Versamento post divorzio spalmato in cinque rate, assegno non divorzile. Respinta la richiesta dell’ex moglie

Nonostante il nomen iuris utilizzato dai coniugi, per i giudici i soldi dati dall’uomo alla donna costituiscono il sigillo definitivo ai relativi rapporti economici. Nessuna possibilità, quindi, di accogliere la domanda relativa alla pensione dell’ex marito.

Matrimonio chiuso da anni, come certificato dall’ufficialità del divorzio. Alla morte dell’ex marito, però, in ballo finisce la possibilità, per la donna, di usufruire della pensione di reversibilità. Diritto legittimo? Risposta negativa perché quello presentato come assegno divorzile, legittimante la richiesta, è da qualificare, invece – chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 3635, sezione Lavoro, depositata oggi –, come dazione unica, seppur rateizzata. Presupposto. A contrastare la domanda della ex moglie è, ovviamente, l’Istituto nazionale per la previdenza sociale per quest’ultimo, difatti, la donna chiede la condanna a corrisponderle la pensione maturata dal coniuge divorziato e deceduto da qualche anno. Ma le prospettive, per la donna, non si rivelano affatto incoraggianti sia in Tribunale che in Corte d’Appello, difatti, la richiesta viene respinta. Per quale ragione? Perché, secondo i giudici, «mancava il presupposto condizionante», ossia la donna «non era destinataria dell’assegno» previsto dalla legge sul divorzio a favore del coniuge meno abbiente. Anche rateizzato. A pronunciare l’ultima parola, però, debbono essere i giudici di Cassazione, ai quali si rivolge l’ex moglie, con ricorso ad hoc, per vedere messa in discussione la pronuncia di secondo grado e, se possibile, riconosciuto il suo diritto alla pensione dell’ex marito oramai defunto. La tesi su cui poggia il ricorso è semplice in Appello si è ritenuto che l’assegno divorzile riconosciutole «avesse natura giudiziale e non negoziale», e poiché esso «non muta la sua funzione sia nel caso in cui venga erogato periodicamente sia che venga capitalizzato e versato in forma rateale», ne consegue la legittimità del pieno diritto a ricevere, ora, la pensione di reversibilità. Caso per caso. Per sbrogliare la matassa, però, i giudici della Cassazione non si fermano, semplicemente, al richiamo della normativa, a partire dalla legge sul divorzio, e all’attestazione che «la corresponsione in un’unica soluzione dell’assegno divorzile esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, attesa la cessazione per effetto del divorzio di qualsiasi rapporto tra gli ex coniugi», con la conseguenza che «nessuna ulteriore prestazione può essere legittimamente invocata, neppure per il peggioramento delle condizioni economiche del coniuge assegnatario». Seguendo questa linea, è evidente, la situazione è netta di fronte alla «liquidazione in un’unica soluzione» non resta in piedi «un rapporto da cui possano scaturire nuovi ulteriori obblighi, in quanto l’aspettativa ad un assegno è stata esaurita attraverso l’una tantum, ed è venuto meno ogni rapporto di natura personale fra i coniugi, potenziale fonte di altre pretese, anche economiche». Ma ciò che viene evidenziato dai giudici – che, comunque, rigettano le domande avanzate dalla donna – è il ‘peso’ da attribuire alla «somma, anche rateizzata» corrisposta al coniuge meno abbiente. Ebbene, questo ‘peso’ è tale da «determinare un miglioramento della situazione economica» del coniuge beneficiario «incompatibile con il riconoscimento della pensione di reversibilità». E nella vicenda in esame, superando il nomen iuris attribuito dai coniugi alle loro pattuizioni, il versamento stabilito a favore della donna, ossia 200milioni di lire ‘spalmati’ su rate da 40milioni ognuna, costituisce una dazione che sistema «definitivamente i rapporti economici tra i coniugi divorziati» e che può essere inquadrata come «equivalente a negozi di natura transattiva o aleatoria» e «non assoggettabili alla regolamentazione prevista per l’assegno periodico di divorzio».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 gennaio – 8 marzo 2012, numero 3635 Presidente Vidiri – Relatore De renzis Fatto e diritto 1. La Corte di Appello di Ancona con sentenza numero 381 del 2009, nel confermare la decisione del Tribunale di Ascoli Piceno numero 734 del 2008, ha ritenuto infondata la domanda di M.G.S., intesa ad ottenere la condanna dell’INPS alla corresponsione in suo favore della pensione maturata dal coniuge divorziato P.H. da C.G., deceduto l’11.04.2006. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale ha osservato - alla stregua della giurisprudenza di legittimità e di quella costituzionale nonché dell’interpretazione da darsi alla disposizione di cui all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970 numero 898 e della successiva legge 28 dicembre 2005 numero 263 - che nel caso di specie mancava il presupposto condizionante per il riconoscimento della chiesta pensione, dal momento che la S. non era destinataria dell’assegno di cui all’anzidetto articolo 5. La S. ricorre per cassazione con unico articolato motivo. Resiste L’INPS cori controricorso. 2. La ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando al riguardo che il giudice di appello, pur avendo ritenuto nel caso di specie che l’attribuzione ad essa dell’assegno divorzile avesse avuto natura giudiziale e non negoziale - per cui era utile a tutti gli effetti di cui all’articolo 9, comma 2, della legge, numero 898 del 1970 e successive modifiche - aveva fornito poi una interpretazione della normativa esaminata cui aveva fatto erroneamente conseguire l’esclusione del diritto alla pensione di reversibilità. A sostegno del suo assunto richiamava la circostanza che l’assegno divorzile non muta lei sua funzione sia nel caso in cui venga erogato periodicamente sia che sia invece capitallizzato e versato in forma rateale. 3. II ricorso è privo di pregno e va disatteso, anche se la motivazione della sentenza impugnata necessita di alcune puntualizzazioni, che vanno operate nell’esercizio dei poteri correttivi riconosciuti al giudice di legittimità ai sensi dell’articolo 384, ultimo comma, CPC. Questa Corte di cassazione ha statuito infatti che nel quadro normativo previsto dal citato articolo 5 sussiste soltanto un’alternativa tra obbligo della somministrazione periodica di un assegno a favore di un coniuge posto dalla sentenza di divorzio a carico dell’altro e corresponsione di detto as segno in unica soluzione su accordo tra le parti e che solo con riguardo alla prima fattispecie i relativi provvedimenti, ai sensi del successivo articolo 9, primo comma, devono ritenersi pronunciati “allo stato degli atti”, attesane la funzione di bilanciamento e riequilibrio degli interessi contrapposti degli ex coniugi, con conseguente possibilità di una loro revisione in aumento o in diminuzione, fino addirittura alla ra dicale elisione dell’assegno , in qualsiasi tempo, per effetto del mutamento delle condizioni economiche delle parti e senza che il coniuge resistente possa efficacemente oppor re, alla controparte, l’eventuale exceptio iudicati. Laddove la corresponsione in unica soluzione dell’assegno divorzile, giusta il disposto dell’articolo 5, secondo comma, esclude la sopravvivenza, in capo al coniuge beneficiario, di qualsiasi ulteriore diritto, di contenuto patrimoniale e non, nei confronti dell’altro coniuge, attesa la cessazione per effetto del divorzio di qualsiasi rapporto tra gli ex coniugi con la conseguenza che nessuna ulteriore prestazione, oltre quella già ricevuta, può essere legittimamente invocata, neppu re per il peggioramento delle condizioni economiche del coniuge assegnatario, o comunque in ragione della sopravvenienza di quei giustificavi motivi cui l’articolo 9 subordina l’ammissibilità dell’istanza di revisione. Ha osservato al riguardo questa Corte che, se si procede ad una liquidazione in un’unica soluzione di quanto compete al coniuge più de bole, dopo tale liquidazione non sopravvive un rapporto da cui possano scaturire nuovi ulteriori obblighi in quanto l’aspettativa ad un assegno è stata esaurita attraverso l’una tantum, ed è venuto meno in tal caso a seguito del divorzio ogni rapporto di natura personale fra i coniugi potenziale fonte di altre pretese anche economiche. E la conclusione suddetta è ulteriormente confortata dalla considerazione che la possibile modifica “in aumento” dell’assegno periodico trova, alla luce della legge 898, giustificazione nella circostanza che tale revisione può assumere due direzioni può comportare cioè sia un aumento sia una diminuzione delle corresponsioni. Se si consentisse, invece, di porre in discussione - attraverso i meccanismi previsti dall’articolo 9 - il rapporto definito con l’una tantum, si perverrebbe all’assurdo di prevedere solo uno strumento attraverso cui la cifra concordata in sede di divorzio può essere aumentata e non invece diminuita. Ciò mette in rilievo come la revisione è del tutto incompatibile con la liquidazione in unica soluzione, che del resto cesserebbe di essere “unica”, ove potesse venire affiancata in epoca successiva da un assegno periodico cfr. in tali sensi in motivazione Cass. 5 gennaio 2001 numero 126, cui adde per analoghe statuizioni Cass. 29 agosto 1998 numero 8654 Cass. 27 luglio 1998 numero 7365 Ciò premesso, il dispositivo della sentenza impugnata ap pare rispettoso del dato normativo, per cui il ricorso per cassazione va rigettato, anche se come detto a conforto della decisione presa dal giudice di appello varino fatte alcune specifiche considerazioni. Ed invero al di là della lettera del combinato disposto dell’articolo 5 e dell’articolo 9 della legge numero 898 del 1970 e successive modificazioni, la ratio delle disposizioni scrutinate se esaminate anche alla luce del giudice delle leggi in materia, cui il giudice di appello ha fatto riferimento Corte Cost. numero 777 del 1988 numero 87 del 1995 e numero 419 del 1999 e della normativa dettata in tema dalla legge 28 dicembre 2005 numero 263 - mostra che ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità deve farsi una distinzione tra l’assegno che è condizione necessaria affinché alla morte del coniuge divorziato possa riconoscersi la suddetta pensione all’altro coniuge vivente, da una parte, e la mera corresponsione di una somma anche se rateizzata o trasferimento di altro bene o diritto come ad esempio la proprietà di un immobile dall’altra - in ragione del quale non può essere più riconosciuta per il futuro alcuna successiva domanda di contenuto economico. Eventualità quest’ultima che trova la sua giustificazione nella considerazione di una capacità della suddetta corresponsione o del menzionato trasferimento , reputata - a seguito di un controllo e di una valutazione globale di tutte le circostanze di cui al comma 6 dell’articolo 5 della legge numero 898 cit. da parte di un organo giudiziario - tale da determinare un miglioramento della sua situazione economica incompatibile con il riconoscimento della pensio ne di reversibilità. In altri termini il discrimine tra le due diverse situazioni, che hanno opposte ricadute su versante del riconoscimento della pensione di reversibilità per il coniuge, può quindi basarsi sulla corresponsione di un assegno, che va di volta in volta cadenzato e parametro nel tempo con forme di adeguamento automatico e che può esso solo legittimare successive domande di contenuto economico, sì da potersi affermare - seppure con una certa approssimazione sul versante giuridico - che la corresponsione di ogni assegno, ca pace di legittimare la pretesa della pensione in oggetto, trova il suo fondamento e la sua giustificazione nella situazione economica in cui versa il beneficiario dell’assegno stesso. Per concludere, alla luce di quanto sinora detto non può – in considerazione della sua natura e della funzione - includersi nella nozione dell’assegno ora enunciato - ad di là del nomen iuris che le parti hanno inteso ad esso dare nelle loro pattuizioni - ogni corresponsione di somme o di altre utilità nascenti da una unica fonte negoziale, la cui funzione sia quella di sistemare definitivamente i rapporti economici relativi tra i coniugi divorziati, sicché corollario dell’iter argomentativo sinora seguito è che nel caso di specie il ver samento della somma di £ 200.000.000 come importo “omnicomprensivo” delle pretese economiche della S., seppure corrisposto nella misura di £. 40.000.000 ogni sei mesi, può essere considerato equivalente a quei negozi di natura transattiva o aleatoria, la cui efficacia i giudici di legittimità hanno già ritenuto essere subordinata all’approvazione del Tribunale e come tali non assoggettabili alla regolamentazione prevista per l’assegno periodico di divorzio di cui all’articolo 5 della legge numero 898 del 1970 in argomento cfr. Cass. 5 settembre 2003 numero 12939 . 4. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e la sentenza impugnata va confermata. Nessuna statuizione va emessa sulle spese del giudizio di cassazione, ricorrendo le condizioni in particolare il limite reddituale autocertificato nell’originario ricorso, senza ne cessità di reiterazione della relativa dichiarazione per i gradi successivi al primo cfr. Cass. numero 10875 del 12 maggio 2009 , previste dall’articolo 152 disp. Att. CPC nel testo novellato con il D.L. numero 269 del 2003 ed applicabile ratione temporis ai giudizi iniziati successivamente al 2 ottobre 2003, essendo stato depositato il ricorso introduttivo il 20 ottobre 2006. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.