IVA: le operazioni esenti vanno verificate sull’attività svolta

Le operazioni esenti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto devono essere stabilite sulla base dell’attività effettivamente svolta dall’impresa e non è sufficiente che sull’oggetto sociale ci sia indicata il tipo di attività.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 4613 del 9 marzo 2016, ha stabilito che le operazioni esenti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, devono essere stabilite sulla base dell’attività che effettivamente l’impresa svolge e non sull’oggetto sociale nel caso in esame il costruttore che locava abitualmente gli immobili non ha diritto al beneficio fiscale, nonostante l’estraneità dello statuto. Il caso. La Curatela di un fallimento impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale tre avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2001, 2003 e 2004, con i quali l’Agenzia delle Entrate recuperava l’IVA portata in detrazione dalla Curatela sugli acquisti, sulla considerazione che ciò era da considerarsi indebito in quanto la società, a fronte di fatture attive emesse senza addebito di imposta per canoni di locazione, aveva portato in detrazione costi relativi a parcelle di professionisti e spese varie del fallimento, contravvenendo al disposto dell’articolo 19, comma 5, del d.P.R. numero 633/1972. La sentenza di primo grado, favorevole alla Curatela, veniva integralmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale in particolare il giudice di secondo grado, dopo avere rilevato che l'attività di locazione era iniziata assai prima del fallimento, nel 1994, escludeva che tale attività potesse essere definita occasionale, unica circostanza questa che avrebbe potuto giustificare la non applicazione del regime IVA. In proposito precisava che qualsiasi attività continuativa svolta dall'azienda rientrava nel regime fiscale proprio dell'impresa, anche se estraneo o parzialmente estraneo all’oggetto sociale. La prosecuzione della locazione in corso di fallimento, senza soluzioni di continuità, confermava l'irrilevanza di tale condizione rispetto alla soggezione dell’attività al regime IVA. Avverso tale sentenza sfavorevole la Curatela ha proposto ricorso in Cassazione. In particolare nel ricorso la Curatela sostiene che i contratti di locazione erano da considerare come «operazioni che non formavano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo», rappresentata dall’esercizio di «commercio all’ingrosso di materiali da costruzione» e che, a seguito del fallimento, l'attività di impresa era sostanzialmente cessata. L’analisi della Cassazione. La Corte di Cassazione evidenzia che l’articolo 19, del d.P.R. numero 633/1972, al comma 5, stabilisce «Ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi dell'articolo 10, il diritto alla detrazione dell'imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all'articolo 19-bis». I Giudici di legittimità evidenziano che ai fini della determinazione dell’imposta a carico dell’impresa, nel sistema IVA della rivalsa e della detrazione, ciò che rileva è l'effettivo volume di affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate nell’esercizio dell'attività imprenditoriale d.P.R. numero 633/1972, articolo 1 . Ne discende che così come le operazioni passive che abbiano comportato il pagamento dell'IVA in rivalsa non danno diritto a detrazione se non rientrano nell'attività propria dell’impresa, poiché non hanno contribuito a determinare l’entità delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi che costituiscono l'oggetto dell'attività imprenditoriale, per la medesima ragione, a contrario, le operazioni attive esenti estranee a quell'oggetto non possono rientrare nel calcolo del pro-rata di riduzione dell’IVA detraibile. L'esigenza, ai fini della determinazione dell’imposta, di tenere conto del coacervo delle operazioni di cessione e di prestazione di servizi effettuate nell'esercizio effettivo dell'impresa, comporta, infatti, la necessità di avere riguardo, non già all'attività previamente definita dall'atto costitutivo come oggetto sociale, bensì a quella realmente svolta dal contribuente nell'esercizio dell'impresa. La Corte di Cassazione ricordando un precedente orientamento giurisprudenziale, a cui intende dare continuità, afferma che «In tema di IVA, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell'attività propria di una società, ai fini dell'inclusione nel calcolo della percentuale d'imposta detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti cosiddetto pro-rata , occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall'atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall'impresa ai fini dell'imposta, rileva infatti il volume d'affari del contribuente, costituito dall'ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, e quindi l'attività in concreto esercitata». Le conclusioni. La Cassazione evidenzia che nel caso in esame, la Commissione Regionale, facendo corretta applicazione dei suesposti principi, ha affermato, nella ricostruzione della fattispecie concreta, la rilevanza dello svolgimento dell’attività locativa nell’ambito della attività di impresa in quanto perdurante nel tempo e svolta dalla società contribuente sia prima che dopo il fallimento senza soluzione di continuità il ricorso è , pertanto, rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, sentenza 30 settembre 2015 – 9 ,arzo 2016, numero 4613 Presidente Bielli – Relatore Tricomi Ritenuto in fatto I. La Curatela del Fallimento CO.MAR. SRL impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale dell'Aquila tre avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2001, 2003 e 2004, con i quali la Agenzia delle entrate recuperava l'IVA portata in detrazione dalla Curatela sugli acquisti, sulla considerazione che ciò era da considerarsi indebito in quanto la società, a fronte di fatture attive emesse senza addebito di imposta per canoni di locazione, aveva portato in detrazione costi relativi a parcelle di professionisti e spese varie del fallimento , contravvenendo al disposto dell'articolo 19, comma 5, del DPR numero 633/1972. 2. La sentenza di primo grado numero 130103/08, favorevole alla Curatela, veniva integralmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale con la sentenza numero 84/01/09, depositata il 03.11.09 e non notificata. Il giudice di secondo grado, dopo avere rilevato che l'attività di locazione era iniziata assai prima del fallimento, nel 1994, escludeva che tale attività potesse essere definita occasionale, unica circostanza questa che avrebbe potuto giustificare la non applicazione del regime IVA. In proposito precisava che qualsiasi attività continuativa svolta dall'azienda rientrava nel regime fiscale proprio dell'impresa, anche se estraneo o parzialmente estraneo all'oggetto sociale. La prosecuzione della locazione in corso di fallimento dichiarato il 20.12.2000/11.01.2001 , senza soluzioni di continuità, confermava l'irrilevanza di tale condizione rispetto alla soggezione dell'attività al regime IVA. 3.La Curatela propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale replica con controricorso l'Agenzia delle entrate. Considerato in diritto 1.1. Con l'unico motivo di ricorso la Curatela lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.19 bis, comma 2, e 10 del DPR numero 633Í1972. Sostiene la ricorrente che i contratti di locazione erano da considerare come operazioni che non formavano oggetto dell'attività propria del soggetto passivo , rappresentata dall'esercizio di commercio all'ingrosso di materiali da costruzione e che, a seguito del fallimento, l'attività di impresa era sostanzialmente cessata. A corredo formulava il seguente quesito La locazione di immobili effettuata da una società il cui oggetto dell'attività propria di impresa sia completamente diverso e dissimile da quello statutario, tanto più se fallita e quindi in una fase straordinaria di gestione, deve essere considerata attività di impresa ai sensi dell'articolo 19 bis, comma 1, del DPR numero 633/1972 oppure, proprio perché estranea all'oggetto sociale e comunque riguardante una fase anomala della società, deve considerarsi esclusa dal calcolo del pro-rata generale, ex articolo 19 bis, comma 2, del DPR numero 633/1972, perché non forma oggetto dell'attività propria del soggetto in quanto rientrante nelle fattispecie previste dall'articolo l0, da 1 a 9 del DPR numero 63311972? . 1.2.1. Il motivo è inammissibile e va respinto. 1.2.2. L'articolo 19 del DPR numero 633/1972, al comma 5 stabilisce 5. Ai contribuenti che esercitano sia attivita' che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attivita' che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi dell'articolo 10, il diritto alla detrazione dell'imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare e' determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all'articolo 19-bis. . Di seguito l'articolo 19 bis del DPR numero 633/1972, definisce al comma 1 le modalità di calcolo 1. La percentuale di detrazione di cui all'articolo 19, comma 5, e' determinata in base al rapporto tra l'ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell'anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell'anno medesimo. La percentuale di detrazione e' arrotondata all'unita' superiore o inferiore a seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi. , ed al comma 2 fissa alcune deroghe, tra cui quella invocata dalla Curatela ricorrente 2. Per il calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1 non si tiene conto , quando non formano oggetto dell'attivita' propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili, delle altre operazioni esenti indicate ai numeri da 1 a 9 del predetto articolo 10, ferma restando la indetraibilita' dell'imposta relativa ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioni. . 1.2.3. Ciò premesso sul piano normativo, va ricordato in via di principio che ai fini della determinazione dell'imposta a carico dell'impresa, nel sistema IVA della rivalsa e della detrazione, ciò che rileva è l'effettivo volume di affari del contribuente, costituito dall'ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate nell'esercizio dell'attività imprenditoriale D.P.R. 633 del 1972, articolo 1 . Ne discende che, così come le operazioni passive che abbiano comportato il pagamento dell'IVA in rivalsa non danno diritto a detrazione se non rientrano nell'attività propria dell'impresa, poiché non hanno contribuito a determinare l'entità delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi che costituiscono l'oggetto dell'attività imprenditoriale, per la medesima ragione a contrario le operazioni attive esenti estranee a quell'oggetto non possono rientrare nel calcolo del pro rata di riduzione dell'IVA detraibile Cass. 10528/98 . Ciò in quanto com'è del tutto evidente la determinazione dell'effettivo volume di affari del contribuente, sul quale è destinata ad incidere l'imposta, non può essere effettuata se non sulla base dell'attività in concreto dal medesimo esercitata. In tale prospettiva il D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 19 bis, comma 2, impone quindi di tenere conto anche delle operazioni esenti al fine della determinazione della percentuale di indetraibilità c.d. pro-rata , quando queste formino oggetto dell'attività propria dell'impresa Cass. 11085/08 . L'esigenza, ai fini della determinazione dell'imposta, di tenere conto del coacervo delle operazioni di cessione e di prestazione di servizi effettuate nell'esercizio effettivo dell'impresa, comporta, infatti, la necessità di avere riguardo, non già all'attività previamente definita dall'atto costitutivo come oggetto sociale, bensì a quella realmente svolta dal contribuente nell'esercizio dell'impresa. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare con principio a cui intende darsi continuità, In tema di IVA, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell'attività propria di una società, ai fini dell'inclusione nel calcolo della percentuale d'imposta detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti cosiddetto pro rata , occorre avere riguardo non già all'attività previamente definita dall'atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall'impresa ai fini dell'imposta, rileva infatti il volume d'affari del contribuente, costituito dall'ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, e quindi l'attività in concreto esercitata. Cass. numero 657412008 cfr. anche nnumero 912/2006, 17226/2006, 19484/2009, 2224312009 . A tal fine, pertanto, oltre agli atti che tipicamente esprimono il raggiungimento del fine produttivo enunciato nell'atto costitutivo dell'ente, occorre avere riguardo anche a quelle attività ulteriori che si raccordino con detto fine secondo parametri di regolarità causale, o che siano comunque ad esso legate da un nesso di carattere funzionale non meramente occasionale Cass. 6194101, 9762/03, 11073/06, 6574/08, 5970/2014 . 1.2.4. Nel caso in esame, la Commissione Regionale, facendo corretta applicazione dei su esposti principi, ha affermato, nella ricostruzione della fattispecie concreta, la rilevanza dello svolgimento dell'attività locativa nell'ambito della attività di impresa in quanto perdurante nel tempo e svolta dalla società contribuente sia prima che dopo il fallimento senza soluzione di continuità tale accertamento in fatto non è oggetto di censura in Cassazione. 1.2.5. La censura, incardinata come violazione di legge sulla non riconducibilità della locazione all'attività previamente definita dall'atto costitutivo come oggetto sociale e, in modo criptico, sul sopravvenuto fallimento, nonostante la prosecuzione senza alcuna modifica dei rapporti locativi, risulta svolta in modo formalistico in quanto non tiene conto della differente ricostruzione in fatto operata dalla CTR e non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. 1.3. Ne consegue il rigetto del motivo per inammissibilità. 2. In conclusione il ricorso va rigettato per inammissibilità del motivo, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte di Cassazione, rigetta il ricorso per inammissibilità del motivo condanna la ricorrente alla rifusione delle spese dei giudizio di legittimità che liquida nel compenso di comma 1.800,00, oltre spese prenotate a debito