Dirigente allontanato e ‘inadeguato’ per il presidente della cooperativa: diffamazione ancora in ballo

Contesto della comunicazione è un seminario per Giudice di pace e Tribunale è evidente la lesione perpetrata nei confronti del dipendente. Ma, per i giudici di Cassazione, la questione va approfondita. Nessun dubbio sulla lesività della frase utilizzata, ma bisogna comprendere se essa fosse legittimata dalla necessità di tutelare gli interessi della cooperativa.

Dirigente della cooperativa rimosso, perché inadeguato alla funzione affidatagli. A comunicarlo, urbi et orbi, è il presidente, che rischia una condanna per diffamazione. Può salvarlo soltanto la dimostrazione che la comunicazione ‘incriminata’ sia stata data per salvaguardare gli interessi privati della società Cassazione, sent. numero 36371/2012, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Seminario fatale. Nessun dubbio, però, era stato espresso né dal Giudice di pace né dal Tribunale sulla diffamazione attribuibile alla persona del presidente di una cooperativa, e concretizzatasi nella lesione dell’immagine professionale di un dipendente. La notizia dell’allontanamento di quest’ultimo, difatti, era stata data proprio dal presidente, in occasione di un seminario, spiegandola con una ‘certificata’ «incapacità a ricoprire il ruolo». Evidente, quindi, secondo i giudici, l’intento lesivo nei confronti del dipendente allontanato dalla cooperativa, anche alla luce del contesto scelto per la comunicazione. Interessi legittimi? Per il presidente della cooperativa, però, nessuna valutazione negativa poteva essere data all’espressione utilizzata, ossia «inadeguatezza nell’assolvimento delle funzioni», e riferita al dipendente. E ciò soprattutto tenendo presenti due fattori primo, il rapporto di lavoro subordinato, con relativo «potere valutativo e disciplinare» riconosciuto al datore di lavoro e applicabile soprattutto nei confronti della figura del dirigente secondo, l’obiettivo di «fare una ‘panoramica’ degli eventi che avevano interessato la cooperativa». Secondo i giudici di Cassazione, innanzitutto, va fatta una premessa l’espressione utilizzata dal presidente della cooperativa nei confronti del dirigente, ossia «inadeguato rispetto alle funzioni», è «effettivamente lesiva della reputazione», perché «apprezzamento negativo della capacità professionale del ‘quadro’ d’impresa », e «idonea ad ingenerare un’opinione sfavorevole» sul dipendente e a provocare in quest’ultimo un «sentimento di frustrazione». Su questo aspetto nessun dubbio. Ma, aggiungono i giudici, va valutata l’ipotesi che l’espressione ‘incriminata’ sia stata finalizzata a «tutelare interessi riconosciuti meritevoli dall’ordinamento». Ciò significa ragionare sulla possibilità che la comunicazione data dal presidente della cooperatiVA «fosse funzionale alla salvaguardia di interessi» della società. Ma in questa ottica la pronuncia emessa in secondo grado è assolutamente lacunosa ecco perché i giudici di Cassazione annullano la sentenza di condanna, e riaffidano la questione al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 luglio – 21 settembre 2012, numero 36371 Presidente Teresi – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Ricorre R.G. avverso la sentenza del Tribunale di Terni del 15-10-2010 che, a conferma di quella emessa dal locale Giudice di Pace, lo condanna a pena di giustizia per il reato di diffamazione commesso in danno di T.F. Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, il R., che era presidente della Coop Centro Italia srl, nel corso dì un seminario dal titolo “Il passaggio ad Est e la sua realizzazione”, offese la reputazione di T.F., dipendente della cooperativa, affermando, pur senza nominarlo, che “l’assistente category liquidi” era stato rimosso dall’incarico “per valutata incapacità a ricoprire il ruolo”. Il ricorrente si è affidato a cinque motivi di ricorso. Col primo lamenta vizio di motivazione in ordine all’esatta frase pronunciata, in quanto né il giudice di primo grado né quello d’appello sono stati in grado di ricostruirla con esattezza, oscillando tra “incapacità”, “incompetenza”, “inadeguatezza” e altre simili espressioni. Col secondo lamenta l’erronea applicazione dell’articolo 595 cod. penumero e di varie norme civilistiche che disciplinano il lavoro nell’impresa. Secondo il ricorrente, l’espressione effettivamente usata fu quella di “inadeguatezza” nell’assolvimento delle funzioni e questa espressione non ha nessun significato lesiva dell’altrui reputazione. Inoltre, rappresentò una libera manifestazione del pensiero, consentita a chiunque in uno stato democratico, in via generale e, a maggior ragione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, dove è riconosciuto al datore di lavoro un potere valutativo e disciplinare. Tra i rapporti di lavoro particolare connotazione assume, poi, quello del dirigente, che è, per sua natura, esposto ad apprezzamenti di ordine valutativo, specie quando il rapporto di lavoro intercorre con una società cooperativa. Col terzo denunzia violazione di legge in ordine agli articolo 42, 43 e 595 cod. penumero , per la ritenuta insussistenza dell’elemento psicologico del reato, dal momento che egli aveva solo inteso fare una “panoramica” degli eventi che avevano interessato la cooperativa e non certo offendere il dipendente. Col quarto lamenta la violazione dell’articolo 51 cod. penumero , dal momento che l’espressione usata era da ritenere scriminata dall’esercizio del diritto di critica. Col quinto ed ultimo motivo lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’articolo 539 cod. proc. penumero , essendo stata liquidata, a titolo di provvisionale, la somma di € 5.000 senza prova alcuna del danno patrimoniale e senza che sussistessero i presupposti per una liquidazione “successiva” del danno non patrimoniale per di più, senza nessuna motivazione sul punto. Considerato in diritto Il ricorso è fondato nei limiti che verranno di seguito esposti. Il primo motivo di doglianza, per come è formulato, è infondato, in quanto non integra un vizio di motivazione la difficoltà, riconosciuta dallo stesso decidente, di individuare l’esatta frase pronunciata dall’imputato. In questo caso si è di fronte, infatti, ad un limite oggettivo del processo, che si risolve non in vizio della sentenza, ma in difetto di prova nel senso che non può essere addebitata all’imputato l’espressione più gravida di conseguenze penali, stante il principio del favor rei. La regola di giudizio da applicare, per uscire dall’impasse conseguente, è quella di addebitargli l’espressione più “blanda” tra quelle ipotizzate una delle quali certamente usata vale a dire, “l’inadeguatezza” rispetto alle funzioni di “assistente category liquidi”. Il secondo motivo di doglianza concerne sia la lesività dell’espressione che la negazione della scriminante. Tralasciando, per il momento, questo secondo aspetto, si rileva che, contrariamente all’assunto del ricorrente, l’espressione addebitatagli “inadeguato rispetto alle funzioni di assistente category liquidi” è effettivamente lesiva della reputazione, in quanto si risolve in un apprezzamento negativo delle capacità professionali del “quadro” d’impresa e, come, tale, idonea ad ingenerare un’opinione sfavorevole sul soggetto attinto dall’espressione, oltre che in quest’ultimo un sentimento di frustrazione. L’altro aspetto della doglianza contenuta nel secondo motivo va esaminato insieme al quarto motivo di ricorso, in cui confluisce. La problematica vera di questo processo, infatti, che non risulta adeguatamente affrontata nella sentenza impugnata, è quella di verificare se sussista, nel caso di specie, la scriminante del diritto di critica o dell’adempimento del dovere il ricorrente ha fatto riferimento, con argomentazioni promiscue, all’uno e all’altro . Posto, infatti, che non è consentito, con la parola o con qualsiasi altro mezzo di espressione, ledere l’altrui reputazione, salvo che per tutelare interessi riconosciuti meritevoli dall’ordinamento, l’indagine che si imponeva, nel caso di specie caratterizzato dalla natura privata di entrambi i protagonisti della vicenda e dall’assenza di un interesse pubblico alla conoscenza delle dinamiche e vicende aziendali è se la “comunicazione”, data dal presidente della Coop Centro Italia srl, fosse funzionale alla salvaguardia di interessi, anche di natura patrimoniale, dell’ente rappresentato, e se la stessa rispettasse i limiti della pertinenza e della continenza, necessari, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, per l’operatività della scriminante. Sotto questo riguardo l’indagine che si imponeva doveva riguardare - il contesto in cui era stata pronunciata l’espressione diffamatoria, al fine di verificare l’interesse dei presenti alla conoscenza dei motivi per cui T. era stato rimosso dalla posizione occupata se in virtù di un normale e programmato avvicendamento per scadenza del contratto per inadeguatezza per motivi di natura illecita ecc. - l’interesse che aveva la società, di cui l’imputato era rappresentante, a comunicare all’uditorio i motivi della rimozione dei T. - il rapporto tra l’interesse della società e quello del dipendente, al fine di accertare che il sacrificio della reputazione del dipendente fosse proporzionato all’interesse perseguito dal propalante, posto che la valutazione della continenza non può prescindere dalla comparazione dei valori in gioco e fermo restando che assumono rilievo, in questo caso, anche i valori patrimoniali, stante la natura commerciale dell’ente rappresentato dall’imputato . Connesso all’argomento della continenza è quello dell’elemento soggettivo del reato, giacché, se è vero che la configurabilità del delitto di diffamazione prescinde dall’“animus diffamandi”, essendo il reato punibile a titolo di dolo generico, è anche vero che il “dolus bonus”, quale l’intenzione di difendere un interesse societario rilevante, se attuato con espressioni misurate e prive di gratuita offensività, può essere sintomatico di una posizione psicologica inconciliabile con la coscienza di ledere o mettere in pericolo il bene protetto. Non risulta che questi aspetti della vicenda siano stati adeguatamente indagati nella sentenza impugnata, che si è preoccupata di individuare il tipo di espressione usata e ne ha rilevato la portata diffamatoria, ma non ha svolto considerazioni in tema di scriminante e di elemento soggettivo del reato. Per questo si impone l’annullamento della sentenza con rinvio al Tribunale di Terni per nuovo giudizio. Per completezza e per l’eventualità che il giudice di merito risolva a favore della parte civile le problematiche sopra evidenziate, deve esaminarsi, a questo punto, anche il quinto motivo di ricorso, concernente la liquidazione della provvisionale per danni patrimoniali e non patrimoniali, che il ricorrente dubita, erroneamente, possa effettuarsi per i danni non patrimoniali e contesta nell’ammontare per quelli patrimoniali . Giova ricordare, allora, che la Corte di Cassazione, premesso che il disposto di cui all’articolo 539 c.p.p., comma 2 - che consente la condanna dell’imputato al pagamento di una provvisionale - è applicabile anche al danno non patrimoniale Cass. 17 dicembre 1997 rv. 209937 , ha puntualizzato che, per la liquidazione di una provvisionale, non è necessaria la prova dell’ammontare del danno, ma è sufficiente la certezza dello stesso sino all’ammontare della somma liquidata a titolo di provvisionale Cass. 19 gennaio 1994, rv. 1297812 conforme, 13 dicembre 2000, Rechisi certezza che il giudice di merito, con motivazione insindacabile in questa sede, ha desunto dalla natura della lesione, concernente la capacità lavorativa del danneggiato. La pronuncia circa l’assegnazione di una provvisionale in sede penale - così, poi, la costante giurisprudenza - ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell’ammontare della stessa è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbligo di espressa motivazione quando l’importo rientri nell’ambita del danno prevedibile Cass. 1 aprile 1997, Bosco . Ne consegue che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato, essendo destinato ad essere travolto dall’integrale risarcimento Cass., 20 marzo 1991, Mileti 18 ottobre 1999 Cucinotta 24 ottobre 1997, Todini, ecc. . Non ha fondamento, pertanto, questo motivo di ricorso. In definitiva, accolto in parte il secondo, nonché il quarto motivo di ricorso, la sentenza va annullata con rinvio al Tribunale di Terni per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Terni per nuovo esame.