Denunciato per i disordini durante una manifestazione politica non autorizzata: sì al DASPO

Respinte le obiezioni mosse dal legale destinatario della misura. Confermata la legittimità del provvedimento adottato dalla Questura. Seguita la linea già tracciata dal GIP del Tribunale.

L’essersi reso responsabile di disordini in occasione di una manifestazione politica non autorizzata è premessa sufficiente per legittimare il DASPO adottato dalla Questura Cassazione, sentenza numero 2278/21, sez. III Penale, depositata il 20 gennaio . Casus belli è il provvedimento con cui viene disposto che un uomo «per cinque anni compaia personalmente in Questura, 20 minuti dopo l’inizio del primo tempo e 20 minuti dopo l’inizio del secondo tempo di ogni partita» della locale squadra di calcio. Dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale arriva la conferma del provvedimento della Questura. In particolare, viene evidenziata «la certa attribuibilità all’uomo delle condotte indicate nella comunicazione di notizia di reato» da cui risulta che «egli, unitamente ad altri, si era reso responsabile di disordini nel corso di una manifestazione non autorizzata, venendo denunciato per i reati di cui all’articolo 18 T.U.L.P.S. e 5 bis l. 152/75 ». Col ricorso in Cassazione il difensore dell’uomo contesta l’ottica adottata dal GIP. In sostanza, il legale denuncia «la violazione dell’articolo 6, comma 1, lett. c , l. 13 dicembre 1989, numero 401», evidenziando che, «benché l’articolo 13, comma 1, lett. a , d.l. 14 giugno 2019, convertito dalla l. 8 agosto 2019, numero 77, abbia introdotto la possibilità di applicare i provvedimenti di divieto di accesso ai luoghi destinati a ospitare manifestazioni sportive e l’obbligo di presentazione alla autorità di polizia in concomitanza con le stesse anche nei confronti dei soggetti denunciati o condannati per alcuni dei reati elencati all’articolo 6, comma 1, lett. c , l. numero 401 del 1989, oltre che ai soggetti di cui alla lett. d della medesima disposizione», il suo cliente «non è stato denunciato per alcuno dei reati indicati alla suddetta lett. c di tale norma, non suscettibile di interpretazione analogica in malam partem, in quanto incidente sulla libertà personale». Per il legale, «la circostanza che l’uomo fosse stato denunciato per il reato di cui all’articolo 5 l. 152/75 per avere partecipato con volto travisato a una manifestazione politica essendo già destinatario di provvedimento di divieto di accesso e obbligo di presentazione doveva essere considerata irrilevante, trattandosi di denuncia relativa a condotte antecedenti alla possibilità di disporre le suddette misure fuori contesto, cioè indipendentemente dalla loro realizzazione in occasione di una manifestazione sportiva». Dalla Procura Generale della Cassazione sottolineano che «tra i presupposti per l’adozione del provvedimento impositivo dell’obbligo di presentazione vi è anche l’aver riportato condanna, anche con sentenza non definitiva, o semplice denuncia per il reato di cui all’articolo 5 della legge numero 152 del 1975, o per alcuno dei delitti contro l’ordine pubblico o dei delitti di comune pericolo mediante violenza», e osservano che, in questo caso, «l’uomo nell’ultimo quinquennio era stato deferito per l’ipotesi di cui all’articolo 5 l. numero 175 del 1975 citata, raggiunto da provvedimento di divieto di accesso del Questore e deferito alla autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 18 T.U.L.P.S. e in relazione all’articolo 5 bis della legge numero 152 del 1975». Questa linea è condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali respingono le obiezioni difensive e confermano la legittimità del DASPO. In premessa viene ricordato che «l’articolo 6, comma 1, lett. c , l. 13 dicembre 1989, numero 401, come modificato dal d.l. 14 giugno 2019, numero 53, convertito con modificazioni dalla l. 8 agosto 2019, numero 77, prevede attualmente la possibilità di adottare i provvedimenti amministrativi di divieto di accesso ai luoghi destinati a ospitare manifestazioni sportive e la sottoposizione all’obbligo di presentazione all’autorità di polizia in concomitanza con tali manifestazioni anche nei confronti di coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti per alcuno dei reati di cui all’articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, numero 110, all’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, numero 152, all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, numero 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, numero 205, agli articoli 6-bis, commi 1 e 2, e 6-ter della presente legge, per il reato di cui all’articolo 2-bis del decreto-legge 8 febbraio 2007, numero 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, numero 41, o per alcuno dei delitti contro l’ordine pubblico o dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro secondo, titoli V e VI, capo I, del Codice Penale o per il delitto di cui all’articolo 588 dello stesso Codice, ovvero per alcuno dei delitti di cui all’articolo 380, comma 2, lettere f e h , del Codice di Procedura Penale, anche se il fatto non è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive». In sostanza, si parla del «cosiddetto ‘Daspo fuori contesto’, cioè adottato indipendentemente dalla realizzazione di condotte violente in occasione o a causa di manifestazioni sportive, qualora, per effetto della precedente condanna o anche solo della denuncia per uno dei reati indicati nella disposizione, venga formulato, a seguito della realizzazione di condotte violente, un giudizio di pericolosità nei confronti del soggetto precedentemente condannato o denunciato e che si sia reso autore di condotte violente, al quale sia necessario, proprio per la sua pericolosità desunta da tali condanne o denunce e dalla nuova realizzazione di condotte violente , impedire l’accesso ai luoghi destinati a ospitare manifestazioni sportive e imporre anche la misura di prevenzione atipica dell’obbligo di presentazione, allo scopo di evitare che all’interno delle tifoserie si verifichino infiltrazioni di soggetti sospettatati di terrorismo o comunque ritenuti pericolosi, e anche di prevenire, in tal modo, la realizzazione di attentati in luoghi ad alta densità sociale». In questo caso specifico «il provvedimento impugnato è stato adottato sul rilievo che l’uomo era stato denunciato nel marzo 2017 per il reato di cui all’articolo 5 l. numero 152 del 1975 per avere partecipato con volto travisato a una manifestazione politica, essendo già stato destinatario di provvedimento di divieto di accesso e obbligo di presentazione , che rientra tra i reati che, ai sensi del citato articolo 6, comma 1, lett. c , l. numero 401 del 1989, consentono l’adozione del provvedimento di divieto di accesso e la sottoposizione alla misura di sicurezza dell’obbligo di presentazione nel caso di realizzazione di condotte violente anche se indipendenti da manifestazioni sportive». Il legale dell’uomo «ha contestato che condotte anteriori alla entrata in vigore della disposizione che consente l’adozione di tali misure possano essere considerate al fine della adozione di tale provvedimento, giacché ciò si tradurrebbe in una interpretazione analogica in malam partem, vietata nella materia penale». I giudici della Cassazione ribattono che «il nuovo testo della disposizione fa chiaramente riferimento a condanne o denunce evidentemente precedenti alla entrata in vigore della disposizione, che, altrimenti, risulterebbe priva dell’immediato effetto di tutela della sicurezza pubblica che è volta a salvaguardare» e aggiungono che «l’interpretazione censurata dal legale non determina affatto una analogia in malam partem, né una applicazione retroattiva di leggi penali, espressamente vietata dall’articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale, dall’articolo 1 cod. penumero e dall’articolo 25 Cost., in quanto non vengono sanzionate condotte anteriori alla entrata in vigore del nuovo testo dell’articolo 6, comma 1, lett. c , l. 401/89 citato, bensì successive, di cui muta solamente la considerazione di gravità e rilevanza alla luce di fatti precedenti le condanne o le denunce per uno dei fatti indicati nella disposizione , che non vengono però sottoposti a sanzione sulla base di una norma a essi sopravvenuta, ma solamente considerati quale antecedente storico, che costituisce il presupposto per l’applicazione della nuova previsione a condotte successive alla sua entrata in vigore, sulla base di una autonoma e attuale valutazione di pericolosità dell’autor di tali condotte». Di conseguenza, «deve escludersi che si sia verificata una interpretazione analogica in malam partem o l’applicazione retroattiva di norme penali, entrambe vietate, per effetto della imposizione all’uomo della misura di prevenzione atipica dell’obbligo di presentazione alla autorità di polizia in conseguenza della sua partecipazione a disordini in occasione di una manifestazione non autorizzata, per essere in precedenza stato denunciato per il reato di cui all’articolo 5 l. numero 152 del 1975, giacché tale denuncia, precedente alla modifica del testo dell’articolo 6 l. numero 401 del 1989, è stata considerata non a fini sanzionatori ma solo quale antecedente storico nella valutazione dei presupposti per l’applicazione della nuova previsione».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 dicembre 2020 – 20 gennaio 2021, numero 2278 Presidente Rosi – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 6 luglio 2020 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto ha convalidato il provvedimento del Questore di Taranto del 30 giugno 2020, con cui è stato disposto che per cinque anni M.A. compaia personalmente nella Questura di Taranto venti minuti dopo l’inizio del primo tempo e venti minuti dopo l’inizio del secondo tempo di ogni partita della squadra di calcio del []. Nel convalidare il provvedimento del Questore il Giudice per le indagini preliminari ha evidenziato la certa attribuibilità al M. delle condotte indicate nella comunicazione di notizia di reato del 9 marzo 2020 da cui risulta che lo stesso, unitamente ad altri, si era reso responsabile di disordini nel corso di una manifestazione non autorizzata, venendo denunciato per i reati di cui all’articolo 18 t.u.l.p.s. e L. numero 152 del 1975, articolo 5 bis . 2. Avverso tale ordinanza il sottoposto ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, che lo ha affidato a un unico motivo, mediante il quale ha denunciato la violazione della L. 13 dicembre 1989, numero 401, articolo 6, comma 1, lett. c , evidenziando che benché il D.L. 14 giugno 2019, articolo 13, comma 1, lett. a , convertito dalla L. 8 agosto 2019, numero 77, abbia introdotto la possibilità di applicare i provvedimenti di divieto di accesso ai luoghi destinati a ospitare manifestazioni sportive e l’obbligo di presentazione alla autorità di polizia in concomitanza con le stesse anche nei confronti dei soggetti denunciati o condannati per alcuni dei reati elencati alla L. numero 401 del 1989, articolo 6, comma 1, lett. c , oltre che ai soggetti di cui alla lett. d della medesima disposizione, il ricorrente non era stato denunciato per alcuno dei reati indicati alla suddetta lett. c di tale norma, non suscettibile di interpretazione analogica in malam partem, in quanto incidente sulla libertà personale la circostanza che il ricorrente il 14 marzo 2017 fosse stato denunciato per il reato di cui alla L. numero 152 del 1975, articolo 5 per avere partecipato con volto travisato a una manifestazione politica essendo già destinatario di provvedimento di divieto di accesso e obbligo di presentazione doveva essere considerata irrilevante, trattandosi di denuncia relativa a condotte antecedenti alla possibilità di disporre le suddette misure fuori contesto, cioè indipendentemente dalla loro realizzazione in occasione di una manifestazione sportiva. 3. Il Procuratore Generale nelle sue richieste ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando che tra i presupposti per l’adozione del provvedimento impositivo dell’obbligo di presentazione vi è anche l’aver riportato condanna, anche con sentenza non definitiva, o semplice denuncia per il reato di cui alla L. numero 152 del 1975, articolo 5, o per alcuno dei delitti contro l’ordine pubblico o dei delitti di comune pericolo mediante violenza, e che il ricorrente nell’ultimo quinquennio era stato deferito per l’ipotesi di cui alla citata L. numero 175 del 1975, articolo 5 , raggiunto da provvedimento di divieto di accesso del Questore di Taranto del 13 giugno 2017 e deferito alla autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 18 t.u.l.p.s. e in relazione alla L. numero 152 del 1975, articolo 5 bis. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2. La L. 13 dicembre 1989, numero 401, articolo 6, comma 1, lett. c , come modificato dal D.L. 14 giugno 2019, numero 53, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 2019, numero 77, prevede attualmente la possibilità di adottare i provvedimenti amministrativi di divieto di accesso ai luoghi destinati a ospitare manifestazioni sportive e la sottoposizione all’obbligo di presentazione all’autorità di polizia in concomitanza con tali manifestazioni anche nei confronti di coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti per alcuno dei reati di cui alla L. 18 aprile 1975, numero 110, articolo 4, commi 1 e 2, alla L. 22 maggio 1975, numero 152, articolo 5, al D.L. 26 aprile 1993, numero 122, articolo 2, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 1993, numero 205, all’articolo 6-bis, commi 1 e 2 e articolo 6-ter della presente legge, per il reato di cui al D.L. 8 febbraio 2007, numero 8, articolo 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 aprile 2007, numero 41, o per alcuno dei delitti contro l’ordine pubblico o dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro secondo, titoli V e VI, capo I, del codice penale o per il delitto di cui all’articolo 588, ovvero per alcuno dei delitti di cui all’articolo 380 c.p.p., comma 2, lett. f e h , anche se il fatto non è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive . Si tratta del cosiddetto DASPO fuori contesto , cioè adottato indipendentemente dalla realizzazione di condotte violente in occasione o a causa di manifestazioni sportive, qualora, per effetto della precedente condanna o anche solo della denuncia per uno dei reati indicati nella disposizione, venga formulato, a seguito della realizzazione di condotte violente, un giudizio di pericolosità nei confronti del soggetto precedentemente condannato o denunciato e che si sia reso autore di condotte violente, al quale sia necessario, proprio per la sua pericolosità desunta da tali condanne o denunce e dalla nuova realizzazione di condotte violente , impedire l’accesso ai luoghi destinati a ospitare manifestazioni sportive e imporre anche la misura di prevenzione atipica dell’obbligo di presentazione, allo scopo di evitare che all’interno delle tifoserie si verifichino infiltrazioni di soggetti sospettatati di terrorismo o comunque ritenuti pericolosi, e anche di prevenire, in tal modo, la realizzazione di attentati in luoghi ad alta densità sociale. 3. Nel caso in esame il provvedimento impugnato è stato adottato sul rilievo che il ricorrente era stato denunciato il 14 marzo 2017 per il reato di cui alla L. numero 152 del 1975, articolo 5 per avere partecipato in data 11 marzo 2017 con volto travisato a una manifestazione politica, essendo già stato destinatario di provvedimento di divieto di accesso e obbligo di presentazione , che rientra tra i reati che, ai sensi del citato L. numero 401 del 1989, articolo 6, comma 1, lett. c , consentono l’adozione del provvedimento di divieto di accesso e la sottoposizione alla misura di sicurezza dell’obbligo di presentazione nel caso di realizzazione di condotte violente anche se indipendenti da manifestazioni sportive. Il ricorrente ha, però, contestato che condotte anteriori alla entrata in vigore della disposizione che consente l’adozione di tali misure possano essere considerate al fine della adozione di tale provvedimento, giacché ciò si tradurrebbe in una interpretazione analogica in malam partem, vietata nella materia penale. Si tratta di censura infondata, sia perché il nuovo testo della disposizione fa chiaramente riferimento a condanne o denunce evidentemente precedenti alla entrata in vigore della disposizione, che,, altrimenti, risulterebbe priva dell’immediato effetto di tutela della sicurezza pubblica che è volta a salvaguardare sia perché l’interpretazione censurata dal ricorrente non determina affatto una analogia in malam partem, come sostenuto dal ricorrente, nè una applicazione retroattiva di leggi penali, espressamente vietate dall’articolo 14 preleggi, dall’articolo 1 c.p. e dall’articolo 25 Cost., in quanto non vengono sanzionate condotte anteriori alla entrata in vigore del nuovo testo della cit. L. numero 401 del 1989, articolo 6, comma 1, lett. c , bensì successive, di cui muta solamente la considerazione di gravità e rilevanza alla luce di fatti precedenti le condanne o le denunce per uno dei fatti indicati nella disposizione , che non vengono però sottoposti a sanzione sulla base di una norma a essi sopravvenuta, ma solamente considerati quale antecedente storico, che costituisce il presupposto per l’applicazione della nuova previsione a condotte successive alla sua entrata in vigore, sulla base di una autonoma e attuale valutazione di pericolosità dell’autor di tali condotte. Deve, pertanto, escludersi che si sia verificata una interpretazione analogica in malam partem o l’applicazione retroattiva di norme penali, entrambe vietate, per effetto della imposizione al ricorrente della misura di prevenzione atipica dell’obbligo di presentazione alla autorità di polizia in conseguenza della sua partecipazione a disordini in occasione di una manifestazione non autorizzata, per essere in precedenza stato denunciato per il reato di cui alla L. numero 152 del 1975, articolo 5, giacché tale denuncia, precedente alla modifica del testo della L. numero 401 del 1989, articolo 6, è stata considerata non a fini sanzionatori ma solo quale antecedente storico nella valutazione dei presupposti per l’applicazione della nuova previsione. 4. Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto, a cagione della infondatezza dell’unica censura cui è stato affidato. Consegue la condanna al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.