Azione di rilascio dell’immobile per scadenza del termine: spetta all’attore la prova del vincolo contrattuale

Il comodante può avvalersi, per conseguire il rilascio del bene dato in comodato, sia dell’azione di rivendica, che dell’azione contrattuale, ma, non essendo facoltà del giudice mutare ex officio il titolo della pretesa, la controversia va decisa con esclusivo riferimento al titolo dedotto dall’interessato in caso di azione contrattuale, l’attore ha l’onere di provare non la proprietà del bene, ma l’esistenza del contratto di comodato.

Con la sentenza numero 8590 del 9 aprile 2013, la Corte di Cassazione fornisce alcune indicazioni processuali relative alle modalità con le quali procedere alla richiesta di rilascio dell’immobile concesso a titolo di comodato, ponendosi anche in contrasto con altre decisioni assunte in sede di legittimità. Il caso. La vicenda in questione presenta alcune significative peculiarità, soprattutto per quanto concerne le modalità processuali con le quali vengono proposte le domande, a partire da quella di rilascio dell’immobile che, a dire del proprietario, sarebbe stato messo nella disponibilità di terzi nelle more di un trasloco. Il proprietario, invocando la cessazione del contratto di comodato relativo all’immobile in parola, ne chiede il rilascio, che viene effettivamente concesso in primo grado. Ma in appello la decisione viene riformata, sul rilievo, peraltro confermato dalla Cassazione, che la domanda proposta presupponeva la sussistenza di un contratto di comodato che, per contro, non era stato provato in alcun modo. Prima di verificare la soluzione adottata dai Giudici di Piazza Cavour, a seguire alcune sommarie indicazioni sul contratto di comodato e sulle principali problematiche dello stesso. Comodato come e perché. Con il contratto di comodato articolo 1803 ss. c.c. una parte una consegna ad un’altra parte una cosa mobile o immobile, affinchè se ne serva per uso e per un tempo determinato, con l’obbligo di restituirla. Il comodato è essenzialmente gratuito e il comodatario è obbligato alla restituzione della cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza del termine, quando ha terminato l’uso del bene secondo la pattuizione contrattuale. Comodato sì, anche dietro pagamento di piccoli oneri accessori. Ferma l’essenziale gratuità del comodato, l’eventuale pagamento da parte del comodatario di taluni oneri attinenti al fondo e di alcune spese accessorie è compatibile con il contratto di comodato e non vale, di per sé, a qualificare il rapporto giuridico quale contratto di affitto di fondo rustico, non costituendo lo scopo e l’oggetto del contratto. Comodato e termine di restituzione. Nel contratto di comodato, il termine finale - che rileva, ai sensi degli articolo 1809 e 1810 c.c., ai fini della restituzione del bene in oggetto - può risultare dall’uso cui la cosa deve essere destinata solo in quanto tale uso abbia in sé connaturata una durata predeterminata nel tempo. Nel caso specifico di comodata avente ad oggetto un immobile, qualora manchi una puntuale indicazione della durata, l’uso corrispondente alla generica destinazione dell’immobile configura un comodato a tempo indeterminato e, perciò, a titolo precario, e, dunque, revocabile ad nutum da parte del comodante, secondo la previsione dell’articolo 1810 c.c. Gli obblighi del comodatario. In materia di comodato, il comodatario, pur dovendo mantenere la cosa, per quanto possibile, nel suo stato originario, non risponde del deterioramento dipendente esclusivamente dall’uso della cosa conforme al contratto, né comunque di quello dipendente da fatto a lui non imputabile, ma è responsabile del deterioramento eccedente l’uso conforme al contratto e, in ogni caso di quello dovuto a sua colpa. Le spese del comodatario non sono rimborsabili. Il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante. In un caso, in particolare, relativo al genitore che ha concesso un immobile in comodato per l’abitazione della costituenda famiglia, si è stabilito che lo stesso non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute da uno dei coniugi comodatari durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale. Comodato, separazione e assegnazione in favore del coniuge. Quando un genitore abbia concesso in comodato al proprio figlio un appartamento da destinare a residenza familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge del figlio che sia affidatario di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, dal momento che lo scopo e gli effetti precipui del provvedimento di assegnazione consistono nel mantenere, al di là della separazione coniugale, la stabilità dell’ambiente familiare, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a tempo indeterminato, il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno. La domanda di restituzione del bene l’accertamento del giudice. Per tornare direttamente al tema oggetto della sentenza in commento, è possibile individuare, relativamente alle modalità di rilascio del bene concesso in comodato, due diverse modalità, corrispondenti a due diversi, e contrapposti, orientamenti giurisprudenziali. Nel primo caso, nell’ipotesi in cui l’attore agisca in giudizio qualificando erroneamente come azione di risoluzione la domanda volta ad ottenere la restituzione di un bene oggetto di comodato, la giurisprudenza ha affermato che il giudice non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza fra chiesto e pronunciato. In un caso, in particolare, il tribunale ha ritenuto che l’attore, a prescindere dalla qualificazione formale, avesse inteso esercitare nei confronti del convenuto comodatario un’azione personale di restituzione e di risarcimento dei danni di natura contrattuale. La domanda di restituzione è necessario individuare esattamente il titolo. Diversamente dall’orientamento espresso in precedenza, la pronuncia in esame richiede la necessaria individuazione del titolo per il quale si agisce per la restituzione dell’immobile, nell’ipotesi di comodato. La Corte, infatti, riconosce la possibilità di agire sotto il profilo reale occupazione senza titolo e sotto il profilo contrattuale cessazione del contratto ma qualora, ad esempio, si scelga di agire a titolo contrattuale, è rimessa alla parte che agisce per la restituzione dell’immobile provare la sussistenza del contratto di comodato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 marzo - 9 aprile 2013, numero 8590 Presidente Trifone – Relatore Carleo Svolgimento del processo Con citazione ritualmente notificata Z.E. , premesso di essere proprietario di un'autorimessa posta al piano interrato del fabbricato sito in omissis , data in prestito a Mo.Al. e M.M. perché l'utilizzassero come deposito in occasione di un trasloco, esponeva che, terminate le operazioni di trasloco, l'autorimessa non gli era stata più rilasciata. Ciò premesso, conveniva in giudizio il Mo. e la M. perché fossero condannati all'immediato rilascio del bene. In esito al giudizio, in cui si costituivano i convenuti deducendo di aver stipulato con l'attore un preliminare di compravendita di una villetta a schiera e di due autorimesse e chiedendo in via riconvenzionale la pronuncia di sentenza costitutiva ex articolo 2932 cc, il Tribunale adito condannava i convenuti a rilasciare l'autorimessa, dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale ex articolo 2932 cc, condannava i convenuti alla rifusione delle spese. Avverso tale decisione Mo.Al. e M.M. proponevano appello ed, in esito al giudizio, la Corte di Appello di Brescia con sentenza depositata in data 16 ottobre 2006, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda dello Z. e lo condannava a rifondere in favore degli appellanti le spese del doppio grado. Avverso la detta sentenza il soccombente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Resistono con controricorso il Mo. e la M. , i quali hanno depositato altresì scrittura privata autenticata contenente la nomina di un nuovo difensore nonché memoria illustrativa ex articolo 378 cpc. Motivi della decisione Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli articolo 329 co. 2 cpc, 542 cpc nonché l'omessa motivazione, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello trascurato che il giudice di primo grado aveva accolto la domanda di rilascio non solo sotto il profilo della cessazione del comodato ma anche sotto il profilo dell'occupazione senza titolo mentre gli appellanti avevano impugnato la decisione per vizio di ultrapetizione, per non aver l'attore esercitato l'azione reale per la quale il giudice di primo grado aveva accolto la domanda. Il motivo pertanto era privo di specificità. Ciò posto, fondandosi la decisione su più ragioni autonome, non tutte impugnate, l'appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. La censura è infondata. Al riguardo, al fine di inquadrare con maggiore chiarezza i termini della controversia, torna opportuno premettere che, come risulta dalla sentenza di primo grado, lo Z. , premesso di essere proprietario di un'autorimessa, posta al piano interrato del fabbricato sito in Costa Volpino alla via Nullo, che gli era stata chiesta in prestito da Mo.Al. e M.M. per utilizzarla come deposito in occasione di un trasloco, esponeva in citazione che, terminate le operazioni di trasloco, l'autorimessa non gli era stata più restituita. Ciò posto, chiedeva che il Mo. e la M. fossero condannati all'immediato rilascio, in suo favore, dell'autorimessa ricevuta in prestito vedi pag. 4 della sentenza di primo grado . Sulla scorta di tale rappresentazione dei fatti, non vi è dubbio quindi che l'azione proposta dallo Z. andasse inquadrata nell'ambito della previsione normativa di cui agli articolo 1803 e cc, fondandosi la causa petendi su un pregresso contratto di comodato, che sarebbe intercorso tra le parti, ed il petitum sul diritto alla restituzione del bene consegnato, conseguente all'asserita estinzione di detto contratto. Fatto sta che il giudice di primo grado, dando credito alla tesi dei convenuti, i quali avevano negato che il bene fosse stato loro dato in comodato dall'attore v. pag. 9 della sentenza , ha condannato i convenuti a rilasciare l'immobile a favore dell'attore in quanto era pacifico tra le parti che quest'ultimo fosse proprietario dell'autorimessa ed in quanto i convenuti, che non avevano contestato il diritto di proprietà dell'attore, non avevano dato prova dell'esistenza di un titolo tale da giustificare la loro permanenza nella detenzione della cosa cfr pag. 8 della sentenza . Da ciò la decisione della Corte d'Appello, la quale, premesso che l'attore non aveva esercitato l'azione reale per la quale il primo giudice aveva accolto la domanda, ha ritenuto configurabile il vizio di extrapetizione ed ha concluso per l'erroneità della sentenza impugnata per aver accolto la domanda opinando di poter sostituire d'ufficio la causa petendi affidata al contraddittorio e fondata su di un rapporto obbligatorio, con la situazione dell'immobile dal punto di vista dei diritti reali . Ora, il ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe trascurato che la decisione appellata aveva accolto la domanda di rilascio del bene non solo sotto il profilo reale occupazione senza titolo ma anche sotto il profilo contrattuale cessazione del comodato e che gli appellanti non avevano impugnato la decisione anche con riferimento alla seconda ratio decidendi, onde l'inammissibilità dell'intero appello. La tesi è assolutamente infondata. Ed invero, l'orientamento giurisprudenziale richiamato dal ricorrente richiede indispensabilmente che la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su due o più rationes decidendi , le quali siano diverse tra loro ed idonee, ciascuna di esse, a giustificarne autonomamente le statuizioni. In tal caso, la circostanza che l'impugnazione sia rivolta soltanto contro una di esse determina una situazione nella quale il giudice dell'impugnazione deve prendere atto che la sentenza, in quanto fondata sulla ragione della decisione non criticata dall'impugnazione, è passata in cosa giudicata e desumere, pertanto, che l'impugnazione non è ammissibile per l'esistenza del giudicato. Occorre pertanto che la ratio decidendi, per essere tale e rivestire adeguatamente tale funzione, sia di per sé sola idonea a sorreggere la decisione, il che postula necessariamente che sia espressa dal giudice in termini di rigorosa certezza, in quanto fondata su concrete e verificate risultanze processuali, e non consista quindi in una argomentazione svolta ad abundantiam o addirittura resa in forma meramente ipotetica, come è invece avvenuto nella specie. Ed invero, come risulta dalla lettura della sentenza di primo grado, il giudice di prime cure, accenna all'esistenza del contratto di comodato intercorso tra le parti in termini di mera eventualità. E ciò, dopo aver evidenziato che gli stessi convenuti avevano negato che l'autorimessa fosse stata data loro in comodato, ed utilizzando l'ipotesi dell'eventuale contratto, comunque cessato, come mero argomento dialettico per escludere che i convenuti potessero vantare alcun titolo legittimante l'occupazione dell'autorimessa. Ne deriva il rigetto del motivo di impugnazione. Passando all'esame dei due successivi motivi di impugnazione, deve osservarsi che con la seconda doglianza, svolta per violazione dell'articolo 2697 cc, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver il giudice di appello erroneamente ritenuto che incombesse all'attore dar prova del comodato. Inoltre - il rilievo sostanzia l'ultima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli articolo 115 cpc, 1809, 1810 e 2697 cc nonché sotto il profilo della motivazione insufficiente e contraddittoria - la Corte di Appello avrebbe omesso di motivare sulle ragioni per cui dalla deposizione del teste Z.G. non si ricaverebbe la prova del comodato. Infine, avrebbe reso una motivazione contraddittoria affermando da un lato la necessità che spettava all'attore dar prova del comodato ed omettendo di esaminare dall'altro le risultanze della prova orale assunta e la documentazione versata dall'attore. I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili, prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro, sono entrambi inammissibili. Ciò, per difetto di correlazione con la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata - ripetesi - sul seguente duplice rilievo 1 che l'attore aveva esplicitamente titolato la pretesa con riferimento all'obbligo, contrattualmente pattuito e per contratto assunto, di rilasciare l'immobile al venir meno delle esigenze temporanee per il cui soddisfacimento il comodato era stato stipulato . 2 che il giudice di primo grado aveva accolto la domanda opinando di poter sostituire d'ufficio la causa petendi affidata al contraddittorio e fondata su di un rapporto obbligatorio con la situazione dell'immobile dal punto di vista dei diritti reali . La ragione della decisione di secondo grado si basa pertanto sulla ritenuta sussistenza della violazione, da parte del primo giudice, del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non avendo l'attore in prime cure esercitato l'azione reale per la quale invece il Tribunale di Bergamo aveva accolto la domanda. Tutto ciò considerato, appare evidente come le censure proposte eludano il punto nodale della pronunzia e non siano correlate con la ratio decidendi della decisione impugnata, contrapponendosi a mere argomentazioni rese per incidens dalla Corte di merito e difettando della necessaria specificità, attesa la non riferibilità delle censure alle ragioni fondamentali della sentenza d'appello, tentando in tal modo di riaprire il dibattito su un tema, l'esistenza del contratto di comodato, escluso dal giudice di prime cure, non riproposto ritualmente nel tema decisionale d'appello e trattato dalla Corte di merito solo ad abundantiam. Ed è appena il caso di osservare che le ragioni di gravame, per risultare idonee a contrastare la sentenza impugnata, devono correlarsi con la stessa, in modo che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultino contrapposte quelle dell'impugnante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. numero 140/2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, ed Euro 200,00 per esborsi.