No al mantenimento per i minori nati prima del matrimonio se il padre naturale non li riconosce

Non è reato non mantenere i figli nati prima delle nozze. La fattispecie criminosa si configura solo nel caso in cui sia dimostrata la paternità.

La violazione dell’obbligo di assistenza. Nell’ipotesi di minore non nato in costanza di matrimonio, l’obbligazione in capo al padre ex articolo 570, comma 2 numero 2, c.p. di non far mancare i mezzi di sussistenza al minore presuppone la prova della filiazione da acquisirsi o mediante l’atto di riconoscimento formale ovvero mediante altro modo consentito, non esclusa eventualmente l’applicazione della pregiudiziale di stato ai sensi e per gli effetti dell’articolo 3 c.p.p È questo il principio di diritto ribadito dalla Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione che, con la sentenza numero 15952 depositata il 26 aprile 2012, risolve un caso di presunta violazione degli obblighi di assistenza familiare. La mancanza della prova rigorosa. Infatti, nel caso di specie, il presunto padre naturale era stato dichiarato colpevole ai sensi del comma primo e secondo dell’articolo 570 c.p. dal primo giudice di merito. In seguito a gravame dell’imputato, la Corte di Appello territoriale riformava la sentenza di primo grado riducendo la pena inflitta. Contro tale decisione l’uomo ricorre per cassazione lamentando un motivo principale di doglianza sulla base della violazione della legge penale e del vizio di motivazione con riferimento alla valutazione della prova della qualifica di padre naturale che i giudici di merito avevano fondato esclusivamente sulla sola deposizione della madre. Sul punto, secondo la difesa, non vi è alcun dubbio che l’accusa avrebbe dovuto provare in modo rigoroso la qualità di padre naturale dell’imputato. In buona sostanza, si sostiene che la qualità di coniuge, di figlio legittimo e di figlio naturale, costituendo presupposti soggettivi del reato in discussione, devono necessariamente essere provate dall’accusa. Secondo la stessa giurisprudenza di legittimità, sostiene la difesa dell’imputato, ai fini dell’integrazione del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il disconoscimento di paternità opera ex nunc e non ex tunc , con ciò evidenziando che il rapporto di discendenza è connesso essenzialmente ad una situazione ex lege e non a quella di filiazione naturale. Quest’ultima, pertanto, per produrre effetti ha bisogno di un esplicito riconoscimento da parte del padre. Le semplici affermazioni della madre non bastano. La Cassazione non può che accogliere il ricorso dell’imputato, ritenendo fondata la doglianza presentata. Infatti, secondo gli Ermellini, è evidente che nel caso in esame il giudice del merito sia incorso in un errore di diritto nel ritenere provata la qualifica di figlio naturale riconosciuta in capo al minore alla stregua delle sole affermazioni della madre su di un presunto riconoscimento da parte dell’imputato. In realtà, nelle ipotesi di minore nato in costanza di matrimonio l’obbligazione di non far mancare i mezzi di assistenza al minore sussiste proprio in funzione della presunzione di paternità stabilità dal codice civile e si protrae fino all’esperimento con successo del disconoscimento di paternità. Così non è nel caso di minore non nato in costanza di matrimonio. Il giudizio di colpevolezza. In questa ipotesi - verificatasi nella fattispecie concreta – secondo i giudici di Piazza Cavour il riferimento contenuto nella sentenza impugnata alla testimonianza della madre in ordine all’avvenuto riconoscimento del minore ad opera dell’imputato, non essendo confortato da atti giudiziali e neppure da riscontri anagrafici, non è sufficiente a sostenere il giudizio di colpevolezza dell’uomo in ordine alla inosservanza contestata dell’obbligo di mantenimento. Da qui l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello territoriale che –si legge nella sentenza – provveda a colmare l’evidenziata lacuna motivazionale alla stregua dei principi e delle direttive date dal giudice di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 marzo – 26 aprile 2012, numero 15952 Presidente Agrò – Relatore Gramendola Fatto e diritto Con sentenza in data 30/9/2009 il Tribunale di Montepulciano dichiarava M.A. colpevole del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare in danno del figlio minore Al. ex articolo 570 co. 1 e 2 cp., condannandolo alla pena di giustizia e lo assolveva dal medesimo reato in danno del coniuge e del minore N. perché il fatto non sussiste. A seguito di gravame dell'imputato la Corte di Appello di Firenze in parziale riforma della sentenza di primo grado riduceva la pena inflitta, previa concessione delle attenuanti generiche e confermava nel resto. Contro tale decisione ricorre l'imputato a mezzo del suo difensore, il quale a sostegno della richiesta di annullamento articola due motivi. Con il primo motivo denuncia la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in riferimento alla valutazione della prova della qualifica soggettiva in capo all'imputato di padre naturale del minore Al. , che i giudici del merito avevano erroneamente fondato sulla sola deposizione della madre, laddove invece la qualità di coniuge, di figlio legittimo e di figlio naturale, che costituiscono presupposti soggettivi indefettibili del reato de quo, e devono essere debitamente provate dall'accusa in maniera rigorosa. Richiama sul punto il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità a mente del quale ai fini dell'integrazione del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il disconoscimento della paternità, anche se passato in giudicato, opera ex nunc e non ex tunc, per dedurne che il rapporto di discendenza è fondamentalmente connesso ad una situazione ex lege e relativo status e non alla filiazione naturale, situazione di fatto, che al contrario per produrre effetti giuridici ha bisogno di un esplicito riconoscimento da parte del padre o dell'esperimento con successo di un'azione legale di riconoscimento della paternità da parte del figlio o del coniuge more uxorio, di segno evidentemente opposto a quello di disconoscimento esperita dal presunto padre legittimo. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento alla valutazione della prova dei presupposti del reato, costituiti dallo stato di bisogno dell'avente diritto e dell'incapacità economica dell'imputato. Il primo motivo di ricorso è fondato, in esso assorbito il secondo. Ed invero, premesso che la qualità di figlio legittimo o di figlio naturale non può essere provata se non attraverso le forme stabilite dalla legge, è evidente nel caso in esame l'errore di diritto in cui è incorso il giudice del gravame nel ritenere provata la qualifica di figlio naturale riconosciuto in capo al minore Al. alla stregua delle sole affermazioni della madre su di un presunto riconoscimento da parte dell'imputato. Non si è tenuto nel dovuto conto che il minore non è nato in costanza di un matrimonio legittimo, ma in costanza di una convivenza more uxorio. Orbene nell'ipotesi del minore, nato in costanza di un matrimonio l'obbligazione in capo al padre ex articolo 570/2 numero 2 cp. di non far mancare i mezzi di sussistenza al minore sussiste in funzione della presunzione di paternità stabilita dal codice civile e si protrae fino all'esperimento con successo del disconoscimento della paternità, operativo peraltro ex nunc e non ex tunc. Di converso nell'ipotesi del minore non nato in costanza di matrimonio la menzionata obbligazione in capo al padre naturale presuppone la prova della filiazione, da acquisirsi o mediante l'atto di riconoscimento formale ovvero mediante altro modo consentito, non esclusa eventualmente l'applicazione della pregiudiziale di stato ai sensi e per gli effetti dell'articolo 3 cpp. Nella fattispecie in esame il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, alla testimonianza della madre in ordine all'avvenuto riconoscimento del minore Al. ad opera del padre naturale, non confortato da atti giudiziali e neppure da riscontri anagrafici, non è sufficiente a sostenere il giudizio di colpevolezza del ricorrente in ordine alla contestata inosservanza dell'obbligo di mantenimento. Si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata e il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze, che nel demandato nuovo giudizio provveda a colmare l'evidenziata lacuna motivazionale alla stregua dei principi e delle direttive summenzionate. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze.