In tema di sepolcro funerario, e quindi di ius inferendi in sepulchrum , la configurazione giuridica del sepolcro come gentilizio rende il medesimo non soggetto alle norme dettate in tema di successione civilistica.
È, così, legittima la sentenza con cui, accertata anche implicitamente l’effettiva volontà del fondatore defunto, venga respinta l’ actio negatoria servitutis esperita dal discendente diretto. Il principio si argomenta dalla sentenza numero 16430/2012, depositata il 27 settembre 2012. Il caso. Un soggetto chiedeva al Comune di poter realizzare, nel territorio del cimitero comunale, una cappella funeraria e, così, stipulava, col medesimo ente, un apposito contratto di cessione di suolo, provvedendo, completata la cappella, a consegnare le relative chiavi a tutti i propri fratelli e sorelle. Nella medesima cappella, poi, venivano inumate una delle sorelle ed il di lui cognato. Dopo vari anni, veniva redatto, dinanzi ad un notaio, un atto di divisione dei diritti relativi alla cappella funeraria. Successivamente, la figlia del fondatore della cappella, ora defunto, asseriva di essere proprietaria esclusiva della cappella e del diritto alla sepoltura dei soli discendenti del genitore fondatore. Il caso, già esaminato dalla Corte di Appello di Napoli, verte in tema di proprietà, diritti reali, successione mortis causa , famiglia, diritto alla sepoltura. Nella fattispecie, bisogna stabilire, sotto il profilo sostanziale, a quali soggetti spetti la titolarità del diritto primario alla sepoltura e, cioè, se spetti soltanto ai discendenti intranei del de cuius o anche ai collaterali ciò al fine di valutare se sia configurabile un abuso da parte di alcuni dei soggetti coinvolti nella vicenda ed, in caso positivo, se sia quindi legittima una condanna al rilascio della medesima cappella nonché alla rimozione dei tumulati. Necessita, pertanto, focalizzare sul concetto di famiglia e di sepolcro ed, in primis , accertare la volontà del soggetto fondatore, all’epoca della realizzazione della cappella funeraria. Pertanto, vanno richiamati gli articolo 949 e 2697 c.c. e 116 c.p.c L’ actio negatoria servitutis. In materia, l’azione esperita è finalizzata a far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa e ad affermare la piena libertà della cosa da ogni vincolo estraneo al potere illimitato del proprietario essa è, cioè, concessa al dominus contro chiunque reclami illecitamente la titolarità di un ius praedii o di un usufructus su una res . Sotto il profilo probatorio, il dominus ha l’onere di provare il dominium et iure quiritium mentre il convenuto deve dimostrare il proprio diritto reale. Il diritto alla sepoltura tra famiglia, successione e natura giuridica del sepolcro. In linea generale, va detto che, nell’ipotesi in cui sia configurabile il sepolcro ereditario, il diritto alla sepoltura è disciplinato dalle norme in tema di successione mortis causa mentre il sepolcro familiare o gentilizio , ravvisabile nel caso di specie, è destinato dal fondatore a sé ed alla propria famiglia, e non a sé ed ai propri eredi ex multis, Cass. numero 1789/2007, numero 12957/2000 . Poi, è da notare che, in assenza di volontà del de cuius , bisognerebbe limitarsi, per prassi, ad un concetto ristretto di famiglia. Tuttavia, va precisato che la volontà del de cuius possa essere esplicita o implicita ed, in tale secondo caso, deducibile da elementi oggettivi e, così, essere presunta, come nella vicenda, ad es. dal tenore dell’istanza del fondatore, dal contratto stipulato, illo tempore , col Comune nonché dall’atteggiamento del de cuius riguardo ai propri collaterali. Così, in mancanza di una diversa volontà del defunto, il sepolcro si presume destinato a sé ed alla propria famiglia. In tal senso, quindi, il diritto alla sepoltura spetta, iure sanguinis , a tutti i di lui discendenti e rispettivi coniugi tra tutti coloro, ivi compresi i collaterali, che sono legati al de cuius da vincoli di sangue, viene, infatti, a crearsi una comunione indivisibile in virtù della quale nessuno di essi può disporre del diritto altrui e/o può vietare, consentire o condizionare l’esercizio dello ius inferendi in sepulchrum degli altri contitolari Cass. numero 519/986 . Nella fattispecie, peraltro a nulla vale affermare, onde negare la volontà implicita del de cuius , che le due sepolture di una sorella e del cognato del medesimo fondatore siano state concesse, a quel tempo, per mero spirito di liberalità. Il diritto alla sepoltura, in ambito di sepolcro familiare, spetta a tutti i discendenti e collaterali del de cuius. In ambito di diritto alla sepoltura, le norme in tema di eredità sono applicabili esclusivamente qualora il sepolcro sia configurabile, in base ad un’apposita indagine giudiziale sulla volontà del de cuis , come ereditario, e non familiare. Sotto il profilo formale, inoltre, l’identificazione dei soggetti titolari del diritto alla sepoltura si attesa quale giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimità se dotato di motivazione sufficiente ed immune da vizi logico-giuridici Cass. numero 532/1979 e numero 727/1977 . Ergo , il ricorso va rigettato.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 15 maggio - 27 settembre 2012, numero 16430 Presidente Triola – Relatore Falschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 2 e 3 gennaio 1997 C.V. evocava, dinnanzi al Tribunale di Napoli, C.T. , F. , G. e M. , nonché CA.Fr. , Ro. e Vi. e premesso di essere proprietaria esclusiva, in virtù di atto di divisione per notaio Di Majo del 31.1.1983, dei diritti relativi alla cappella funeraria esistente nel cimitero di omissis , realizzata dal suo defunto genitore, C.L. , esponeva che i convenuti avevano abusivamente occupato la predetta cappella, tumulandovi i resti di A C. e di A.R. coniuge della prima , entrambi genitori dei CA. , trattenendone le chiavi, per cui chiedeva che venissero condannati al rilascio della cappella, previa rimozione dei predetti. Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei soli C. , rimasti contumaci i CA. , il Tribunale adito, espletata istruttoria, rigettava la domanda attorea. In virtù di appello interposto da V C. , con il quale lamentava l'erroneità della vantazione del concetto di sepolcro familiare operata dal giudice di prime cure, nonché la mancata pronuncia della cessazione della materia del contendere in riferimento ai convenuti T C. , CA.Ro. , Vi. e Fr. , la Corte di appello di Napoli, nella resistenza di Ro CA. , C.M. e F. , rimasti contumaci gli altri appellati, respingeva l'appello. A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale esponeva che già il tenore del contratto di cessione di suolo cimiteriale tra il Comune di omissis ed il fondatore della cappella, C.L. , evidenziava che questi aveva voluto espressamente destinare la zona concessagli alla costruzione di una piccola cappella per la sepoltura dell'intero gruppo familiare di converso, le prove testimoniali invocate dalla appellante conducevano a discordanti affermazioni, a fronte della natura dell'azione intrapresa, che necessitava di rigore probatorio. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione V C. , articolato su quattro motivi, al quale hanno resistito C.R. e F. , A V. e C A. , quest'ultima in proprio e quale genitrice e legale rappresentante di C.G. , con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente lamenta il difetto e la contraddittorietà della motivazione in riferimento al concetto di famiglia e dei titolari del diritto primario nel sepolcro c.d. familiare, in quanto la corte di merito dopo avere affermato ricorrere nella specie ipotesi di sepolcro familiare non è stata conseguenziale nelle conclusioni, per avere riconosciuto il diritto di sepoltura esteso anche ai collaterali e non ai soli discendenti, evidenziandosi l'estrema rigorosità del concetto di sepolcro qualificato dallo stesso fondatore come ereditario. In altri termini, ad avviso della ricorrente nella individuazione del novero dei titolari del diritto di sepolcro, i giudici di merito si sarebbero dovuti attenere al concetto di famiglia in senso ristretto, riguardando i soli discendenti. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme consuetudinarie sul diritto di sepolcro, insistendo nella medesima censura per cui in assenza di una esplicita o implicita volontà del fondatore volta ad individuare chi abbia diritto ad essere inumato nel sepolcro familiare, ci si debba limitare alle prassi circa il concetto di famiglia ai fini del diritto primario di sepolcro, nel senso di ricomprenderne il fondatore ed i suoi discendenti legittimi. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli articolo 949 e 2697 c.c. in quanto le sorelle ed i fratelli del padre, a fronte di una azione da qualificarsi come actio negatoria servitutis, avrebbero dovuto provare la sussistenza a loro favore di un diritto reale su cosa altrui, dimostrando che in tal senso deponeva la consuetudine ovvero la volontà del fondatore, C.L. . Con il quarto motivo viene dedotta la violazione dell'articolo 116 c.p.c. per aver i giudici di merito limitato la valutazione delle prove per individuare il carattere del sepolcro, familiare o ereditario, senza però accertare l'estensione della volontà del fondatore, se ricomprendesse i propri collaterali. Né nel senso ampio voluto dai resistenti poteva deporre la inumazione nella cappella di famiglia di F C. e di A.C. , perché, l'uno, quale fratello celibe del fondatore, morto prematuramente a causa della sua cagionevole salute, e, l'altra, nipote del fondatore, morta in tenera età, trattandosi di sepolture che per la loro eccezionalità erano state autorizzate per mero spirito di liberalità. Le censure di cui ai motivi uno, due e quattro - che vanno esaminate congiuntamente per la loro stressa connessione e complementarietà, vertendo sulla medesima questione della individuazione dei destinatari dello ius sepulchri - sono tutte destituite di fondamento. La Corte partenopea, invero, dato atto della distinzione, risalente al diritto romano, tra sepolcro ereditario e sepolcro familiare o gentilizio - distinzione tuttora accolta senza sostanziali contrasti dalla dottrina e dalla giurisprudenza v., per quest'ultima, più di recente Cass. 29 gennaio 2007 numero 1789 Cass. 29 settembre 2000 numero 12957 ma già in tal senso Cass. 27 giugno 1974 numero 1920 Cass. 5 luglio 1979 numero 3851 Cass. 16 febbraio 1988 numero 1672 Cass. 29 maggio 1990 numero 5015 Cass. 19 maggio 1995 numero 5547 Cass. 30 maggio 1997 numero 4830 Cass. 8 settembre 1998 numero 8851 Cass. 22 maggio 1999 numero 5020 - ha ritenuto che nel caso di specie si fosse in presenza non di un sepolcro del primo tipo, in cui il diritto alla sepoltura dovesse ritenersi disciplinato dalle regole della successione mortis causa, bensì di un sepolcro familiare, cioè destinato dal suo fondatore, L C. , a sé e alla propria famiglia e non a sé e ai propri eredi. Ciò precisato, nella specie la questione che occupa non è il carattere della sepoltura come familiare, ma l'individuazione dèi soggetti destinatari di tale diritto . Per orientamento costante di questa corte, in difetto di una diversa volontà del fondatore, il sepolcro deve presumersi destinato sibi familiaeque suae, con la conseguenza che il diritto alla sepoltura va ritenuto spettante, iure sanguinis, a tutti i di lui discendenti ed ai rispettivi coniugi. Orbene pur non avendo il giudice distrettuale specificato se lo ius sepulchri integrasse anche i collaterali, le critiche formulate dalla ricorrente non contestano seriamente le argomentazioni poste a fondamento del convincimento che la volontà del fondatore della cappella fosse nel senso di estendere anche ad essi il diritto ad essere sepolti in quel determinato luogo. Infatti la identificazione dei soggetti titolari del diritto primario di sepolcro, inteso nella sua accezione di diritto ad essere sepolti in quel determinato luogo, che va comunque fatta in base alla volontà, espressa o presunta, del fondatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari, costituisce un giudizio di fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici giuridici in tal senso, v. Cass. 24 gennaio 1979 numero 532 Cass. 18 febbraio 1977 numero 727 . Sotto questo profilo la sentenza non presta il fianco a rilievi di sorta, avendo correttamente osservato che la volontà del fondatore nel senso di ricomprendere i collaterali emergeva dall'avere C.L. consegnato le chiavi della cappella ai fratelli, l'inumazione nella stessa della sorella e del cognato, oltre che dal tenore della istanza per ottenere la concessione. Il terzo motivo, con il quale la ricorrente lamenta erronea applicazione dell'onere probatorio in relazione all'azione esperita, risulta superato dalle considerazioni sopra svolte in ordine ai criteri seguiti dai giudici di merito nell'individuazione del novero dei titolari del diritto di sepolcro. Basti dire che al riguardo il giudice d'appello si è puntualmente uniformato all'insegnamento di questa Suprema Corte, dal quale non v'è ragione qui di discostarsi, secondo cui nella cerchia dei familiari del fondatore, aventi diritto alla sepoltura nella tomba di famiglia, devono farsi rientrare, stante il significato semantico della parola famiglia , purché non risulti una espressa contraria volontà del fondatore stesso, tutti coloro che - come anche i collaterali - sono a lui legati da vincoli di sangue, determinandosi, tra i vari titolari, una comunione indivisibile con la conseguenza che resta escluso ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed anche dello stesso fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di vietare, consentire o condizionare l'esercizio dello ius inferendi in sepulchrum spettante agli altri contitolari così Cass. 27 gennaio 1986 numero 519 . Alla stregua delle osservazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, vengono regolate secondo il principio della soccombenza. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.