Rapporto conflittuale e moglie umiliata: esclusa l’ipotesi di maltrattamenti

Cadono le accuse nei confronti del marito. Ricostruite le dinamiche della coppia i singoli episodi attribuiti all’uomo non sono sufficienti per considerare vessata la consorte. Essi piuttosto vanno valutati come reazione ai comportamenti della donna.

Rapporto di coppia conflittuale, complicato, quasi schizofrenico. L’andamento assolutamente altalenante nella vita dei coniugi rende i comportamenti violenti e offensivi tenuti dal marito catalogabili come reazione, seppure spropositata, nei confronti della moglie. Respinta, quindi, la visione accusatoria, che puntava alla condanna dell’uomo per il reato di “maltrattamenti in famiglia” Cassazione, sentenza numero 27088/17, sez. VI Penale, depositata oggi . Reazione. Riflettori puntati sui comportamenti tenuti dal marito nei confronti della donna. Lui, per un anno, ha sottoposto la moglie a «spinte, percosse, ingiurie e comportamenti umilianti». Nonostante la ricostruzione dei diversi episodi, però, viene respinta dalla Corte d’appello l’ipotesi di una condanna. Per i giudici non si può parlare di «maltrattamenti in famiglia». Decisivo è il contesto familiare, caratterizzato da rapporti poco decifrabili. Su questo fronte i giudici tracciano un quadro chiaro è stato l’uomo, visti i contrasti con la moglie, a chiedere la separazione, ma lei si è opposta, correndo dal marito poi però è stata proprio lei ad allontanarsi, anche fisicamente, dedicandosi alla propria vita da single successivamente è arrivato l’ennesimo ripensamento della donna, con continui tentativi di convincere il marito a ritornare con lei. Va esclusa, spiegano i giudici l’ipotesi di «un rapporto di predominanza di un partner sull’altro e di una situazione di vessazione della vittima». Di conseguenza, le deprecabili condotte tenute dall’uomo sono «azioni sicuramente illecite, integranti percosse e umiliazioni in danno della moglie», ma vanno collocate, annotano i giudici, «nell’ambito di un rapporto conflittuale» e vanno lette «quale abnorme reazione occasionata da specifici comportamenti posti in essere dalla donna». Impossibile perciò ritenere che l’uomo avesse «la volontà di determinare nella consorte un disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di vita».

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 aprile – 30 maggio 2017, numero 27088 Presidente Conti – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 1 aprile 2016, la Corte di appello di Genova, in riforma della decisione pronunciata in primo grado dal Tribunale di Genova, ha assolto Gr. Be. dall'accusa relativa al reato di maltrattamenti in famiglia in danno della moglie, contestato come commesso tra il dicembre 2011 ed il novembre 2012, mediante spinte, percosse anche produttive di lesioni, ingiurie e comportamenti umilianti, perché il fatto non sussiste, e ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo per il reato di lesioni personali, per essere detto reato estinto per remissione di querela. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la precisata sentenza il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Genova, esponendo due motivi. 2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'articolo 572 cod. penumero , a norma dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , avendo riguardo alla configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia. Si deduce che la sentenza impugnata è pervenuta ad una decisione di assoluzione ritenendo l'insussistenza di un rapporto di stabile convivenza tra l'imputato e la persona offesa, trascurando l'esistenza del vincolo matrimoniale tra i due e la sicura verificazione di significativi periodi di convivenza tra i medesimi. Tale conclusione si pone in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la necessità della convivenza anche nel caso di un rapporto familiare di mero fatto, o comunque quando è cessata la convivenza, se permane il vincolo di coniugio o di filiazione. 2.2. Con il secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , avendo riguardo alla configurabilità e sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia. Si deduce che la sentenza esclude l'effettività di una stabile convivenza pur dando conto del rapporto di coniugio e dell'esistenza di una relazione sentimentale ed affettiva tra imputato e persona offesa. La pronuncia, inoltre, è illogica, quando valorizza in una prospettiva assolutoria l'andamento altalenante nel tempo delle dichiarazioni della persona offesa trattasi di comportamento tipico del denunciante del reato di maltrattamenti in famiglia. Ancora, il giudice di appello ha violato l'obbligo di motivazione rafforzata, necessaria, atteso il ribaltamento della decisione di primo grado. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate. 2. Occorre premettere che, indubbiamente, è corretta l'osservazione contenuta nel ricorso, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, l'esistenza di un vincolo matrimoniale esclude la necessità della sussistenza di un rapporto di stabile convivenza tra autore e vittima, in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità cfr., tra le tantissime, Sez. 2, numero 30934 del 23/04/2015, Trotta, Rv. 264661 Sez. 2, numero Sez. 6, numero 33882 del 08/07/2014, C. Rv. 262078 . 3. Tuttavia, per l'integrazione del delitto di cui all'articolo 572 cod. penumero , come evidenziano numerose pronunce, è necessaria una condotta di «vessazione» continuativa, che, pur potendo essere inframmezzata da periodi di calma , deve costituire fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita, poiché altrimenti deve escludersi l'abitualità del comportamento, implicita nella struttura normativa della fattispecie, ed i singoli fatti che ledono o mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia conservano la propria autonomia di reati contro la persona cfr., per tutte, Sez. 6 numero 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv 226794 . 3.1. Nella vicenda in esame, la sentenza impugnata ritiene, innanzitutto, l'insussistenza di un rapporto di «predominanza» di un partner sull'altro e di una situazione di «vessazione» della vittima. Rappresenta poi così l'evoluzione dei rapporti dopo i primi contrasti, fu l'imputato, e non la persona offesa, a chiedere la separazione nella primavera del 2012 fu, invece, quest'ultima a decidere di abbandonare Bologna, di raggiungere il marito a Genova e di convivere con lo stesso. Successivamente, sempre nel corso del 2012, la donna ritornò a Bologna, nel monolocale appena acquistatole dai genitori ed ospitò presso di sé un'amica, così da impedire al marito di convivere quindi, iniziò ad uscire da sola con amici, dicendo di non essere ancora pronta al matrimonio, pur essendo sposata, tanto da indurre il coniuge a ritornare da solo a Genova, e a trasferirsi in un albergo. Infine, dopo tali fatti, la persona offesa continuò a cercare il marito, portandogli piccoli doni, fotografie, fiori, e cibi, per convincerlo a tornare con lei, ma l'uomo rimase fermo nella propria scelta di porre fine al rapporto. E' in questo contesto che si sono verificati le percosse e le condotte altrimenti offensive dell'onore della vittima. 3.2. Stante la necessità, ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, di una condotta di «vessazione» continuativa, la decisione di assoluzione risulta corretta. Le osservazioni esposte dalla Corte d'appello in ordine all'assenza di «vessazione» risultano immuni da vizi, anche nel procedimento logico di accertamento e ricostruzione dei fatti. I giudici di secondo grado, in effetti, evidenziano l'esistenza di un rapporto tra ricorrente e persona offesa nel cui ambito, da un lato, quest'ultima ha assunto atteggiamenti indicativi dell'assenza di stabili condizionamenti da parte del primo, come quelli costituiti dall'ospitare un'amica e tenere fuori casa il marito, o dal frequentare liberamente persone alle quali diceva di non essere ancora pronta al matrimonio nonostante fosse sposata, e, dall'altro, è stato per ben due volte l'imputato a voler porre fine al legame di coniugio, la seconda volta restando fermo nel suo proposito nonostante le insistenze della moglie. Le condotte dell'imputato, quindi, vengono assunte, in modo non manifestamente illogico, come azioni sicuramente illecite, integranti percosse ed umiliazioni in danno della persona offesa, ma prive del connotato dell'abitualità, in quanto verificatesi nell'ambito di un rapporto conflittuale, e di volta in volta commesse quale abnorme reazione occasionata da specifici comportamenti posti in essere da quest'ultima perciò, non come espressione della volontà di determinare nella vittima un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita. I fatti come ricostruiti dalla sentenza impugnata, in altri termini, non risultano sussumibili nel reato di maltrattamenti in famiglia, ma integrano distinti episodi di percosse, di lesioni, ed eventualmente di diffamazione, non perseguibili per difetto o rimessione accettata di querela. 4. Alla complessiva infondatezza delle doglianze, segue il rigetto del ricorso. In considerazione di quanto previsto dall'articolo 616 cod. proc. penumero , essendo il ricorrente una parte pubblica, non si dispone condanna dello stesso al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso.