Sancita definitivamente l’illegittimità della sanzione disciplinare adottata da ‘Poste Italiane’ nei confronti di un dipendente. Nessun dubbio sull’episodio contestato al lavoratore, il quale ha rivolto frasi minacciose, ma non offensive, all’indirizzo di un collega, però è valutato comunque come eccessivamente duro il provvedimento messo in atto dall’azienda.
Condotta poco elegante di un lavoratore, che rivolge epiteti non proprio oxfordiani a un collega. Testimoni due lavoratrici, che hanno addirittura presentato un esposto sull’episodio. Nessun dubbio sui contenuti dell’episodio. Allo stesso tempo, però, è valutata come eccessiva la sanzione disciplinare adottata dall’azienda, ossia la sospensione di dieci giorni per il dipendente Cass., ordinanza numero 2330/2015, sesta Sezione Sesta Civile - Lavoro, depositata oggi . Sospensione. Punto di svolta della battaglia giudiziaria è la decisione della Corte d’Appello, che, ribaltando la prospettiva adottata in Tribunale, sancisce l’illegittimità del provvedimento disciplinare deciso dall’azienda – ‘Poste Italiane spa’ – nei confronti di un lavoratore. Per i giudici di secondo grado, alla luce del «comportamento tenuto» dall’uomo, «la sanzione irrogata» – «sospensione di dieci giorni» – è «eccessiva». Di conseguenza, il «datore di lavoro, quale titolare del potere disciplinare» deve procedere, concludono i giudici, ad una «riduzione della sanzione». Sproporzione. Inevitabile la reazione dei legali che rappresentano l’azienda, reazione che si concretizza nel ricorso in Cassazione, finalizzato a sostenere la tesi della gravità della condotta tenuta dal lavoratore. Su questo fronte, in particolare, viene evidenziato, dall’azienda, il fatto che «il dipendente aveva rivolto frasi ingiuriose a due colleghe, intralciandone la prestazione ed impedendone le operazioni cui esse erano addette». Ciò ha comportato, sempre secondo l’azienda, «una condotta contraria ai dovei fissati dalle disposizioni codicistiche e dalla norma collettiva, per la quale la sospensione è applicabile ove il lavoratore sia autore di minacce o ingiurie gravi verso altri dipendenti, o di comportamenti che producano interruzione o turbativa del servizio». Tale ricostruzione dell’episodio, però, viene valutata, dai giudici del ‘Palazzaccio’, come ‘forzata’, alla luce del materiale probatorio raccolto tra primo e secondo grado. La documentazione a disposizione dei giudici di merito, difatti, ha consentito di appurare che il lavoratore ha pronunciato «parole che avevano contenuto offensivo, ma non minaccioso», rivolgendole però non alle «due lavoratrici» che hanno poi presentato un «esposto», bensì a «un terzo dipendente». Evidente, quindi, e non discutibile, l’«inadempimento» attribuibile al lavoratore. Però, aggiungono i giudici del ‘Palazzaccio’, è altrettanto lapalissiano quanto sia «sproporzionata la sanzione» adottata da ‘Poste Italiane’. A vuoto, quindi, la richiesta dell’azienda di vedere legittimata la «sospensione di dieci giorni» del dipendente. E inutile anche la domanda, rivolta al giudice, di provvedere a indicare una «sanzione meno grave».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 1 dicembre 2014 – 6 febbraio 2015, numero 2330 Presidente/Relatore Mammone Ritenuto in fatto e diritto 1.- Con ricorso al giudice del lavoro di Milano, Poste Italiane s.p.a. chiedeva accertarsi la legittimità della sanzione disciplinare sospensione di dieci giorni inflitta al dipendente Libero Maurizio per avere egli tenuto condotta offensiva ed aggressiva nei confronti di alcune colleghe di lavoro. 2.- Accolta la domanda e proposto appello dal Libero, la Corte d'appello di Milano con sentenza del 24.05.10 accoglieva l'impugnazione, per quanto qui rileva ritenendo che, in relazione al comportamento tenuto, la sanzione irrogata fosse eccessiva e che, pertanto, il datore quale titolare del potere disciplinare dovesse procedere ad una sua riduzione. 3.- Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione. Non svolgeva attività difensiva Libero. 4.- Il Consigliere relatore, ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c., ha depositato relazione, che è stata notificata al difensore costituito assieme all'avviso di convocazione dell'adunanza. Poste Italiane ha depositato memoria. 5.- Poste Italiane con due motivi lamenta 5.1.- violazione degli articolo 2104 e 2106 c.c. e 56 ccnl dipendenti postali 11.07.03, in quanto il dipendente aveva rivolto frasi ingiuriose a due colleghe, intralciandone la prestazione ed impedendo le operazioni cui esse erano addette, attuando una condotta contraria ai doveri fissati dalle disposizioni codicistiche e dalla norma collettiva articolo 56 , per la quale la sospensione è applicabile ove il lavoratore sia autore di minacce o ingiurie gravi verso altri dipendenti o di comportamenti che producano interruzione o turbativa del servizio 5.2.- carenza di motivazione in quanto la Corte di merito, quantunque richiestane, non aveva determinato la minor sanzione da irrogare al dipendente in ragione della mancata proporzione rilevata. 6.- Quanto al primo motivo deve rilevarsi che la Corte d'appello ha ricostruito i fatti addebitati ed è giunta a11a conclusione che le parole profferite dal Libero, oggetto di un esposto di due lavoratrici, avevano contenuto offensivo, ma non minaccioso, e comunque erano dirette non specificamente alle predette, quanto ad un terzo dipendente, addetto alla stessa areola in cui lavoravano le due esponenti. Sulla base di questo accertamento di fatto ha ritenuto esistente l'inadempimento, ma sproporzionata la sanzione. Le censure mosse dalla ricorrente hanno ad oggetto il giudizio di proporzionalità, che è frutto di valutazioni di merito congruamente motivate ed è, pertanto, incensurabile in sede di legittimità. 7.- Quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che per la giurisprudenza di legittimità la potestà di infliggere sanzioni disciplinari è riservata dall'articolo 2106 c.c. alla discrezionalità dell'imprenditore, in quanto contenuta nel più ampio potere di direzione dell'impresa a costui attribuito dall'ars 2086 c.c., a sua volta compreso nella libertà di iniziativa economica di cui all'articolo 41 Cost. Cass. 25.05.95 numero 5753 . Ne consegue che il giudice, pur nel caso sia stato adito dal datore di lavoro per la conferma della sanzione disciplinare e sia stato dallo stesso esplicitamente richiestone, non può convertirla in altra meno grave. 8.- Inammissibili i due motivi, il ricorso deve essere rigettato, senza pronunzia a proposito delle spese del giudizio di legittimità, non avendo svolto attività difensiva la parte intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, nulla disponendo per le spese.