Il professionista aveva presentato alla Procura della Repubblica la denuncia nei confronti di un sostituto procuratore per il delitto di tentata estorsione. L’assenza della consapevolezza dell’innocenza del magistrato impone il proscioglimento dell’imputato accusato di calunnia.
La calunnia La calunnia è un venticello così il Maestro Rossini iniziava a descrivere questa forma di maldicenza e falsa accusa che imperversa tra il genere umano. Cosa forse singolare è quando di tale reato viene accusato un avvocato nei confronti di un magistrato, soprattutto se in relazione alla accusa di aver commesso, da parte del giudice, il delitto di tentata estorsione, a fronte di un apparente bonario tentativo di transazione ! . È questa, in estrema sintesi, la vicenda affrontata dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza numero 10997 depositata il 21 marzo 2012, decide per l’inammissibilità del ricorso presentato dal magistrato. e la prospettata estorsione. Il G.U.P. del Tribunale di Napoli aveva dichiarato, con sentenza ex articolo 425 c.p.p., . il non doversi procedere nei confronti dell’imputato – un avvocato penalista - per il reato di calunnia perché il fatto non costituisce reato. In particolare, l’avvocato aveva presentato alla Procura della Repubblica la denuncia, nei confronti di un sostituto procuratore – successivamente proponendo anche atto di opposizione alla richiesta di archiviazione del conseguente procedimento - per il delitto di tentata estorsione, affermando che il magistrato aveva formulato la richiesta del versamento della somma di € 50.000, prospettando l’attivazione di vicende giudiziarie nei confronti dello stesso avvocato, avvalendosi quale mediatore di un ex agente di polizia giudiziaria, in servizio presso la segreteria della Procura della Repubblica, soggetto condannato per associazione per delinquere di stampo mafioso. L’inammissibilità del ricorso assenza della consapevolezza in capo all’imputato dell’innocenza del magistrato accusato. Nella sentenza del G.U.P., viene rilevato il contesto di esasperata conflittualità di cui si sono resi protagonisti – si legge tra le righe – due operatori del diritto del medesimo circondario, pur animati da assoluta buona fede circa il convincimento dell’altrui responsabilità penale, civile o disciplinare contrasto acuito dall’intervento di terzi che si erano intromessi nella vicenda alimentando ancor di più gli equivoci, fraintendimenti e le reciproche diffidenze Rossini docet ! . In realtà, sostiene il G.U.P. del Tribunale, è di tutta evidenza - “ per tabulas ” - l’assenza della consapevolezza da parte dell’imputato dell’innocenza del magistrato e dell’ex agente. Da ciò il proscioglimento dell’avvocato perché il fatto contestato non risultava sorretto dall’elemento soggettivo del delitto di calunnia e quindi non costituendo reato. Contro la decisione propongono ricorso sia il Procuratore della Repubblica sia il magistrato, costituitosi già parte civile. Le contestazioni si concentrano soprattutto in ordine alla non correttezza del giudizio prognostico del G.U.P., ma gli Ermellini affermano che i gravami prospettati non superano la soglia di ammissibilità. In realtà, la scansione cronologica della vicenda chiarisce la manifesta assenza della consapevolezza in capo all’imputato dell’innocenza del magistrato accusato e, quindi, la giustificazione ragionevole dell’inutilità dell’ulteriore fase dibattimentale. La sequenza storica della vicenda. I giudici del Palazzaccio “snocciolano” razionalmente i fatti che portano alla corretta conclusione assunta dal G.U.P. del Tribunale, a partire dagli esiti della integrazione probatoria mediante l’audizione di due testi che confermano l’improvvisa telefonata dell’ex agente di polizia giudiziaria che avvertiva l’avvocato della sua imminente e realizzata visita nel suo studio e, soprattutto, della percepita reazione dei testi sullo stato emotivo dell’avvocato che, riferì nell’immediatezza, di ave ricevuto una richiesta di denaro da parte di un magistrato. In effetti, durante la conversazione tra l’avvocato e l’ex agente – opportunamente registrata dal professionista – emerge la possibilità di evitare un procedimento penale a condizione di versare al magistrato la somma di 53mila euro. Lo stesso ex agente, prospettando circostanze non conosciute dall’avvocato, nonché la possibilità di porre fine alla questione con l’esborso una ingente somma di denaro, aveva indotto l’imputato a ritenere erroneamente che il magistrato avesse inviato a lui il mediatore per indurlo all’esborso richiesto. Tentata estorsione o tentativo di transazione? In realtà, prosegue la Cassazione, il G.U.P. ha accertato la verità storica di quanto riferito all’imputato, correttamente ritenendo che l’avvocato fosse convinto della propria accusa e della colpevolezza dell’accusato. In buona sostanza, pur affermando in linea con la lettura dei fatti che anche l’ex agente di polizia giudiziaria fosse in buona fede, il G.U.P. del tribunale ha correttamente spiegato nella sua decisione che per i toni adoperati dallo stesso mediatore e per le parole espresse, si è contribuito in modo determinante ad ingenerare nell’imputato il convincimento che quella che gli veniva apparentemente prospettata come una bonaria soluzione transattiva di una ipotetica e non attuale lite giudiziaria fosse in realtà una vera e propria richiesta di denaro, proveniente dal diretto interessato – il magistrato - per il tramite di un soggetto che per anni era stato impiegato nella sua segreteria. Da qui la correttezza del giudizio prognostico operato dal G.U.P. e la conseguente inammissibilità dei ricorsi proposti con la condanna al pagamento delle spese processuali per il magistrato.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 7 – 21 marzo 2012, numero 10997 Presidente Agrò – Relatore Lanza Ritenuto in fatto e considerato in diritto La parte civile A S. , magistrato del P.M., ed il Procuratore della Repubblica di Napoli ricorrono avverso la sentenza ex articolo 425 cod. proc. penumero 12 aprile 2011 del G.U.P. del Tribunale di Napoli che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di C.V. avvocato penalista, nato il omissis , per il reato di calunnia, perché il fatto non costituisce reato , deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati. 1. l'accusa di calunnia e la sentenza di non luogo a procedere ex articolo 425 C.P.P C.V. avvocato penalista del foro di omissis è accusato del delitto previsto e punito dall'articolo 81. 368 cp., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con denuncia presentata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli e con atto di opposizione alla richiesta di archiviazione formulata dalla Procura della repubblica di Napoli nell'ambito del procedimento XXXXXXXX, falsamente accusava, sapendolo innocente, S.A. sostituto procuratore delle Repubblica di omissis e Co.Fr. , già agente di Polizia giudiziaria in servizio presso la Segreteria della Procura di omissis , e successivamente cliente dell'avv. C. per vicende in tema di criminalità organizzata del delitto di tentata estorsione, in particolare affermando che il S. avesse formulato la richiesta del versamento della somma di Euro 50.000, con modalità riconducibili a quelle descritte dall'articolo 7 legge 203/1991, prospettando l'attivazione di azioni giudiziarie in danno del C. atto di opposizione del 22 gennaio 2009 , ed avvalendosi quale mediatore del Co. , soggetto condannato per associazione per delinquere di stampo mafioso denuncia del 13.10.2008 in Napoli, ed atto di opposizione del 22.1.2009 . La gravata sentenza, dopo aver più volte evidenziato pag. 4 e 5, il contesto di esasperata conflittualità che ha visto protagonisti due operatori del diritto, del medesimo circondario, pur animati da assoluta buona fede circa il convincimento dell'altrui responsabilità penale, civile o disciplinare , ha spiegato che tale contrasto tra esponenti della magistratura e dell'avvocatura si era acuito per l'intervento di terzi, che si erano intromessi alimentando ancor di più gli equivoci, i fraintendimenti e le reciproche diffidenze . In tale cornice espositiva il provvedimento, a seguito di un'analisi delle emergenze e delle scansioni processuali della vicenda, ha concluso sostenendo la sussistenza per tabulas , dell'assenza della consapevolezza, da parte dell'imputato avv. C. dell'innocenza del magistrato S. e del Co. , in ordine alle accuse loro rivolte nella denuncia del 13.10.2008 e nel successivo atto di opposizione all'archiviazione, situazione, questa che ha imposto, giusta le testuali espressioni che precedono il dispositivo, di procedere, già in questa sede, al proscioglimento dell'imputato poiché il fatto a lui contestato non risulta sorretto dall'elemento soggettivo del delitto di calunnia e, pertanto, non costituisce reato . 2. I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione della Corte. Vi sono in atti due ricorsi il primo del Procuratore della Repubblica di Napoli ed il secondo della costituita parte civile A S. . Con un unico motivo di impugnazione la parte pubblica prospetta violazione di legge e vizio di motivazione per contraddittorietà della stessa, in ordine alla correttezza del giudizio prognostico, tenuto conto che, tra l'altro, la sentenza di non luogo a procedere ex articolo 425 C.P.P. ha testualmente definito assurda ed inverosimile la condotta prospettata ed attribuita alla consapevolezza del magistrato, il quale ha agito per il tramite del Co. . La parte civile lamenta, negli stessi termini del Procuratore della Repubblica, violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo che la sentenza di proscioglimento del G.U.P., erroneamente applicando le norme dettate in tema di natura e configurabilità del dolo, non ha minimamente tenuto in considerazione, tra l'altro gli indicatori di responsabilità emergenti agli atti, così ampliando, oltre ogni ragionevolezza, la valenza delle dichiarazioni dell'imputato che, solo apparentemente corroborate dalle dichiarazioni inconferenti dei testi dell'ultima ora e suoi amici fidati, ha aperto una illegittima falla nella configurabilità del delitto di calunnia in danno del dr. S. . Il difensore dell'imputato, con memoria ritualmente depositata, prospetta l'inammissibilità del ricorso del Procuratore della Repubblica, in ogni caso privo di fondamento, in un contesto di dati che rende del tutto inutile la fase dibattimentale. Nella stessa memoria è pure sostenuta l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso della parte civile. I gravami non superano la soglia dell'ammissibilità. Premesso che il giudice dell'udienza preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere ex articolo 425 C.P.P. in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa approdare ad una soluzione conforme alla prospettazione accusatoria, va tuttavia precisato I che la sentenza di non luogo a procedere esprime una valutazione prognostica negativa circa l'eventuale condanna in giudizio e non un convincimento intorno ad un accertamento svolto ai fini di una possibile condanna Cass. penumero sez. 2, 28743/2010 Rv. 247860 II che soltanto una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all'accusa, del materiale probatorio può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere Cass. penumero sez. 5, 22864/2009 Rv. 244202 III che il controllo della Corte di cassazione sul vizio di motivazione della sentenza di non luogo a procedere deve essere riferito alla prognosi sull'eventuale accertamento di responsabilità alla stregua dei risultati provvisoriamente offerti dagli atti di indagine, nonché delle prove irripetibili o assunte in incidente probatorio Cass. penumero sez. 5, 10811/2010 Rv. 246366 . Orbene, venendo al caso di specie, ritiene la Corte, la correttezza dell'assunto del G.U.P. circa la prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all'accusa, del materiale probatorio in atti. Il dato di fondo, utilizzato nella decisione impugnata è la prova, ritenuta manifesta per tabulas , dell'assente consapevolezza in capo all'imputato dell'innocenza del dr. S. e del Co. , desunta da un complesso articolato di valutazioni, che accompagnano la sequenza cronologica delle condotte, le quali giustificano, ragionevolmente, l'Inutilità dell'ulteriore fase dibattimentale, avuto preciso riguardo a agli esiti della integrazione probatoria, disposta dal G.U.P. ex articolo 422 cod. proc. penumero , mediante l'audizione dei testi L.F. e D.P.S. , i quali hanno testimoniato sulla telefonata imprevista del Co. che avvertiva il C. della sua imminente, e poi realizzata, visita nello studio del professionista b alla percepita reazione dei testi circa lo stato emotivo dell'avvocato, il quale riferì loro, nell'immediatezza della detta visita, di aver ricevuto una richiesta di denaro da parte di un magistrato c alla conversazione registrata dal C. tra il C. ed il Co. nel corso della quale l'interlocutore dell'odierno imputato informa l'avvocato della imminenza dell'apertura delle indagini a suo carico, informandolo di vicende che, in quel momento, il professionista non avrebbe potuto apprendere altrimenti, nonché della possibilità di evitare un nuovo procedimento penale, a condizione di versare al magistrato la somma di 53 mila Euro d alla valorizzazione di quella parte della conversazione nella quale il Co. , riferendosi al dr. S. , ha dichiarato “ha detto a me, se mi danno i soldi, io non voglio sapere chi me li da i soldi . se mi danno i soldi io levo da mezzo la parte civile, non mi costituisco tra l'appello questo e quest'altro il reato finisce in prescrizione e alla conseguente logica considerazione che, avendo il Co. informato il C. della circostanza sub c , altrimenti sconosciuta, prospettandogli nel contempo la possibilità di porre fine all'annosa questione con l'esborso di un'ingente somma di danaro, si era in tal modo inevitabilmente indotto il C. a ritenere, erroneamente, che il S. avesse inviato da lui il Co. per indurlo all'esborso richiesto. La conclusione del G.U.P., assolutamente in linea con la scansione documentata degli eventi, è stata quindi nel senso che i toni e le espressioni, adoperate nel corso della medesima conversazione, attesterebbero in modo univoco, che il Co. lasciò volutamente intendere all'avvocato C. , di agire in vece del dottor S. . La gravata sentenza rafforza infine l'assunto del ragionevole convincimento che il dottor S. fosse il mandante del Co. , e che questi fosse stato investito del compito di sollecitare il C. a versare la somma richiesta, rilevando ancora - che a più riprese il Co. aveva riferito al C. che il magistrato gli aveva fatto leggere le dichiarazioni rese nei suoi confronti dal C. stesso che gli aveva pure chiesto consiglio su come comportarsi, precisando che prima di incontrare il C. è stato lì in Procura per più di due ore e che le cose non stanno bene - che il Co. , pur non dichiarando espressamente di agire di concerto con il magistrato, si era offerto di organizzare un incontro chiarificatore tra il dottor S. e l'avvocato C. , incontro al quale egli stesso avrebbe partecipato. In sostanza, per il G.U.P., una volta acclarata, tramite l'escussione dei testi e l’esame del contenuto della conversazione con il Co. , registrata dallo stesso C. , la verità storica di quanto riferito dall'imputato, in sede di denuncia e nell'atto di opposizione all'archiviazione, asseritamente calunniosi ossia dell'avere ricevuto dal Co. la richiesta di una somma di danaro e di avere, ritenuto che tale richiesta provenisse anche dal Dott. S. , appare evidente e documentalmente provato che in tale circostanza l'odierno imputato fosse convinto della fondatezza della propria accusa e della colpevolezza dell'accusato. Si tratta di una argomentazione corretta e adeguata, espressa in modo logico e lineare, rispettosa delle acquisizioni e ai dati processuali, e, per ciò insindacabile in questa sede, se non mediante una non consentita rivalutazione e reinterpretazione del compendio probatorio utilizzato. Le ulteriori considerazioni di tipo psicologico della gravata sentenza, criticate dal Procuratore della Repubblica ricorrente, sulla assurdità ed inverosimiglianza dell'ipotesi che un magistrato del P.M. abbia inviato, ad un avvocato penalista, qualcuno per tentare di ottenere il pagamento di una somma, in realtà non dovuta, non toccano affatto la correttezza della giustificazione della decisione formulata in punto di insussistenza del delitto di calunnia. Devesi infatti in proposito ribadire, innanzitutto, che l'esperienza giudiziaria insegna che su tale tema non vi è nulla di inverosimile, e che, in secondo luogo, ciò che rileva, ai fini della imputazione ex articolo 368 cod. penumero , non è la teorica plausibilità ed astratta accettabilità del fatto riferito, anche se paradossale, ma la concreta realtà dello stesso, senza dimenticare che il Co. , nel suo relazionarsi con il C. , ha dimostrato un patrimonio di conoscenza, anche giudiziaria, il quale, per i tempi e le modalità di comunicazione, ben potevano indurre ed accreditare l'erroneo convincimento in capo all'avv. C. di trovarsi di fronte a richieste provenienti dal magistrato. Infine, in linea con tale lettura dei fatti, il G.U.P., pur affermando che non vi sono elementi per dubitare della buona fede del Co. , ha correttamente spiegato che, per i toni da lui adoperati, per le parole espresse, egli ha contribuito in modo determinante ad ingenerare nell'imputato il convincimento che quella che gli veniva apparentemente prospettata come una bonaria soluzione transattiva di un'ipotetica e non attuale lite giudiziaria , fosse in realtà una vera e propria richiesta di danaro, proveniente dal diretto interessato, per il tramite di un soggetto il Co. che per anni era stato impiegato nella sua segreteria. I ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili con condanna della ricorrente parte civile alle spese processuali e alla somma che si ritiene equa di Euro mille in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna S.A. al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.