La contestazione dell’associazione a delinquere: vince il criterio della permanenza temporale

In materia di associazione a delinquere, prevale il criterio della permanenza temporale su quello della specificità del programma criminoso. La Cassazione chiarisce inoltre la distinzione fra i reati di formazione e di utilizzo di atto falso.

Più imputati ricorrono avverso la sentenza di condanna che aveva accertato la truffa consumata ai danni di alcuni istituti di credito svizzero, a cui i ricorrenti avrebbero fornito in pegno false polizze assicurative emesse da una filiale fantasma ubicata in territorio italiano, al fine di garantire la richiesta di ingenti finanziamenti. Alcuni ricorrenti impugnavano la contestazione del precostituito sodalizio criminale ex articolo 416 c.p., altri il valore penalmente rilevante della partecipazione, morale o materiale, alle condotte in realtà realizzate. L’asserita grossolanità del falso documentale, inoltre, avrebbe impedito l’attribuzione di una valenza penale al meccanismo truffaldino realizzato. La Cassazione, numero 39378, Quinta Sezione Penale, depositata il 5 ottobre 2012, accogliendo solo in parte le impugnazioni e sol per uno dei ricorrenti, si pronuncia nei termini di cui d’appresso. Per l’associazione a delinquere va verificato il criterio temporale. La Cassazione precisa i criteri discretivi che soggiacciono ad una imputazione per associazione a delinquere, in luogo della contestazione della continuazione del reato ex articolo 81 c.p Il sodalizio deve possedere una struttura temporalmente solida, destinata a protrarsi nel tempo a mezzo di relazioni personali e di una continuità materiale tali da consentire l’avvalersene per più di un episodio delittuoso. Se la permanenza del sodalizio ne costituisce il nerbo sostanziale, ben può l’associazione a delinquere essere contestata anche laddove le medesime strutture possiedano un grado solo programmatico o pur anche grezzo e rudimentale, la cui attitudine criminale andrebbe verificata in concreto. La permanenza del sodalizio criminale ha finito per dilatare la categoria dell’imputazione ex articolo 416 c.p., con l’effetto di prevalere sulla verifica della qualità e della conseguente idoneità delle strutture materiale ed ideale a compiere reati. In linea con la sentenza in commento, anche quelle giurisprudenze di merito e di legittimità che dalla mera generalità del programma criminale non hanno tratto elementi ostatitivi al riconoscimento del patto associativo. Risiedono, per la verità, anche esigenze di carattere procedurale una contestazione, giurisprudenzialmente sostenibile, per un reato associativo, più grave di quelle ipotizzabili per i singoli reati-scopo, consente maggiori margini di intervento di tipo investigativo – v. ad es. intercettazioni telefoniche. La distinzione fra il fautore ed il mero utilizzatore di un falso documentale. La Cassazione chiarisce la corretta semantica del reato ex articolo 485 c.p., per altro in conformità con il tono giurisprudenziale prevalente. “Forma” il falso documentale anche colui che integra, anche solo moralmente o a mezzo di un puro supporto incentivo, l’attività dissimulatrice del materiale esecutore del reato. L’asticella probatoria dunque si riduce. Vi è una ragione processuale spesso con difficoltà, nella prassi giudiziale, il giudice riesce a verificare la prova della materiale esecuzione del falso mentre più agevolmente è dato rinvenire chi lo utilizza, di sovente al fine di commettere altri e distinti reati. In quest’ultimi casi, l’inferenza giudiziale consente di poter attribuire quel falso a colui che, stavolta materialmente e con prova più solida, lo utilizza ad uno scopo criminale. Altrimenti, esigere il massimo rigore probatorio per la verifica dell’esecutore materiale del falso, accederebbe allo svuotamento sostanziale della fattispecie ex articolo 485 c.p. Di seguito, commette il meno grave reato di utilizzo di falso documentale, ex articolo 489 c.p., solo l’estraneo tout court alla materiale e morale commissione del falso. La verifica dell’”induzione in errore” nel reato di truffa. La Cassazione riprende uno dei punti di controversi interni alla fattispecie di truffa, in grado di originare delle diffuse difformità applicative. L’idoneità degli artifizi e raggiri all’induzione in errore della persona offesa va verificata in concreto, l’insieme degli atti disposti dal reo deve possedere una carica dissimulatrice verificabile hit et nunc , nelle reali condizioni circostanziali di riferimento, compresa la qualità ed i caratteri della vittima. Verificata l’idoneità, l’esame giudiziale, realizzato l’inganno ed il relato danno patrimoniale recato alla persona offesa, non si estende alla scusabilità dell’errore, ossia alla mancata resistenza della vittima a fronte di un tentativo truffaldino - pur anche evidente in alcuni suoi elementi -, potendo questa essere determinata, fra le altre circostanze, anche dal sentimento di fiducia che di sovente relaziona il reo alla persona offesa depauperata. La necessaria consequenzialità fra impugnazione principale e motivi aggiunti. La Cassazione specifica non è possibile avanzare - nei motivi nuovi ex articolo 584, quarto comma c.p.p. – elementi che abbiano ad oggetto il trattamento sanzionatorio applicato nella sentenza appellata, quando il gravame principale ha avuto ad oggetto la sola determinazione della responsabilità. Il principio è chiaro occorre una relazione consequenziale necessaria fra motivi principali e quelli aggiunti, ai quali non è quindi attribuibile una funzione suppletiva delle lacune presenti nell’atto introduttivo del gravame. È invece sempre ammessa, nei motivi nuovi, la proposizione di una nuova lettura giuridica del fatto oppure una integrazione di valore spiccatamente processuale, come nel caso in cui si richieda al giudice l’apertura o la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello ex articolo 603 c.p.p.