La mancata conoscenza della presenza della persona offesa impedisce il perfezionamento del reato

Offende il vicino che sente tutto perché dall’altra parte della recinzione, ma il reato di ingiuria non si perfeziona.

L’offesa al di là della rete di recinzione. Un individuo si vede costretto a richiedere l’intervento delle forze dell’ordine in seguito all’abbandono, nel terreno confinante al proprio, di rifiuti organici maleodoranti. Giunti i Carabinieri, il denunciato, proprietario del terreno “inquinato”, proferisce frasi ingiuriose e minacciose nei confronti dell’altro, il quale si trova però dall’altra parte di una rete di recinzione molto alta. L’ingiuria e la minaccia. L’individuo viene condannato in primo grado per i reati di ingiuria e minaccia. La prima fattispecie criminosa, descritta all’articolo 594 c.p., al primo comma prevede che «Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa fino a Euro 516». La norma quindi punisce colui il quale offenda l’onore, inteso con riferimento alle qualità morali della persona, oppure il decoro cioè il complesso di quelle altre qualità e condizioni che ne determinano il valore sociale. La minaccia, invece, di cui all’articolo 612 c.p. punisce «Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 51 Euro» tutelando, quindi, la libertà psichica dell’individuo. Per la sussistenza della minaccia è sufficiente che l’agente eserciti la sua azione intimidatoria in senso generico, trattandosi di un reato formale con evento di pericolo, immanente nella stessa azione. La persona offesa, per il ricorrente, non era presente. Il ricorrente presenta ricorso per Cassazione, lamentando vizio di motivazione e violazione di legge. In primo luogo la doglianza investe la non presenza del soggetto passivo alle ingiurie, non solo, ma tra i due pare corresse una distanza di alcuni metri. Questa situazione avrebbe dovuto comportare «l’assoluzione dal reato di ingiuria che presuppone la presenza dell’offeso ma anche da quello di minaccia, escluso dalla convinzione dell’imputato che la prospettazione del male ingiusto non era stata percepita dal soggetto interessato». La Cassazione ritiene rilevante il requisito della presenza. Con sentenza numero 35235 depositata il 13 settembre 2012 il ricorso viene giudicato come fondato. Il requisito della presenza della persona offesa è stato preso sempre in considerazione dalla giurisprudenza di legittimità. In una sentenza abbastanza risalente, in merito al soggetto offeso numero 11909/1975 si affermava che «per la configurabilità del delitto di ingiuria è sufficiente che la persona offesa, anche se non vista dal soggetto agente, abbia la possibilità di percepire ed effettivamente percepisca le espressioni ingiuriose». Sempre la Corte di legittimità ha preso in esame la posizione del soggetto attivo sent. numero 4902/1972 ritenendo che «L’articolo 594 c.p. non considera la presenza dell’offeso come una circostanza che possa essere valutata a carico o a favore dell’imputato anche se da lui sconosciuta, e nemmeno come una condizione di punibilità, ma la prevede tra quegli elementi costitutivi del reato che l’imputato deve conoscere perché realizzi l’ipotesi delittuosa dell’ingiuria. La mancata conoscenza della presenza della persona offesa impedisce il perfezionamento del delitto di ingiuria e fa subentrare l’ipotesi della diffamazione, che punisce chiunque, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione». La distanza tra i due ed il tenore delle frasi ingiuriose non depongono, quindi, per la costruzione del titolo di responsabilità. Al contempo, anche per il delitto di minacce non occorre che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa essendo solo necessaria che «questa sia venuta a conoscenza anche tramite altre persone a condizione che ciò avvenga in un contesto per il quale si ritenga che l’agente abbia avuto la volontà di produrre l’effetto intimidatorio». Anche in questo caso l’utilizzo di espressioni minacciose in terza persona fanno trasparire la mancanza di conoscenza delle presenza dell’individuo offeso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 giugno – 13 settembre 2012, numero 35235 Presidente Zecca – Relatore Vessicchelli Fatto e diritto Propone ricorso per cassazione I.A. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria - sezione distaccata di Melito Porto Salvo - in data 7 gennaio 2011 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna alle pene di giustizia e at risarcimento del danno, in riferimento alle imputazioni di ingiuria e minacce, reati commessi nell' omissis in danno di C.S. . I fatti avevano avuto luogo quando il C. , proprietario di un'abitazione in campagna, ubicata su terreno confinante con quello dei suoceri dell'imputato, aveva richiesto l'intervento dei Carabinieri denunciando che sull'area limitrofa erano stati abbandonati residui organici maleodoranti. Poco dopo l'arrivo dei militari che avevano riscontrato la situazione denunciata, era sopraggiunto l'imputato il quale, apprese le ragioni della presenza dei Carabinieri, aveva proferito frasi dal contenuto ingiurioso e minaccioso riferite al denunciente C. . Costui, però, secondo quanto emerso nel corso dell'istruttoria e diversamente da quanto affermato nella querela, si trovava non in presenza dell'imputato ma al di là della rete di recinzione delle proprietà, alta due metri e tale da costituire ostacolo alla visuale. Deduce il ricorrente il vizio di motivazione e la violazione di legge. Proprio alla luce dell'istruttoria dibattimentale e di quanto dichiarato dal maresciallo dei Carabinieri poteva dirsi accertata la evidente falsità delle originarie dichiarazioni della persona offesa. Questa aveva affermato di essere stata minacciata e ingiuriata dall'imputato, quindi essendo presente ai fatti-reato contestati, mentre dalle parole del sottufficiale era emerso il contrario e cioè che la persona offesa non solo non era presente quando l'imputato aveva pronunciato le frasi di cui all'imputazione, ma, per di più, era lontana alcune decine di metri tra 60 e 100 , tale essendo la distanza tra la proprietà del C. è il posto ove era stato effettuato il sopralluogo dei Carabinieri. La persona offesa aveva mentito anche sulla data del commesso un reato. In conclusione doveva accreditarsi la tesi difensiva secondo cui l'imputato aveva parlato esclusivamente con il sottufficiale, consapevole della non presenza della presunta persona offesa, tant'è che aveva formulato l'espressione lo ammazzo e non quella ti ammazzo che si pronuncia quando la minaccia è proferita alla presenza della persona offesa. Tate situazione avrebbe dovuto comportare l'assoluzione dal reato di ingiuria che presuppone la presenza dell'offeso ma anche da quello di minaccia, escluso dalla convinzione dell'imputato che la prospettazione del male ingiusto non era stata percepita dal soggetto interessato. Il ricorso è fondato. Invero, occorre prendere le mosse dal principio di diritto, correttamente evocato nel ricorso, secondo cui l'ingiuria presuppone la presenza del destinatario dell'offesa. Tale presenza, secondo la dottrina ed anche la giurisprudenza, non comporta necessariamente che la persona offesa debba essere materialmente vista dal soggetto agente sicché è sufficiente che si accerti la obiettiva presenza dell'offeso il quale percepisca le frasi ingiuriose pronunciate dall'imputato. La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, aveva anche posto in evidenza, da epoca risalente, che l’articolo 594 cod. penumero non considera la presenza dell'offeso come una circostanza che può essere valutata a carico o a favore dell'imputato anche se da lui sconosciuta,e nemmeno come una condizione di punibilità,ma la prevede tra quegli elementi costitutivi del reato che l'imputato deve conoscere perche si realizzi l'ipotesi delittuosa dell'ingiuria. La mancata conoscenza della presenza della persona offesa,impedisce il perfezionamento del delitto di ingiuriale, in ipotesi, fa subentrare l'ipotesi della diffamazione,che punisce chiunque,comunicando con più persone,offende l'altrui reputazione Rv. 121600 . Nel caso di specie, la Corte territoriale ha affermato che l'imputato doveva essere consapevole della presenza, al di là della rete divisoria, della persona offesa, in ragione del fatto che aveva proferito le espressioni minacciose e ingiuriose a voce alta e in direzione dell'abitazione della persona offesa, proprio per essere sentito. Una simile argomentazione risulta però tautologica e incapace di dimostrare il requisito normativo in questione poiché pretende di far discendere la prova del necessario elemento oggettivo di una delle fattispecie in contestazione presenza della persona offesa al di là della rete divisoria delle proprietà, al momento del comportamento ingiurioso da un elemento attinente al comportamento dell'agente avere proferito le ingiurie a voce alta , compatibile, sul piano logico, anche con la situazione contraria a quella prefigurata dei giudici e ciò, in presenza di soli elementi oggettivamente capaci, semmai, di sostenere la tesi difensiva distanza compresa tra i 60 e i 100 metri, tra l'agente e la persona offesa presenza, tra i due, di una rete di recinzione alta due metri, totalmente preclusiva della visuale decorso di un certo lasso di tempo tra la visita del maresciallo dei Carabinieri alla persona offesa denunciante e il sopraggiungere l'imputato nel luogo ove il detto maresciallo si era recato a contestare i fatti di cui alla denuncia del C. . La descritta illogicità della motivazione si ripercuote anche sulla configurazione del delitto di minacce. Secondo la costante giurisprudenza, ai fini della configurazione del delitto di minaccia non occorre che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa, essendo solo necessario che questa sia venuta a conoscenza anche tramite altre persone, a condizione che ciò avvenga in un contesto per il quale si ritenga che l'agente abbia avuto la volontà di produrre l'effetto intimidatorio v. fra le molte, Rv. 226644 , A tale principio non sembra essersi allineata la Corte di merito la quale ha posto in evidenza come l'avere, l'imputato, detto alla presenza del militare, la frase minacciosa lo ammazzo , costituirebbe condotta evidentemente finalizzata a far sì che l'ascoltatore si facesse carico del dovere di informare il destinatario della minaccia stessa senonchè, non appare logicamente illustrata la ragione sulla quale sarebbe fondato il dovere o comunque la elevata probabilità che l'ascoltatore della minaccia l'avrebbe riferita all'effettivo destinatario. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.