificato dal Giudice di primo e secondo grado il fatto quale quello previsto dall’articolo 373 c.p., non ha apportato alcun vulnus al diritto di difesa. Né sotto il profilo formale né sotto il profilo sostanziale. In altri termini, proprio poiché si versa in tema di norma speciale, la difesa aveva potuto conoscere nel dettaglio l’ipotesi accusatoria e su di essa determinarsi anche in funzione e relazione a quelle scelte di difesa tecnica che assumono sempre maggior peso ed importanza nel nostro sistema processuale. Dunque, e concludendo sul punto, nessuna violazione della norma sostanziale o procedurale può essere denunciata. Il falso innocuo l’inoffensività della condotta. di grande pregio, per il sottoscritto ed anche per la Corte che definisce “suggestiva la tesi” però palesemente illogica ed errata in diritto è il motivo introdotto dal difensore in relazione alla incapacità in concreto dell’attività posta in essere dall’imputato di produrre effetti giuridici apprezzabili nel mondo esterno. La tesi si poggia su questa considerazione la consulenza richiesta dall’articolo 2500 ter cod. civ. ai fini della trasformazione sociale ha una rilevanza probatoria limitata alla stima del valore del capitale sociale non inferiore a 10.000,00 euro. Detta soglia è considerata dal legislatore quale minima per dar corso alla trasformazione della società. Dunque la violazione del disposto di legge, presupposto per l’applicazione del disposto dell’articolo 373 c.p., verrebbe ad integrarsi solo laddove la valutazione della società fosse intervenuta con una indicazione di stima, superiore ai 10.000,00, a fronte di un valore effettivo inferiore a detta soglia. Dunque l’attività posta in essere dall’imputato risulterebbe inoffensiva poiché il valore reale della società, seppur errato, sarebbe comunque da considerarsi superiore alla soglia fissata ex lege . La Corte, riconosce il “valore” del difensore attribuendo medaglia al merito attraverso l’utilizzo dell’aggettivo suggestivo ma effettua ricostruzione giuridica che “smonta” completamente la tesi. Il presupposto del ragionamento della Corte è tutto incentrato, correttamente, sul bene giuridico tutelato dalla norma che è costituito dalla “sincerità e nella completezza delle prestazioni cui sono tenuti il perito e l’interprete al fine di garantire il buon funzionamento dell’attività giudiziaria”. Dunque la mera insincerità della relazione è, ex se, in grado di aggredire il bene giuridico tutelato e, quindi, di offenderlo. Offendendolo, ed essendo il bene immateriale, non è possibile far ricorso alla categoria dell’inoffensività al fine di non veder sottoposto a rimprovero penale l’imputato. Il problema, a mio parere, seppur nella corretta ricostruzione offerta dalla Corte, è solo parzialmente risolto. Se infatti il soggetto accertatore, come apre essere stato nel caso di specie, avesse ritenuto, rispettando i dettami previsti dalla norma civile in riferimento alla relazione della stima giurata, di ritenere congrui i valori esposti nella relazione da un soggetto terzo, di non aver motivo di distaccarsene e, quindi di “aver bene e fedelmente adempiuto all’incarico affidatogli al solo scopo di far conoscere la verità”, la condotta così posta in essere potrebbe dirsi essere offensiva e capace di aggredire il bene giuridico protetto dalla norma o no? In altre parole, il professionista estimatore che si limitasse a recepire in una relazione il valore di una società per come determinato da terze parti ritenendolo congruo attraverso una veloce valutazione “at inch” risponderebbe sempre del mendacio ideologico speciale oppure potrebbe reintrodursi la scriminante dell’inoffensività avanzata dalla difesa e respinta dalla Corte? Per rispondere al quesito occorre partire proprio dal ragionamento effettuato dalla Corte che, sostanzialmente, ricava la penale responsabilità del ricorrente dal tenore del disposto della norma civilistica 2500 ter c.c. e dal tenore della formula inerente l’asseverazione. Ora la norma civilistica indica una soglia minima al di sotto della quale è impossibile dar corso alla trasformazione. Dunque la condotta capace di porre nel nulla il precetto è quella costituita dal certificare valore superiore alla soglia indicata senza che la stima corrisponda a realtà. L’indicazione di valori superiori ai 10mila ma inferiori al reale valore della società sono del tutto indifferenti per il precetto indicato. Utilizzando il secondo strumento indicato dalla Corte, ovvero quello costituito dalla formula dell’asseverazione, con il suo tenore letterale che fa riferimento all’aver bene e fedelmente adempiuto all’incarico affidato al solo scopo di far conoscere la verità, non pare possa giungersi ad indicazione definite nel caso di valutazione ad “inch”. Quid juris se la valutazione non interviene per non far consocerei la verità ma semplicemente perché i dati proposti dal cliente appaiono essere congrui? Si contesterà la veridicità di quei dati e come attraverso una nuova perizia che utilizzi criteri diversi , oppure si contesterà la non effettuazione di alcuna attività che però nel caso di specie è esistente posto che la norma civile non indica quale debba essere il grado di approfondimento di detta attività ? E se la nuova attività accertasse che il valore dichiarato dal terzo e ritenuto congruo dall’estimatore si discostasse di poco rispetto al valore stimato dal nuovo professionista incaricato, l’attività posta in essere dal primo estimatore potrebbe dirsi essere stata in grado di aggredire concretamente il bene giuridico protetto dalla norma ? Il quesito non è di semplice soluzione. O forse si se solo si ponesse mente a quella teoria del diritto penale costituzionalmente orientato che vuole che l’offesa arrecata al bene giuridico sia concreta, attuale e capace di lederlo. Diversamente la condotta, pur contraria al precetto penale deve ritenersi inoffensiva e quindi immeritevole di sanzione. Un sistema giuridico che introduce la non punibilità per occasionalità della condotta e tenuità del fatto, forse dovrebbe ricordarsi anche del caro e fondante principio di inoffensività. Poi magari applicarlo, sotto qualsiasi forma, costituita anche dalla tenuità del medesimo e dall’occasionalità della condotta, ai giudici di cassazione. Ma, è noto “ci sono più cose in cielo e in terra, Estimatore, di quante ne sogni la tua filosofia”.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 febbraio – 15 maggio, numero 20314 Presidente Paoloni – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 6 dicembre 2012, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino dei 4 aprile 2011 appellata dal pubblico ministero e dall'imputato, la Corte d'appello di Torino ha riconosciuto a M.G. il beneficio della non menzione, confermando nel resto la condanna del medesimo alla pena di un anno di reclusione, con sospensione condizionale della pena, per il reato ex articolo 373 cod. penumero di cui al capo 3 riqualificata in detti termini, già dal primo giudice, l'originaria contestazione ex articolo 110, 117 e 479 cod. penumero , fatto commesso il 13 aprile ed il 20 luglio 2005. A sostegno di tali conclusioni, la Corte territoriale ha evidenziato - che la riqualificazione del fatto operata dal primo giudice ai sensi dell'articolo 373 cod. penumero commesso con asseverazione della perizia in data 10 giugno 2005 è corretta in virtù dell'espresso richiamo a detta norma contenuto negli articolo 2465 e 2343, comma 2, cod. civ. - che la fattispecie di cui all'articolo 373 cod. penumero è da ritenere speciale rispetto a quella prevista dall'articolo 479 cod. penumero - che M.G. - quale revisore perito estimatore e soggetto estraneo sia ai trasferimento a P.G. delle quote della Ediltava S.a.s., sia all'atto con cui detta società veniva trasformata in S.r.l. - ha formato un atto ideologicamente falso sotto un duplice profilo, in quanto compiuto da un soggetto diverso dall'imputato previa istruttoria svolta da altri nonché ideologicamente falso nel contenuto, dal momento che il valore attribuito alla società pari a 30.000 euro costituiva il frutto, non di un'attività ricognitiva e valutativa compiuta dal perito, bensì di una deliberazione assunta a tavolino da altri segnatamente da P.G , D.I.e C.F. , sulla base di un valore predeterminato e coincidente con il prezzo di cessione delle quote della società, già indicato nella relazione redatta da P. nel 2004, relativa alla stima della società Sirco di R.L.C. , e come ammesso da P. stesso - che tale ricostruzione dei fatti è stata, nella sostanza, confermata dallo stesso M.G. nelle dichiarazioni spontanee al pubblico ministero in data 26 ottobre 2009 - allorché ha affermato di essersi limitato a leggere superficialmente la perizia di stima, che riteneva essere destinata a risolvere problematiche di natura fiscale dei suoi clienti, ed a sottoscriverla, fidandosi della serietà professionale nel P. -, versione ribadita nell'interrogatorio del 13 aprile 2010 e poi parzialmente modificata nell'interrogatorio nel corso dei giudizio abbreviato, nel tentativo - stimato dalla Corte territoriale vano - di ridimensionare le prime dichiarazioni ammissive - che non ricorrono i presupposti per riqualificare il reato ai sensi dell'articolo 64, comma 2, cod. proc. civ., atteso che nella specie non sono ravvisabili i presupposti della colpa grave, avendo M. affermato, contrariamente al vero, di avere svolto attività ricognitive e valutative mai compiute e di aver redatto un elaborato in realtà proveniente dal P., con una condotta evidentemente sostenuta da dolo diretto. 2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l'Avv. Maria Grazia Cavallo, difensore di fiducia di M.G., e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge penale in relazione agli articolo 125, comma 3, 533, 545 e 546, comma 1 lett. e cod. proc. penumero e 2.2. vizio di motivazione, riferiti - agli articolo 373, 479 e 49, comma 2, cod. penumero , - agli articolo 373, 479 e 15 cod. penumero , - agli articolo 373 e 479 cod. penumero , in relazione al divieto di analogia in malam partem, - agli articolo 13, 25, comma 2, e 27, comma 2, Cost. - agli articolo 530 e 533 cod. proc. penumero , - all'articolo 117 cod. penumero , - agli articolo 2500, 2500-ter, 2343, 2463, 2465 cod. civ. e 64 cod. proc. civ. Rileva il ricorrente che, ai fini della trasformazione di una società di persone in una società di capitali, è sufficiente che il valore dei capitale sociale della società trasformanda sia superiore a 10.000 euro, di tal che la perizia di stima prevista dall'articolo 2500-ter cod. civ. ha il mero scopo di attestare l'esistenza di tale capitale sociale minimo. Nella specie, nella perizia asseverata davanti al notaio, M. si è attenuto a criteri prudenziali ed ha stimato il valore netto della società trasformanda come non inferiore a 30.000 euro, sicché in tale parte la perizia asseverata deve ritenersi vera. Sotto diverso profilo, il ricorrente evidenzia come il falso sia in ogni caso da ritenere innocuo e rifluente nel reato impossibile in quanto privo di offensività, dal momento che la perizia ex articolo 2500-ter cod. civ. funzionale alla trasformazione sociale non ha valenza probatoria nella parte mendace, che è limitata al minimum del capitale sociale che consente la trasformazione da società di persone in società a responsabilità limitata, cioè 10.000 euro. In subordine, il ricorrente evidenzia come, nel caso in oggetto, sia comunque ravvisabile la fattispecie prevista dall'articolo 64 cod. proc. civ., e non quella ritenuta in sentenza in forza di un'applicazione secondo analogia in malam partem, in quanto, dal combinato disposto degli articolo 2500 ter, 2343, comma 2, 2465 cod. civ. e 64 cod. proc. civ., si evince che in caso di perizia infedele deve trovare applicazione quest'ultima disposizione, mentre la responsabilità prevista per il perito nominato dall'autorità giudiziaria è applicabile all'esperto estimatore richiesto dall'articolo 2500-ter cod. civ. soltanto nel caso in cui la società di persone si trasformi in S.p.A. o S.a.p.A., atteso che, solo in tali casi, è prevista la nomina da parte dell'autorità giudiziaria, elemento fondante la responsabilità ai sensi dell'articolo 373 cod. penumero 2.3. Intervenuta estinzione del reato per prescrizione, essendo il fatto stato commesso in data 10 giugno 2005. 2.4. Nei motivi nuovi di ricorso ad integrazione depositati in data 12 febbraio 2015, il ricorrente eccepisce la violazione di legge penale in relazione agli articolo 125, comma 3, 533, 545 e 546, comma 1 lett. e cod. proc. penumero ed il vizio di motivazione, riferiti - agli articolo 373, 479, 49, 62, 69, 133 cod. penumero , - agli articolo 530 e 533 cod. proc. penumero , - agli articolo 2500, 2500-ter, 2343, 2463, 2465 cod. civ. e 64 cod. proc. civ. in relazione al difetto dell'elemento soggettivo, atteso che, da un lato, M. ha ammesso di avere firmato la perizia disposta da altri, dall'altro lato, P. ha dichiarato essere dispiaciuto di avere coinvolto l'imputato, il quale aveva fatto affidamento sull'amico, sicchè nella specie non si può parlare di dolo, ma semmai di colpa. 2.5. Violazione di legge penale in relazione agli articolo 125, comma 3, 533, 545 e 546, comma 1 lett. e cod. proc. penumero e vizio di motivazione, per avere la Corte travisato il contenuto di diversi elementi probatori, quali le dichiarazioni spontanee e l'interrogatorio di M., le memorie prodotte ai sensi dell'articolo 121 cod. proc. penumero il 27 ottobre 2009 e 13 aprile 2010, gli interrogatori di P. ed il confronto fra M., P. e Ceraolo. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. L'Avv. Maria Grazia Cavallo, per M.G., ha insistito per l'accoglimento dei ricorso e, quindi, in via subordinata, per la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Considerato in diritto 1. II ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 2. Sotto un primo profilo, mette conto evidenziare come tutti i motivi di ricorso si risolvano nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e non si confrontino con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale in merito alle specifiche doglianze mosse nell'atto d'appello. Già questo basterebbe a dichiarare l'inammissibilità del ricorso per difetto di specificità, laddove, secondo i consolidati principi espressi da questa Corte di legittimità, i motivi costituenti mera replica di quelli già dedotti in appello risultano soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso Cass. Sez. 6, numero 20377 del 11/03/2009, Arpone e altri, Rv. 243838 . 3. Ad ogni buon conto, le doglianze mosse dal ricorrente si palesano manifestamente infondate. In linea generale, non può non rilevarsi come la Corte territoriale, nel confermare la condanna di primo grado, abbia esplicitato le ragioni per le quali nella specie si debba ritenere integrata nei confronti dell'imputato la fattispecie incriminatrice prevista dall'articolo 373 cod. penumero , con argomentazioni adeguate e congrue, perché aderenti alle risultanze delle prove assunte nell'istruttoria dibattimentale nonchè conformi a logica e diritto, in quanto tali insindacabili in questa Sede. 4. Quanto al primo motivo, all'evidenza privi di fondamento risultano gli eccepiti violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'articolo 373 cod. penumero 4.1. Sotto un primo aspetto, va posto in luce come la fattispecie di falsa perizia sia stata condivisibilmente ritenuta dai giudici di merito speciale rispetto a quella di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico. Muovono in tal senso a lo specifico bene giuridico tutelato dal reato ex articolo 373 cod. penumero , che viene tradizionalmente individuato nella sincerità e nella completezza delle prestazioni cui sono tenuti il perito e l'interprete al fine di garantire il buon funzionamento dell'attività giudiziaria b la precisa qualifica del soggetto attivo - íd est il perito, l'interprete ovvero i soggetti ad essi equiparati dalla legge, come appunto il consulente giurato ex articolo 2500-ter cod. civ. sul punto si veda anche oltre - c la particolare connotazione delle modalità attuative della falsità ideologica in senso lato commessa da tali ausiliari del giudice, che si realizza - per il perito e dunque anche per il consulente - nel dare pareri mendaci ovvero nell'affermare fatti non conformi al vero. Elementi tutti che contraddistinguono il delitto previsto e punito dall'articolo 373 cod. penumero per requisiti propri e caratteristici, che assolvono appunto ad una funzione specializzante rispetto alla più ampia cornice della fattispecie incriminatrice dell'articolo 479 cod. penumero 4.2. Manifestamente infondata è anche la deduzione secondo la quale la sussunzione del caso de quo nella fattispecie di cui all'articolo 373 cod. penumero si traduce in un'applicazione analogica in malam partem, non consentita in ambito penale. Ed invero, l'applicazione della indicata norma non costituisce il frutto di una non consentita operazione ermeneutica dei decidenti di merito, ma discende dalla piana lettura del dato normativo ed, in particolare, dai rinvii espressi contenuti negli articolo 2500-ter, comma 2, 2465, comma 3, 2343, comma 2, del codice civile e nell'articolo 64 del codice di procedura civile. Ricostruendo l'iter tracciato dai plurimi rimandi contenuti nelle disposizioni sopra ricordate, va evidenziato che l'articolo 2500-ter, comma 2, cod. civ. Trasformazione di società di persone prevede che, ai fini della trasformazione di una società di persone in società di capitali, il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell'attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima redatta a norma dell'articolo 2343 o, nel caso di società a responsabilità limitata, dell'articolo 2465 . L'articolo 2465, comma 1, cod. civ. Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti, dispone che Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un revisore legale o di una società di revisione legali iscritti nell'apposito registro. La relazione, che deve contenere la descrizione dei beni o crediti conferiti, l'indicazione dei criteri di valutazione adottati e l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo, deve essere allegata all'atto costitutivo ed, al comma 3, dispone Nei casi previsti dai precedenti commi si applicano il secondo comma dell'articolo 2343 ed il quarto e quinto comma dell'articolo 2343-bis . Il richiamato articolo articolo 2343 Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti , al comma 2, dispone che L'esperto risponde dei danni causati alla società, ai soci e ai terzi. Si applicano le disposizioni dell'articolo 64 del codice di procedura civile , norma - quest'ultima - che appunto recita che Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del cod. penumero relative ai periti , fra queste pacificamente inclusa anche quella contenuta nell'articolo 373 cod. penumero in tema di falsa perizia o interpretazione. Erra dunque il ricorrente nell'addebitare alla Corte territoriale - che pure ha svolto considerazioni in tutto conformi al quadro normativo sopra delineato - una violazione di legge laddove ha ritenuto applicabile l'articolo 373 cod. penumero nonostante la mancanza di una formale nomina del consulente tecnico da parte dell'autorità giudiziaria, risultando detta fattispecie incriminatrice ravvisabile - si ribadisce - a prescindere dalla nomina del consulente tecnico da parte del giudice, in virtù di una precisa volontà legislativa, espressa nel percorso tracciato dagli espliciti rinvii normativi sopra ricordati. 4.3. Del tutto immune da vizi di logica come da errori di diritto è la motivazione del provvedimento in verifica nella parte in cui si è esclusa la ricorrenza dei presupposti del cosiddetto falso innocuo. Assume il ricorrente che la falsità commessa da M. nella stima del capitale sociale è penalmente inoffensiva in quanto la consulenza richiesta dall'articolo 2500-ter cod. civ. ai fini della trasformazione sociale ha una rilevanza probatoria limitata alla stima del valore del capitale sociale non inferiore a 10.000 euro, costituente soglia minima per la trasformazione societaria stessa. Ne discende che l'avere l'imputato asseverato il valore dei capitale della società in 30.000 euro per difetto rispetto al valore reale non può ritenersi lesivo dell'interesse protetto dall'articolo 2500-ter e presidiato dall'incriminazione in oggetto, in quanto esso si limita a garantire che la trasformazione societaria avvenga in presenza dei requisiti di legge e segnatamente quello concernente il valore non inferiore a 10.000 euro del capitale sociale , di tal che detto bene non risulta offeso qualora il valore reale del capitale - seppure attestato in misura inferiore al vero - sia in effetti superiore a detta soglia. La tesi è suggestiva ma palesemente illogica ed errata in diritto. Giova in primo luogo precisare che - contrariamente all'assunto difensivo - M., asseverando innanzi al notaio la consulenza in effetti stilata da altri e senza compiere alcuna istruttoria allo scopo di accertare il valore reale del capitale, non si è limitato ad attestare che il capitale aveva un valore non inferiore a 10.000 euro - che appunto costituisce il minimum per la trasformazione sociale -, ma ha attestato che il capitale della società aveva un valore di 30.000 euro, quando esso era in effetti di gran lunga superiore. Ciò premesso, come si è già evidenziato nel ripercorrere il quadro normativo di riferimento, ai fini della trasformazione della società di persone in una società di capitale, il legislatore ha richiesto che il valore del capitale della società risultante dalla trasformazione sia determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell'attivo e del passivo e sia accertato con una relazione di stima giurata. Secondo il limpido dettato normativo, la relazione di stima è volta ad accertare l'attuale ed effettivo valore delle attività e passività dell'azienda e deve essere stilata seguendo una specifica procedura - appunto giurata -, segnatamente mediante asseverazione da parte dell'esperto, dinanzi al Cancelliere di un ufficio giudiziario ovvero dinanzi ad un notaio come appunto nel caso di specie , della veridicità del contenuto dell'elaborato recante in calce la formula del giuramento di aver bene e fedelmente adempiuto all'incarico affidatogli al solo scopo di far conoscere la verità . Con tale giuramento il professionista dichiara formalmente davanti al pubblico ufficiale di avere assolto all'incarico valutativo con scienza e coscienza e garantisce la piena fedeltà al vero dell'elaborazione, assoggettandosi alle conseguenze di legge in caso di consulenza infedele. Risulta pertanto evidente come il falso ideologico commesso dal consulente nella valutazione del capitale aziendale non possa ritenersi innocuo laddove l'infedeltà rappresentativa concerna, non aspetti marginali e secondari dell'accertamento richiesto, bensì proprio il fulcro dell'attività valutativa, avente quale specifico oggetto la stima dei patrimonio sociale. Opinando come suggerisce il ricorrente, si dovrebbe ritenere che qualunque relazione giurata che sottostimi in modo artatamente falso il reale valore del capitale, a condizione che il valore reale ed effettivo del capitale sia di almeno diecimila euro, debba ritenersi innocua, con ciò vanificando il contenuto fideifacente dell'atto che si connette espressamente alla stima degli elementi attivi e passivi della società. Il ricorrente incorre dunque in un evidente strabismo logico-giuridico laddove confonde il bene tutelato dalla fattispecie incriminatrice ad avere perizie e consulenze giurate affidabili così da non pregiudicare il corretto esercizio dell'amministrazione della giustizia e l'affidamento della collettività nell'attendibilità dei relativi accertamenti e giudizi, con il valore minimo del capitale richiesto per la trasformazione societaria, che non costituisce all'evidenza il bene giuridico tutelato dalla norma. La circostanza che la trasformazione di una società di persone in una società di capitali presupponga che il capitale sociale abbia un valore superiore all'indicato limite, non rende irrilevante la stima inveritiera del capitale aziendale che sia in effetti superiore a detta soglia minima, in quanto il risultato di tale stima è destinato a cristallizzarsi nell'atto di trasformazione e su di esso può fare affidamento la generalità dei consociati, in particolare coloro i quali sono destinati ad interfacciarsi con nuova realtà imprenditoriale soci, fornitori, investitori e istituti di credito . 4.4. Per il resto, la Corte territoriale ha bene argomentato la sussistenza dei presupposti del falso ideologico laddove ha evidenziato che M. ha compiuto un atto ideologicamente falso sotto un duplice profilo, sia perché formato da un soggetto diverso dal consulente e sulla base di un'istruttoria compiuta da altri sia perché ideologicamente falso nel contenuto, dal momento che il valore attribuito alla società pari a 30.000 euro costituiva il frutto, non di un'attività ricognitiva e valutativa compiuta dal perito, bensì di una determinazione assunta a tavolino da altri P.G., D.I. e C.F. , sulla base di un valore predeterminato e coincidente con il prezzo di cessione delle quote della società, e non rispondente al vero. 5. Altrettanto palese è l'infondatezza del motivo concernente la dedotta insussistenza del dolo. Ai fini della integrazione del reato di cui all'articolo 373 cod. penumero è invero richiesto il dolo generico in termini di coscienza e volontà di non di formare un atto valutativo in termini non aderenti al vero, elemento soggettivo che non pare seriamente revocabile in dubbio laddove M. ha ammesso di avere firmato la perizia disposta da altri all'esito di un'attività istruttoria e valutativa dal medesimo non eseguita, con ciò confessando di avere consapevolmente voluto formare un atto ideologicamente falso quanto a provenienza e contenuto. 6. Il quinto motivo è inammissibile in quanto si sviluppa solo sul piano del merito, laddove il ricorrente si duole della valutazione compiuta dai decidenti di merito delle risultanze probatorie raccolte nella istruttoria dibattimentale e dunque ne sollecita una diversa lettura. Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare un vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa - e per il ricorrente più adeguata - valutazione delle risultanze processuali ex plurimis Cass. Sez. 6, numero 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099 Sez. 2, numero 23419 del 23/05/2007, Rv. 236893 . A fronte della plausibile ricostruzione della vicenda, come descritta in narrativa, e dei precisi riferimenti probatori operati dal giudice di merito, in questa Sede non è ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l'iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e l'insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali ex plurimis Cass. Sez. U, numero 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . 7. Stante l'inammissibilità del ricorso, non v'è materia per la dedotta estinzione del reato per prescrizione. 8. Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma a favore della Cassa della Ammende, che si ritiene congruo fissare nella misura di 1000 euro. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.