Patologia psichica, pensione di inabilità e presenza di un tutore non bastano per ottenere l’indennità di accompagnamento

Respinta la richiesta avanzata nei confronti dell’INPS da un uomo affetto da patologia psichica. Per i Giudici, come già per l’istituto previdenziale, il soggetto è in grado di provvedere alla propria igiene personale, di soddisfare i propri bisogni fisiologici, vestirsi e svestirsi, assumere i pasti, effettuare in sufficiente autonomia tutto quanto attiene alle necessità minime essenziali della quotidianità.

Patologia psichica, pensione di inabilità e presenza di un tutore non bastano per ottenere dall’INPS l’indennità di accompagnamento Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza numero 15620/21, depositata il 4 giugno . Posizione comune per i giudici di merito, anche alla luce della relazione consegnata dal consulente niente « indennità di accompagnamento » per un uomo affetto da « patologia psichica » e «titolare di pensione di inabilità». Legittimo, quindi, il rifiuto opposto dall’istituto previdenziale alla originaria domanda. In Appello viene evidenziato, in particolare, che «l’uomo, affetto da patologia di natura psichica, è comunque in grado di attendere agli atti essenziali della vita quotidiana, e che l’impegno giornaliero che sì richiede alla persona eventualmente delegata a supervisionare talune attività – tra cui l’assunzione quotidiana di farmaci – si limita a un tempo minimo giornaliero». Questi dettagli sono ritenuti fondamentali, poiché «il presupposto legale dell’indennità di accompagnamento consiste non già nella mera difficoltà di compiere gli atti della vita quotidiana, bensì nell’impossibilità di por mano ad essi», ricordano i giudici. A portare il caso in Cassazione è il tutore dell’uomo a cui è stata negata dall’ INPS l’indennità di accompagnamento. Col ricorso vengono poste in evidenza «le conseguenze derivanti dalla grave patologia psichica» che affligge l’uomo, e, allo stesso tempo, viene osservato che «la capacità di un soggetto di attendere alle attività quotidiane della vita» non può essere basata «sul solo indicatore relativo alla possibilità di assunzione dei farmaci giornalieri senza ausilio». Anche perché, viene aggiunto, bisogna tenere presente «la ratio solidaristica, di matrice assistenziale, sottesa all’istituto dell’accompagnamento, diretto ad alleviare le sofferenze dei nuclei familiari con soggetti affetti da gravi infermità, i quali necessitano di un continuo controllo, al tempo stesso consentendo a quegli stessi soggetti di permanere all’interno della famiglia». A queste considerazioni i Giudici della Cassazione ribattono ricordando che «i presupposti utili a beneficiare dell’ indennità di accompagnamento consistono nell’ impossibilità – e non nella mera difficoltà – di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore e nell’impossibilità di compiere gli atti della vita quotidiana». In questa vicenda si è appurato che il soggetto preso in considerazione «è in grado di provvedere alla propria igiene personale, di soddisfare i propri bisogni fisiologici, vestirsi e svestirsi, assumere i pasti, effettuare in sufficiente autonomia tutto quanto attiene alle necessità minime essenziali della quotidianità», mentre «l’eventuale aiuto da parte di un familiare o di una persona delegata a supervisionare la corretta assunzione della terapia farmacologica attesa la totale capacità del soggetto di provvedervi in autonomia , somministrata con cadenza non giornaliera bensì al bisogno, non comporta di certo un impegno di tempo continuativo, là dove l’accompagnamento presuppone la necessità di far ricorso all’aiuto di terze persone nella giornata ogni qual volta il soggetto debba compiere una determinata attività quotidiana senza la cui assistenza essa non sia materialmente attuabile». Inutile, infine, anche il richiamo alla patologia psichica da cui è affetto l’uomo, poiché si è appurato, tra primo e secondo grado, che «essa non è di gravità tale da far ritenere necessario l’ accompagnamento , non possedendo le caratteristiche della psicosi cronica che si manifesta con allucinazioni e delirio». Impossibile, quindi, obbligare l’INPS a riconoscere all’uomo l’indennità di accompagnamento da lui richiesta.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 24 febbraio – 4 giugno 2021, numero 15620 Presidente Doronzo – Relatore De Felice Rilevato che la Corte d’appello di Salerno, in sede di rinvio, previo espletamento di nuova CTU medico legale, ha confermato la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore, negando a O.G. , titolare di pensione di inabilità, il beneficio dell’indennità di accompagnamento la Corte territoriale ha accertato che il ricorrente, affetto da patologia di natura psichiatrica, era comunque in grado di attendere agli atti essenziali della vita quotidiana, e che l’impegno giornaliero che si richiedeva alla persona eventualmente delegata a supervisionare talune attività, tra cui l’assunzione quotidiana di farmaci, si limitava a un tempo minimo giornaliero la decisione ha ribadito che il presupposto legale dell’indennità di accompagnamento consiste non già nella mera difficoltà di compiere gli atti della vita quotidiana, bensì nell’impossibilità di por mano agli stessi la cassazione della sentenza è domandata da Giuseppe O. , nella qualità di tutore di O.G. , sulla base di un unico motivo l’Inps ha depositato controricorso il Ministero dell’Economia e Finanza è rimasto intimato è stata depositata proposta ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio. Considerato che con un unico motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, il ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione della L. numero 18 del 1980, articolo 1 e della L. numero 508 del 1998, articolo 1 parte ricorrente censura la sentenza impugnata per aver erroneamente valutato le conseguenze derivanti dalla grave patologia psichica da cui è affetto O.G. , ritenendo comprovata la capacità di questi di attendere alle attività quotidiane della vita sulla base del solo indicatore relativo alla possibilità di assunzione dei farmaci giornalieri senza ausilio contesta alla Corte territoriale di non aver tenuto conto della ratio solidaristica, di matrice assistenziale, sottesa all’istituto dell’accompagnamento, diretto ad alleviare le sofferenze dei nuclei familiari con soggetti affetti da gravi infermità, i quali necessitano di un continuo controllo, al tempo stesso consentendo ai medesimi di permanere all’interno della famiglia il motivo è inammissibile nel caso che ci occupa, la valutazione del giudice del merito, resa sulla base delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ha tenuto conto di quanto affermato da questa Suprema Corte circa i presupposti utili a beneficiare dell’indennità di accompagnamento, consistenti nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore e nell’impossibilità di compiere gli atti della vita quotidiana, non ritenendo sufficiente la mera difficoltà nel realizzarli la Corte territoriale ha accertato che O.G. è in grado di provvedere alla propria igiene personale, di soddisfare i propri bisogni fisiologici, vestirsi e svestirsi, assumere i pasti, effettuare in sufficiente autonomia tutto quanto attiene alle necessità minime essenziali della quotidianità che l’eventuale aiuto da parte del familiare o di persona delegata a supervisionare la corretta assunzione della terapia farmacologica attesa la totale capacità di O. di provvedervi in autonomia , somministrata con cadenza non giornaliera bensì al bisogno, non comporta di certo un impegno di tempo continuativo, là dove l’accompagnamento presuppone la necessità di far ricorso all’aiuto di terzi nella giornata ogni qual volta il soggetto debba compiere una determinata attività quotidiana senza la cui assistenza essa non sia materialmente attuabile anche con riguardo al tipo di patologia psichica da cui è affetto il ricorrente, la Corte territoriale ha accertato, sempre sulla scorta delle risultanze peritali, che essa non sia di gravità tale da far ritenere necessario l’accompagnamento, non possedendo le caratteristiche della psicosi cronica che si manifesta con allucinazioni e delirio, per la quale è stato giudicato ammissibile il beneficio in questione si tratta di un giudizio compiutamente formulato, logicamente e tecnicamente corretto, nonché in linea con le norme di legge nell’interpretazione offertane da questa Corte, sicché nessuna violazione delle stesse è, nel caso in questione, riscontrabile in realtà, le prospettazioni del ricorrente deducono solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito esse si infrangono, perciò, di fronte al principio secondo cui, nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali derivanti da malattie dell’assicurato, l’apprezzamento del giudice di merito basato sui risultati dell’indagine peritale, nonché la valutazione in ordine alla obiettiva esistenza delle infermità, alla loro natura ed entità, costituisce un tipico accertamento di fatto, sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione Cass. numero 18931 del 2019, Cass. numero 1652 del 2012, Cass. numero 569 del 2011, Cass. numero 9988 del 2009 , ed ora deducibile unicamente nei ristretti parametri indicati dall’articolo 360 c.p.c., numero 5, nell’interpretazione datane dalle Sezioni Unite di questa Corte Sez. Unumero 8053 del 2014 al di fuori da tale ambito, le censure costituiscono un mero dissenso diagnostico non attinente ai vizi del processo logico che sorregge la decisione e si traducono in un’inammissibile richiesta di rivalutazione del merito del convincimento del giudice va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito cfr. ex multis, Cass. numero 18931 del 2019, Cass. numero 18721 del 2018, Cass. numero 8758 del 2017 in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile non si provvede alle spese del presente giudizio per la sussistenza della dichiarazione di cui all’articolo 152 disp. att. c.p.c., avente ad oggetto l’esenzione dal pagamento delle spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali in capo al soggetto che versi nelle condizioni reddituali per poterne beneficiare D.L. numero 269 del 2003, articolo 42, comma 11 conv. con modifiche nella L. numero 326 del 2003 , il cui scopo è quello di non scoraggiare la proposizione di domande giudiziali attinenti alla materia della previdenza/assistenza Cass. numero 15659 del 2019 in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.