L’artificiosa suddivisione degli interventi edilizi da effettuare configura l’elusione delle normative

L’effettuazione di opere edilizie comportanti la modifica strutturale del fabbricato, nonché il mutamento di destinazione d’uso di un immobile che consti di una vera e propria ristrutturazione, presuppongono il possesso dei titoli abilitativi riguardanti l’intero e complessivo intervento edilizio, onde consentire un controllo effettivo e globale dell’intera opera.

Il caso. Il Procuratore della Repubblica di Firenze ricorreva per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame aveva revocato il sequestro preventivo di alcune unità immobiliari riferibili al “Club Tornabuoni”. In particolare, la vicenda de qua risulta essere afferente ad alcuni lavori edili all’interno del Palazzo Tornabuoni, immobile sottoposto a vincoli artistici e storici. Sulla scorta della prospettazione accusatoria, gli interventi realizzati avrebbero ecceduto i limiti previsti dalle norme tecniche di attuazione e dal regolamento comunale – comportando l’aumento delle unità immobiliari e l’alterazione dei caratteri architettonici dell’edificio – nonché violato le norme di settore in materia di mutamento di destinazione d’uso di un immobile – modificando l’“uso residenziale” delle unità immobiliari, con quello «turistico-alberghiero». Pertanto, con precipuo riferimento agli interventi di edilizia, sarebbe stato integrato il reato di cui all’articolo 44 lett. b d.p.r. numero 380/2001, e sarebbero stati, inoltre, configurati i reati di cui agli articolo 481 e 483 c.p., con riferimento alle false attestazioni nelle plurime dichiarazioni DIA presentate, e 640 c.p., quanto alla truffa ai danni dell’amministrazione comunale. La DIA va presentata per l’intero e complessivo intervento. La dichiarazione di inizio attività per l’effettuazione di plurimi lavori relativi ad un medesimo immobile, va presentata per l’intero e complessivo intervento, e non per singole parti dello stesso. La Terza sezione Penale della Cassazione, confermando l’orientamento giurisprudenziale maggioritario in materia, ha affermato che, nel caso di esecuzione di opere edilizie, i titoli abilitativi richiesti ex lege devono fare riferimento all’intero e complessivo intervento, e non solo a parti frazionate dello stesso. In effetti, nella fattispecie sottoposta a disamina, gli indagati – rappresentante legale e consigliare unico di amministrazione della società proprietaria dell’immobile e committente dei lavori – hanno presentato ben 17 diverse e consecutive DIA, di volta in volta relative solo a minime parti dell’intero intervento edilizio, inducendo così in errore la Soprintendenza dei beni architettonici ed ambientali che, proprio a causa della “artificiosa frammentazione dell’intervento integrale”, ha consecutivamente autorizzato l’attuazione di singoli lavori su un immobile che non avrebbe potuto essere oggetto né di ristrutturazione né, tantomeno, di incrementi e modifiche strutturali. Altrimenti detto, la condotta posta in essere dai soggetti agenti avrebbe violato il principio di diritto – più volte statuito dai Supremi Giudici in materia – secondo cui l’opera edilizia deve necessariamente essere considerata unitariamente, nel suo complesso, senza che sia possibile dividere e trattare separatamente i singoli interventi ciò per la evidente necessità che gli organi preposti al controllo possano sottoporre a disamina l’intera opera edilizia realizzanda, onde accertare il possesso dei requisiti richiesti ad substantiam per la regolare e lecita effettuazione dei lavori. Controllo che, a contrario, potrebbe essere facilmente eluso, nel caso in cui – come verificatosi nella vicenda de qua – l’intervento edilizio fosse artatamente scomposto in plurimi e, apparentemente, indipendenti lavori di edilizia, oggetto di singole richieste autorizzative. Il mutamento della destinazione d’uso di un immobile, concretizzando una vera e propria ristrutturazione edilizia, necessita dei relativi permessi di costruire. La Corte di Legittimità ha, in secondo luogo, chiarito come la modifica della destinazione d’uso di un immobile, affinché sia conforme alla legge, è doverosamente subordinata al possesso di diversi requisiti richiesti quale condicio sine qua nonumero In particolare, nel caso in cui tale mutamento sia stato effettuato dopo l’ultimazione del fabbricato e durante la sua normale esistenza – come avvenuto nella vicenda del Palazzo Tornabuoni – lo stesso andrà qualificato necessariamente quale «ristrutturazione edilizia», comportando i lavori una modifica strutturale, parziale o totale che sia, dell’immobile. Conseguentemente, l’espletamento di tali interventi edilizi è, ictu oculi, assoggettato al possesso dei relativi titoli abilitativi, in mancanza dei quali la modifica della destinazione d’uso è da ritenersi irregolare ed illecita in altri termini, un mutamento di tal fatta, qualora realizzato in assenza dei necessari permessi di costruire, integra una pacifica violazione della norme di cui al d.p.r. numero 380/2001.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 ottobre 2011 – 7 marzo 2012, numero 8945 Presidente Ferrua – Relatore Fiale Fatto e diritto Il G.I.P. del Tribunale di Firenze, con decreto del 9.12.2010, disponeva il sequestro preventivo di tutte le opere di proprietà o comunque gestite dal omissis e ad esclusivo servizio dello stesso, ubicate all'interno del palazzo omissis , ed in particolare delle unità immobiliari denunciate ad uso residenziale e dei locati adibiti “fitness center e sauna, cigar room, members louge, members Storage, consierge, reception . La misura di cautela reale veniva adottata in relazione all'ipotizzato reato di cui all'articolo 44, lett. b , del D.P.R. numero 389/2001, poiché sul palazzo omissis , sottoposto a vincolo notificato per il rilevante interesse artistico e storico, era stata effettuata una serie di interventi edilizi in seguito alla presentazione di numero 17 diverse e separate DIA consecutive, tutte approvate dalla competente Soprintendenza ai beni architettonici ed ambientali, aventi ciascuna ad oggetto l'esecuzione di opere di restauro e risanamento conservativo . All'esito dei lavori l'immobile - in origine destinato principalmente a sede di banca, nonché in parte a locali commerciali e residualmente a residenza - si presentava composto da 38 unità immobiliari con servizi annessi ubicati questi ultimi in spazi recuperati nell'area sottotetto e caratterizzato dall'ampliamento del numero di esercizi commerciali con accesso sulla pubblica via e dalla collocazione della sede bancaria in locali precedentemente adibiti a garage. Secondo J'impostazione accusatoria, le opere realizzate eccederebbero i limiti consentiti dalle norme tecniche di attuazione NTA e dal regolamento edilizio del Comune di Firenze, che, per gli edifici vincolati del tipo di quello in oggetto e con specifico riferimento alle parti direttamente interessate dal vincolo, ammettono esclusivamente interventi di conservazione come definiti dalle stesse NTA ed interventi di restauro nella definizione prevista dal d.lgs. numero 42/2004, previa approvazione dei progetti da parte dalla competente Soprintendenza ai beni architettonici ed ambientali. Le stesse opere presenterebbero un profilo ulteriore di illegittimità, poiché le 38 unità immobiliari di nuova realizzazione e gli annessi locali comuni non verrebbero effettivamente destinati a residenza, bensì di fatto ad attività ricettizia extra - alberghiera, con conseguente mutamento di destinazione d'uso in categoria non ammessa nella zona A , ai sensi dell'articolo 171 del regolamento edilizio del Comune di Firenze. Nella prospettazione dell'accusa sarebbero altresì configuratoli i reati di cui agli articolo 481 e 483 cod. penumero correlati a false attestazioni nelle plurime DIA presentate ed all'articolo 640 cpv. cod. penumero truffò ai danni dell'Amministrazione comunale con ingiusto profitto connesso al mancato pagamento del contributo di costruzione secondo gli importi effettivamente dovuti . I reati anzidetti sono stati ipotizzati nei confronti, tra gli altri di M.J. nella qualità di rappresentante legale sia della s.r.l. Palazzo Tornabuoni , proprietaria dell'immobile e committente dei lavori sia della Keal Estate Developement , nonché di consigliere unico fino al 14.1.2009 dell'associazione omissis , fruitrice dell'immobile e di B.M.F. consigliere unico dell'associazione omissis a decorrere dal 14.1.2009 . Lo stesso G.I.P. del Tribunale di Firenze “Con provvedimento del 21.12.2010 - rilevato che era stato lo stesso P.M. a richiedere il sequestro preventivo solo delle opere gestite dal omissis e ad esclusivo servizio dello stesso, mentre era stato documentalmente provato che la maggior parte degli appartamenti erano di proprietà della s.r.l. Tornabuoni, alcuni dei quali frattanto promessi in vendita a terzi, ordinava il dissequestro di tutte le unità immobiliari diverse da quelle di proprietà o detenute in comodato dal OMISSIS , nonché delle parti comuni dell'edificio che non siano poste a servizio esclusivo dello stesso club e l'appello proposto dal P.M. veniva rigettato dal Tribunale del riesame - respingeva la richiesta avanzata dal P.M. di estendere il sequestro preventivo alla s.r.l. Tornabuoni sul presupposto che tutti gli appartamenti realizzati si sarebbero dovuti ritenere abusivi, poiché risultanti da una ristrutturazione edilizia non autorizzata e comportante un incremento del carico urbanistico , dando atto, in proposito, che effettivamente la consulenza tecnica disposta dal P.M. aveva evidenziato la intervenuta esecuzione di modifiche prospettiche, di ampliamenti di finestre, creazione di terrazze ed aumenti volumetrici, ma che pur tuttavia non si ha allo stato adeguata contezza de fatto che, attraverso detti interventi, si sia ottenuto un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente . [L'appello proposto dal P.M. veniva rigettato dal Tribunale del riesame con ordinanza del 31.1.2011]. - Con provvedimento del 28.1.2011, respingeva invece l’istanza di revoca del sequestro per le restanti unità immobiliari del palazzo omissis gestite dal omissis in numero di 10 . Quest'ultimo provvedimento di rigetto veniva gravato di appello ed il Tribunale del riesame di Firenze - con ordinanza del 7.3.2011 - in accoglimento del gravame, revocava il sequestro preventivo anche per le dieci unità immobiliari riferibili al omissis . Rilevava il Tribunale che non risulta in alcun modo dimostrata la destinazione alberghiera degli appartamenti sequestrati , in quanto - tali appartamenti formano oggetto di un diritto di godimento ripartito fra i soci del omissis , che, per potere fare parte di esso, ne acquistano le relative quote pagando cifre elevatissime dai 260.000,00 ai 530.000,00 Euro , quote che possono poi anche rivendere, previo pagamento di onere e scrutinio da parte del club, o trasmettere in eredità. Trattasi di circa 80 soci, quasi tutti stranieri, che entrano a far parte di detto club al fine di poter risiedere per determinati periodi in Firenze con modalità non esclusive bensì turnarie attraverso un sistema di prenotazioni in modo da poter coordinare l'esercizio del proprio diritto con quello degli altri soci - i soci risultano essere circa 80, ossia 8 per ogni appartamento, e le unità immobiliari del club, secondo la documentazione prodotta dalla difesa, sarebbero state frequentate da circa 440 persone nel periodo da gennaio 2009 a dicembre 2010, in gran parte familiari o parenti dei soci stessi, oltre un certo numero di soggetti ospitati per motivi promozionali - l'accesso al palazzo omissis non è aperto al pubblico ma è rigidamente controllato e consentito solo ai soci o ai soggetti invitati dai soci - i servizi offerti ai soci fitness center, sauna, cigar room, accesso ad internet e simili ben possono semplicemente considerarsi in linea con le esigenze e le abitudini di una cerchia di persone estremamente elitaria, raffinata e facoltosa, per lo più straniera. La gestione unitaria di tali servizi appare aver natura condominiale, trattandosi di sevizi comuni resi indistintamente a tutti i soci compresi anche quelli che sono proprietari esclusivi di altri ulteriori appartamenti dello stesso complesso . Avverso l'ordinanza resa dal Tribunale il 7.3.2011 ha proposto ricorso il locale Procuratore della Repubblica, il quale ha preliminarmente evidenziato che i lavori che hanno complessivamente interessato il palazzo omissis devono ritenersi eseguiti in assenza del prescritto permesso di costruire, essendo stata posta in essere una vera e propria ristrutturazione edilizia che aveva portato alla realizzazione, attraverso un insieme sistematico di opere, di un complesso in gran parte nuovo mediante la radicale ed integrale trasformazione dei componenti, per un totale di circa 17.000 mq. di superficie, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali dell'immobile comportanti l’aumento delle unità immobiliari, l'alterazione dell'originale impianto tipologico distributivo nonché dei caratteri architettonici dell'edificio. Le opere eseguite, conseguentemente, dovrebbero considerarsi illegittime, anche a prescindere dalla destinazione alberghiera, perché realizzate - con artificiosa frammentazione dell'intervento integrale - su un immobile che non avrebbe potuto costituire oggetto di ristrutturazione ed inducenti incremento del carico urbanistico. Lo stesso P.M. ricorrente ha poi eccepito che incongruamente il Tribunale ha ritenuto che le modalità di utilizzazione e di gestione delle unità immobiliari di pertinenza del omissis non configurerebbero quell'uso ricettizio extra - alberghiero espressamente vietato nella zona A centro storico dall'articolo 171 del regolamento edilizio del Comune di Firenze. Non è stato tenuto conto, infatti, che - la gestione dei servizi del Club è stata demandata ad una società la Management by Four Seasons hotel and Resorts che per antonomasia gestisce servizi alberghieri in campo internazionale - nel sito ufficiale web di omissis che accetta le iscrizioni al club e le prenotazioni si da atto che il omissis è formato da 38 appartamenti privati raffinatamente eleganti , segno evidente di una gestione del tutto unitaria del complesso tra Associazione Club Tornabuoni e Tornabuoni s.r.l., che di fatto sono una cosa sola e gestite in una logica di gruppo la Tornabuoni s.r.l., insieme ad altra società del gruppo, sono soci fondatori del Club, con potere di veto in relazione all'attività dello stesso . I difensori hanno depositato, in data 12-10.2011, articolata memoria di confutazione alla quale è stata allegata ampia documentazione. Il ricorso del P.M. è fondato e merita accoglimento per le ragioni di seguito illustrate. 1. Deve anzitutto ribadirsi il principio - costantemente affermato da questa Corte -secondo il quale la realizzazione di opere edilizie necessita di titolo abilitativo riferito all'intervento complessivo e non può essere autorizzata con artificiosa parcellizzazione. Il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso, infatti attraverso la suddivisione dell'attività edificatori finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull'assetto territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti [vedi Cass., Sez. III 29.1.2003, Tucci, 13.10.2005, Daniele], mentre non risulta che, nella specie, la Tornabuoni s.r.l., si sia lecitamente determinata, in tempi successivi, ad eseguire singole opere, non programmate sin dall'inizio. Va rilevato, però, che nella vicenda in oggetto - come si è detto dianzi - il G.I.P., con provvedimento del 21.12.2010, ha rigettato la richiesta del P.M. di estendere il sequestro preventivo alla s.r.l. Tornabuoni fondata sul presupposto che tutti gli appartamenti realizzati si sarebbero dovuti ritenere abusivi, poiché risultanti da una ristrutturazione edilizia non autorizzata e comportante un incremento del carico urbanistico , dando atto, in proposito, che effettivamente la consulenza tecnica disposta dal P.M. aveva evidenziato la intervenuta esecuzione di modifiche prospettiche, di ampliamenti di finestre, creazione di terrazze ed aumenti volumetrici, ma argomentando - pure a fronte di tali elementi di evidente e rilevante sintomaticità - che non si ha allo stato adeguata contezza del fatto che, attraverso detti interventi, si sia ottenuto un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente . Tali enunciazioni sono state ritenute corrette dal Tribunale per il riesame con la citata ordinanza del 31.1.2011 , a giudizio del quale non sarebbe emerso dai controlli della polizia municipale alcun aumento di superficie e di volume . In effetti nessuna considerazione è stata riservata all'utilizzazione plurima della DIA, né è stata addotta alcuna specifica confutazione alla prospettazione accusatoria evidenziante [in riferimento alla definizione giuridica della categoria della ristrutturazione edilizia a fronte del più ristretto ambito di quelle del risanamento conservativo e del restauro come configurate dal D.P.R. numero 380/2001 e dal d.lgs. numero 42/2004] la radicale ed integrale trasformazione dei componenti dell'intero edificio, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali di esso, comportanti l'aumento delle unità immobiliari nonché l'alterazione dell'originale impianto tipologico - distributivo e dei caratteri architettonici. Non risulta, però, che quel provvedimento del Tribunale del riesame sia stato gravato di ricorso per cassazione, sicché deve ravvisarsi la intervenuta verificazione di una preclusione endoprocessuale, per effetto della quale, in assenza di un mutamento del quadro processuale di riferimento, è inammissibile la riproposizione di istanze fondate sui medesimi motivi rigettati con decisione definitiva vedi Cass., Sez. Unite, 24.5.2004, a 29952, Romagnoli . 2. Quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l'ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza ipotesi ricorrente nella vicenda in esame , si configura in ogni caso un'ipotesi di ristrutturazione edilizia [secondo la definizione fornita dall'articolo 3, 1 comma, lett. d del T.U. a 380/2001], in pianto l'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. L'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione. Non ha rilievo l'entità delle opere eseguite, allorché si consideri che la necessità del permesso di costruire permane per gli interventi - di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle destinazioni d'uso articolo 3, 1 comma, lett. b, del T.U. numero 380/2001 - di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento degli elementi tipologici dell'edificio, cioè di quei caratteri non soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la qualificazione in base alle tipologie edilizie articolo 3, 1 comma, lett. c, del T.U. a 380/2001 . Gli interventi anzidetto, invero, devono considerarsi di nuova costruzione , ai sensi dell'articolo 3, 1 comma, lett. e, del T.U. a 380/2001. Ove il necessario permesso di costruire non sia stato rilasciato, sono applicabili le sanzioni amministrative di cui all'articolo 31 del T.U. numero 380/2001 e quella penale di cui all'articolo 44, lett. b . 3. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, ai fini della individuazione della destinazione turistico - alberghiera di una struttura immobiliare non si deve tenere conto della titolarità della proprietà della stessa, che indifferentemente può appartenere ad un solo soggetto proprietario oppure ad una pluralità di soggetti. Ciò che rileva, invece, è la configurazione della struttura anche se appartenente a più proprietari come albergo o residenza turistico – ricettiva. Nella vicenda in oggetto, il provvedimento con cui il G.I.P. in data 28.1.2011 aveva respinto l'istanza di dissequestro faceva riferimento alla legge numero 42/2000 della Regione Toscana, secondo la quale i tratti caratterizzanti delle strutture turistico - ricettive risiedono nel fatto di essere aperte al pubblico ed a gestione unitaria . In relazione a tale normativa regionale, lo stesso G.I.P. aveva evidenziato “quanto alla apertura al pubblico, che lo statuto del omissis non prevede alcuna limitazione alla possibilità di allargare i fruitori della struttura rispetto ai soci effettivi - quanto alla gestione unitaria, che - gli spazi comuni ed i servizi in concreto offerti appaiono di gran lunga superiori a quanto viene offerto normalmente all'interno di un qualsiasi contratto di multiproprietà e ben al di là dei servizi di portierato e di pulizia e cambio biancheria che normalmente accompagnano, quanto meno in ambito Europeo, le esperienze di godimento frazionato di beni immobili - il godimento ripartito di beni immobili costituisce facoltà non limitata all'ambito residenziale e l'articolo 69 del d.lgs. 6.9.2005, numero 206 - nel capo riguardante i contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili - chiarisce che si vuole fare riferimento a un immobile, anche con destinazione alberghiera o parte di esso, per uso abitazione, o per uso alberghiero o per uso turistico - ricettivo , cosi rendendo evidente che è ben possibile ipotizzare un uso ripartito anche all'interno di una struttura non residenziale - il “codice di condotta” del omissis pone una serie di limitazioni agli ospiti es. non bere, non fumare, non tenere comportamenti indecorosi, non introdurre persone minori di anni 23, non portare a dormire un numero di persone superiore a quello previsto etc. con conseguenti poteri di censura, che possono arrivare fino alla sanzione massima della esclusione, del tutto incompatibili con la proprietà, pure nella forma del godimento ripartito. Le argomentazioni anzidette non sono state valutate e contrastate dal Tribunale nell'ordinanza impugnata, che si è limitata a svolgere scarne considerazioni sul regime dell'appartenenza delle unità immobiliari, tralasciando ogni verifica che andava necessariamente riferita - alla stregua della normativa regionale - alle modalità del sistema di prenotazione dei soggiorni tenuto anche conto della prospettata commercializzazione attraverso forme di pubblicità rivolte al pubblico in una situazione in cui spetterebbe ai soci indicare ospiti da essi prescelti ed individuati all'attività demandata ed in concreto svolta dalla Management by Four Seasons hotel and Resorts alla ravvisabilità dell'esistenza di una organizzazione imprenditoriale preposta al funzionamento della struttura ed alla gestione dei servizi comuni. Lo stesso Tribunale, infine, ha omesso di approfondire il tema della compatibilità, con gli interventi complessivamente riguardanti le dieci unità immobiliari in oggetto, delle singole approvazioni rilasciate dalla competente Soprintendenza ai beni architettonici ed ambientali. 4. L'ordinanza impugnata, conseguentemente, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Firenze, per un nuovo esame della vicenda alla stregua dei principi di diritto e delle emergenze fattuali dianzi enunciati. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Firenze per nuovo esame.