Nessuno sconto di pena per il marito-padrone, appartenente ad una subcultura maschilista anacronistica, che maltratta la consorte.
Nessuno sconto di pena per il marito-padrone, appartenente ad una subcultura maschilista anacronistica, che maltratta la consorte. La Corte di Cassazione, con sentenza numero 26153/2011 del 5 luglio, ha confermato quanto già disposto nei primi due gradi del processo.Il caso. Dopo due giorni di matrimonio aveva già iniziato a maltrattare la moglie e ha proseguito per trent'anni. Lei, supportata dalle testimonianze dei figli, decide di denunciarlo per porre fine all'incubo. Tribunale di Foggia e Corte d'appello di Bari condannano l'uomo alla pena di un anno e otto mesi di reclusione per i delitti di maltrattamenti in famiglia e di lesione personale aggravata.Il comportamento del marito è frutto di una subcultura Il difensore dell'imputato ricorre per cassazione adducendo, tra gli altri motivi, che i maltrattamenti posti in essere sono espressione di una condizione socio-culturale in cui versa l'uomo, che considera la moglie come un oggetto di sua esclusiva proprietà . La difesa, al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato, sostiene che i maltrattamenti sono stati commessi in condizioni psicologiche particolari suscitate dalla subcultura dell'imputato. maschilista e intollerante . La Corte Suprema esclude categoricamente che la condizione socio-culturale dell'imputato possa considerarsi una scriminante o un'attenuante. Di conseguenza, tali condizioni non possono essere prese in considerazione per attenuare il dolo o per mettere in discussione l'imputabilità del pater familias.Niente scuse per il padre/marito-padrone. La Corte dichiara il ricorso inammissibile allineandosi alle decisioni prese in primo e secondo grado.
Corte di Cassazione, sez VI Penale, sentenza 26 aprile - 5 luglio 2011, numero 26153Presidente Di Virginio - Relatore IppolitoRitenuto in fattoCon sentenza 17 ottobre 2005, il Tribunale di Foggia condannò alla pena di un anno e otto mesi di reclusione per i delitti di maltrattamenti in famiglia e di lesione personale aggravata in danno alla moglie , ritenuti unificati nel vincolo della continuazione.Contro la sentenza della Corte d'appello di Bari, indicata in epigrafe, che ha confermato la decisione del primo giudice, ricorre per cassazione il difensore dell'imputato, che deduce, ex articolo 606.1 lett. b , c ed e c.p.p. a violazione dell'articolo 603 c.p.p., lamentando l'incomprensibilità della grafia del verbalizzante b omissione di esame e di motivazione dei motivi d'appello relativi alla mancanza di riscontri alle dichiarazioni dei testi escussi c inosservanza dell'articolo 572 c.p., per mancanza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato oggettivo d violazione dell'articolo 192 c.p.p. per mancanza di riscontri alle dichiarazioni rese dalla parte offesa, costituitasi parte civile, e dai figli sentiti in qualità di testimoni.e violazione degli articolo 157 e 161 c.p., per essere già intervenuta la prescrizione dei reati.Considerato in dirittoIn adesione alla richiesta formulata del Procuratore generale, il Collegio valuta come inammissibile il ricorso.Il primo motivo, che reitera analoga eccezione formulata nella discussione in sede di appello, è già stato correttamente rigettato dalla Corte territoriale, sia per ragioni giuridiche per mancata deduzione del motivo con l'atto d'appello, trattandosi di pretesa nullità relativa ex articolo 142 c.p.p. , sia per motivi di fatto la Corte d'appello non solo ha attestato la leggibilità del verbale, ma ha evidenziato che l'atto d'appello si fondava sulle testimonianze dei figli dell'imputato, raccolte proprio nell'udienza il cui verbale veniva qualificato come illeggibile in tal modo lo stesso contenuto dell'atto d'impugnazione smentiva l'assunto della difesa.Manifestamente infondati sono i motivi di cui alle lett. b e d , avendo la Corte d'appello dato conto della ritenuta attendibilità della parte offesa e degli altri testi escussi, sia parenti sia estranei al nucleo famigliare, senza necessità di ulteriori riscontri oggettivi.Per quanto concerne i motivi sub c , il ricorrente, per un verso, assume l'episodicità degli atti maltrattanti realizzati dall'imputato e, per altro verso, attribuisce i suoi comportamenti a espressione della condizione socio-culturale del invocando, al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato, la considerazione della moglie da parte dell'imputato, come di un oggetto di sua esclusiva proprietà, [ ] frutto di una condizione di subcultura [ ] , tanto che allorquando la figlia ha iniziato a tenere, secondo il padre, uno stile di vita libertino rectius, più aderente all'epoca e alla cultura che stiamo vivendo si è avuta la reazione del padre che temeva di perdere, come in effetti ha poi perduto, il controllo della situazione .Si assume in ricorso che le emergenze processuali depongono per l'essere stati commessi gli episodi di cui trattasi in condizioni psicologiche particolari, quali sono le situazioni suscitate da quella subcultura dell'imputato, che lo postava a ritenere che le liti familiari o le decisioni in famiglia potessero e dovessero essere assunte in quella maniera .Per quanto riguarda l'elemento oggettivo, i giudici di merito hanno accertato che l'imputato, aveva cominciato a vessare la povera moglie già due giorni dopo il matrimonio, proseguendo per tutti i trent'anni della convivenza in una sistematica e abituale condotta offensiva, aggressiva e violenta, tanto da procurarle ripetutamente sofferenze psichiche e lesioni fisiche.Quanto all'aspetto soggettivo, osserva il Collegio che atteggiamenti derivanti da subculture in cui sopravvivono autorappresentazioni di superiorità di genere e pretese da padre/marito-padrone non possono rilevare né ai fini dell'indagine sull'elemento soggettivo del reato nella fattispecie dolo generico, pacificamente sussistente secondo la ricostruzione dei giudici di merito né a quella concernente l'imputabilità dell'imputato, peraltro mai messa in dubbio dalla stessa difesa.Il fatto che tali atteggiamenti siano proseguiti per ben trent'anni - costituendo perciò il costume abituale di un anacronistico pater familias maschilista e intollerante, refrattario alla modificazione del costume e alla vigenza delle leggi della Repubblica che hanno progressivamente dato attuazione al principio costituzionale di uguaglianza tra i coniugi - lungi dal potersi considerare una scriminante o un'attenuante, è stata correttamente valutata dai giudici di merito ai fini dell'intensità del dolo e dell'entità della sofferenza e del danno patiti dai famigliari conviventi.L'inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi v. Cass. sez. U, numero 32/2000, De Luca non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare cause di estinzione dei reati per intervenuta per altro non ancora compiuta .Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria, che si ritiene adeguato determinare nella somma di 1.000 euro, in relazione alla natura delle questioni dedotte.P.Q.M.La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di 1.000 mille euro in favore della cassa delle ammende.