Principio devolutivo: senza appello niente revisione in pejus

In assenza d’impugnazione della parte civile diretta a contestare la quantificazione del risarcimento con riguardo ai reati in relazione ai quali si giunge ad una affermazione di responsabilità penale, il giudice di appello non può rivedere la quantificazione del danno in senso sfavorevole all’imputato, essendo tale attività contraria al principio devolutivo ed al principio di acquiescenza che informano il processo civile, ma che devono ritenersi estesi alla valutazione della pretesa civile nell’ambito del processo penale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 42822, depositata il 26 ottobre 2015. Il caso. La sentenza in commento affronta la problematica relativa alla reformatio in pejus della pena in appello. Più specificamente, viene accolto il ricorso proposto personalmente dall’imputata con la quale ha dedotto la violazione dell’articolo 597 c.p.p Come è noto, tale disposizione, al comma 3 prevede che «quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado». Ebbene, nel caso di specie, rilevava la ricorrente, il giudice di merito aveva aumentato la somma da liquidare a titolo di risarcimento del danno da 6.500 a 15.000 euro, e ciò nonostante la parte civile avesse impugnato, non già la sentenza in relazione all’erronea quantificazione del danno per i reati per i quali era stata condannata, ma solo con riguardo al reato per cui la stessa era stata assolta. Principio devolutivo. Secondo la Corte, in materia, bisogna rammentare che la devoluzione, determinata dalla proposizione dell’impugnazione, comporta per il giudice cui spetta la valutazione della materia già giudicata, di decidere «nei limiti della richiesta che gli rivolge la parte proponente». È, dunque, il potere d’impulso della parte, con la sua richiesta e la specificazione dei punti della decisione gravati, a segnare i limiti delle attribuzioni del giudice, chiamato a decidere nei termini indicati dall’impugnazione. In tal senso, la domanda della parte e l’interesse che la sorregge si pongono quale mezzo di delimitazione oggettiva dell’ambito cognitivo del giudice. D’altra parte, se la domanda è volta a fare conseguire un risultato favorevole al proponente, è conseguenza necessaria che non possano, per il principio devolutivo, adottarsi soluzioni eccedenti i limiti di quanto richiesto dalla parte stessa e determinarsi aggravamenti rispetto a quanto deciso in primo grado, in assenza di domanda della parte antagonista. Devoluzione ed acquiescenza. Oltre quanto già detto, poi, la Corte rammenta come, in attuazione dell’effetto devolutivo e del principio di acquiescenza, la parte appellata non possa beneficiare del rigetto del gravame principale per fruire di risultati che avrebbe dovuto conseguire attraverso la propria impugnazione incidentale. Ciò perché la mancata adozione di tale iniziativa processuale e l’acquiescenza prestata alla sentenza di primo grado non le consentono di ottenere dei vantaggi. Quindi, in presenza di un unico gravame, proposto dall’imputato, soccombente in primo grado, il divieto di reformatio in pejus comporta che la modifica della sentenza impugnata debba essere legata e conseguente all’unica impugnazione proposta, precludendo la produzione di effetti in danno all’appellante ed in favore della parte opposta non impugnante. Modifica peggiorativa in appello si o no? Nel caso di specie, la parte civile si era limitata a impugnare la sentenza di primo grado solamente con riguardo al reato per il quale l’imputato era stato assolto. Ebbene, è proprio questo il nodo del problema l’assenza d’impugnazione diretta a contestare la quantificazione del risarcimento in relazione ai reati per i quali si è giunti ad affermare una responsabilità penale. Manca, in definitiva, quella “domanda” che giustifica l’intervento del giudice che, solo allora può revisionare e, dunque, riquantificare il risarcimento del danno anche in senso sfavorevole all’imputato.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 settembre – 26 ottobre 2015, numero 42822 Presidente Fiandanese – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava l'imputata P. per i reati di cui agli articolo 595 cod. penumero e 605 cod. penumero L'imputata veniva invece assolta per l'appropriazione indebita di somme appartenenti al convivente disabile, B.M. , parte civile. I fatti contestati si consumavano nell'ambito di una relazione di convivenza caratterizzata dal fatto che l'imputata prestava assistenza al B. , parte civile, divenuto disabile in seguito ad un incidente. In particolare si contestava il sequestro di persona in quanto la P. avrebbe chiuso in casa il B. senza lasciargli la disponibilità delle chiavi ed impedendogli di uscire con l'aiuto di un suo amico. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputata che deduceva violazione di legge e vizio di motivazione 2.1. si deduceva che mancava la prova del dolo del reato di cui all'articolo 605 cod. penumero in quanto il B. non avrebbe mai avuto la disponibilità di proprie chiavi pertanto la contestata limitazione della libertà personale non avevano connotazioni dolose. Né, con riguardo al profilo dell'elemento soggettivo, era emerso che l'imputata sapesse che il giorno della privazione della libertà personale l'offeso aveva chiesto all'amico tale A. di accompagnarlo presso la Posta per verificare lo stato del conto corrente si evidenziava inoltre come, successivamente all'episodio contestato, l'offeso si era recato in posta accompagnato dall'amico senza incontrare alcun ostacolo. Infine si deduceva che non poteva indurre l'elemento soggettivo dal fatto che l'imputata aveva affermato che il B. dovesse rivolgersi a lei per uscire di casa pag. 6 della sentenza primo grado 2.2. Ulteriore profilo di illegittimità veniva dedotto in relazione al fatto che la sottrazione della libertà personale si realizzerebbe solo quando la stessa si protrae per un tempo apprezzabile. 3. Avverso la sentenza proponeva ricorso personalmente l'imputata che deduceva violazione dell'articolo 597 cod. proc. penumero e correlato vizio di motivazione. Il divieto di reformatio in peius sarebbe stato violato laddove la sentenza impugnata aveva aumentato la somma da liquidare a titolo di risarcimento del danno da Euro 6500 ad Euro 15.000 . Si rimarcava che la parte civile non aveva impugnato la sentenza lamentando l'erronea quantificazione del danno in relazione ai reati in relazione ai quali la condanna veniva confermata estorsione ed ingiuria , ma per il reato di appropriazione indebita, in relazione al quale la Corte di appello aveva invece deciso per l'assoluzione. In assenza dell'impulso processuale della parte interessata l'aumento della somma liquidata a titolo di risarcimento non trovava alcuna giustificazione, essendosi verificata sia la violazione del principio devolutivo, sia la violazione del principio del divieto di reformatio in peius , che doveva ritenersi esteso alle statuizioni civili. 4. Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione anche la parte civile che deduceva 4.1. mancanza di motivazione con riguardo alla conferma a fini civilistici della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva assolto l'imputata dal reato di estorsione pur in presenza di specifici motivi di appello 4.2 contraddittorietà ed illogicità della motivazione nella parte in cui si assolveva l'imputata dal reato di appropriazione indebita si contestava la parte della sentenza che riteneva la buona fede dell'imputata nella gestione delle somme di cui si contestava la appropriazione 4.3. mancanza di motivazione in ordine ai prelievi effettuati dall'imputata in data 25 giugno e 6 settembre 2010 4.4. mancanza di motivazione e travisamento delle dichiarazioni dell'imputata nella parte in cui si afferma che la stessa aveva contribuito ad alimentare il conto corrente cointestato 4.5. violazione di legge nella parte in cui non si considera che l'articolo 1298 cod. civ. non consente al cointestatario di conto corrente di disporre oltre le somme di sua pertinenza. 5. La parte civile presentava inoltre memoria con la quale denunciava l'inammissibilità e comunque l'infondatezza del ricorso proposto nell'interesse dell'imputata. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputata dal difensore è infondato. 1.1. Il motivo di ricorso relativo alla violazione dell'articolo 605 cod. penumero è infondato. Le doglianze proposte sono al limite dell'inammissibilità in quando pur deducendo la mancanza dell'elemento soggettivo del reato contestato, di fatto propone alla Corte di legittimità una lettura alternativa delle emergenze processuali chiedendo una rivalutazione del compendio probatorio centrata sulla valorizzazione dello stato di disabilità della parte civile che, nella prospettiva del ricorrente, non era compatibile con la contestazione di sequestro di persona. La Corte territoriale offriva sul punto una esauriente motivazione evidenziando come le prove raccolte fossero univocamente indicative della consapevolezza della imputata di privare l'offeso della possibilità di uscire di casa sebbene accompagnato da altri rilevava la Corte che la privazione delle chiavi non era da giustificabile con lo stato di disabilità che, anzi, avrebbe dovuto indurre ad aggravare i presidi di sicurezza in coerenza con lo stato di bisogno della persona che veniva lasciata da sola in casa. Si tratta di una valutazione di merito coerente con le emergenze processuali, che dimostra l'esistenza del dolo richiesto dalla fattispecie astratta e con non può essere sottoposto a revisione in sede di legittimità. 2.2. Il motivo di ricorso che denuncia la esiguità del tempo della privazione della libertà personale è manifestamente infondato in quanto non tiene conto delle indicazioni che provengono dalla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui per la sussistenza dell'elemento materiale del delitto di sequestro di persona previsto dall'articolo 605 cod. penumero è sufficiente che vi sia stata in concreto una limitazione della libertà fisica della persona, tale da privarlo della capacità di spostarsi da un luogo all'altro, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato ad un tempo anche breve, seppure apprezzabile Cass. sez. 5, numero 43713 del 22/11/2002, Rv. 223503 cass. sez. 1, numero 18186 del 08/04/2009, Rv. 244050 Cass. sez. 3, numero 15443 del 26/11/2014 dep. 2015, Rv. 263340 . 2. Il ricorso proposto personalmente dall'imputata è fondato. 2.1. Sulla possibilità di aumentare la somma indicata dal primo giudizio a titolo di risarcimento in assenza di impugnazione della parte civile sul punto si registrano due orientamenti giurisprudenziali. Secondo il primo filone ermeneutico la decisione con cui il giudice di rinvio liquida in favore della parte civile non impugnante una somma di denaro maggiore rispetto a quella indicata nella sentenza annullata limitatamente ai criteri seguiti per la quantificazione del danno su ricorso del solo imputato, è in contrasto con il divieto di reformatio in peius , con il principio devolutivo previsto dall'articolo 597, comma primo, cod. proc. penumero , e con le regole processuali che disciplinano l'azione civile nel processo penale Cass. sez 1, numero 50709 del 30.10.2014, Rv. 261757 sez. 1 numero 2658 del 17/11/2010, Covelli, rv. 249547 . Secondo altro orientamento invece cui il divieto di cui all'articolo 597 cod. proc. penumero concerne esclusivamente le disposizioni a natura penale, ma non si estende alle statuizioni civili della sentenza Rv. 244558 Rv. 249961 numero 10212 del 1992 Rv. 192294 numero 7967 del 1998 Rv. 211540 numero 30822 del 2003 Rv. 225807 . Quest'ultima opzione interpretativa esalta la specialità della normativa penale che si ritiene non estensibile all'accertamento di natura civilistica che s'insedia nel procedimento penale in seguito alla costituzione di parte civile. Il principio del divieto di reformatio in pejus , nel caso di appello della sentenza da parte del solo imputato, trovando la propria fonte normativa nell'articolo 597 cod.proc.penumero , comma 3, sarebbe riferibile esclusivamente alla pena, a eventuali misure di sicurezza o alla causa di proscioglimento ossia alle statuizioni che concernono l'esito della azione penale . Di contro il limite devolutivo della domanda, di cui all'articolo 112 cod.proc.civ. non sarebbe regola automaticamente applicabile nel processo penale il che troverebbe conferma negli approdi giurisprudenziali che hanno ammesso il dovere del giudice di pronunciarsi sugli effetti civili quando riformi la sentenza assolutoria di primo grado su appello del PM e non anche della stessa parte civile Cass. sez. 5, numero 8339 del 18/10/2012 dep. 2013 Rv. 255014 . Diversamente, con orientamento che si condivide, si è ritenuto che “la decisione con cui il giudice d'appello proceda alla liquidazione del danno in favore della parte civile non impugnante in aumento rispetto alla statuizione del giudice di primo grado, pur in assenza di un'impugnazione proposta dalla stessa parte, ma dal solo imputato, non sia consentita e si ponga in contrasto insanabile, non tanto col divieto di riforma peggiorativa della pronuncia impugnata, quanto col principio devolutivo di cui all'articolo 597 cod. proc. penumero , comma 1 e con le regole processuali che disciplinano l'azione civile. Sotto il primo profilo, è noto che la devoluzione, determinata dalla proposizione dell'impugnazione, comporta il trasferimento della cognizione del procedimento ad un giudice diverso, avente competenza superiore a quella del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, cui spetta valutare criticamente la materia già decisa nel grado precedente nei limiti della richiesta che gli rivolge la parte proponente con un atto che da impulso a quello specifico rimedio processuale. La possibilità concreta dell'esistenza di un grado del procedimento successivo al primo e lo spazio d'intervento del giudice dell'impugnazione sono condizionati dal potere di disposizione sul giudizio d'impugnazione riconosciuto alla parte, nel senso che entrambi non costituiscono esito necessitato ed automatico di ciascun processo, né sono ufficiosi, ma vengono sempre suscitati da un'istanza della parte processuale, la quale può decidere di attivare lo strumento impugnatorio che l'ordinamento le riconosce o di rinunciarvi, così come può rinunciare al gravame già proposto e che, sotto il profilo contenutistico, con la sua richiesta e la specificazione dei punti della decisione attinti e dei relativi motivi di critica, segna anche i limiti delle attribuzioni del giudice, chiamato a decidere su quella istanza di nuova pronuncia nei termini indicati dall'impugnante. La domanda della parte e l'interesse che la sorregge estrinsecano la facoltà di impugnazione e si pongono dunque, salvo eccezioni, non soltanto come premessa processuale del nuovo grado di giudizio, ma anche quale mezzo di delimitazione oggettiva dell'ambito cognitivo del giudice ad quem nel contesto dei caratteri peculiari di ciascun del tipo di impugnazione. Da tali principi discende un'ulteriore conseguenza se la domanda impugnatoria è volta a far conseguire un risultato favorevole al suo proponente, lo stesso principio che pretende l'attivazione della parte per dar luogo al giudizio d'impugnazione da anche conto del divieto di adottare soluzioni eccedenti i limiti di quanto richiesto dalla parte stessa e di determinare effetti di aggravamento della precedente decisione in assenza di domanda delle altre parti antagoniste” Cass. sez 1, numero 50709 del 30.10.2014, Rv. 261757 . Tale orientamento ritiene estensibili alla gestione della domanda risarcitoria insediata nel processo penale i principi fondamentali del processo civile. “Invero, l'articolo 573 cod. proc. penumero , laddove stabilisce che l'impugnazione per i soli interessi civili sia trattata con le forme ordinarie del processo penale, sta soltanto a significare l'obbligo della trattazione del giudizio, seppur limitato alla sola domanda civile, con le modalità proprie del procedimento penale di impugnazione, dipendenti dalla tipologia del provvedimento impugnato e dalle forme di celebrazione del procedimento di primo grado. L'esercizio del diritto di azione da parte del danneggiato dal reato, anche se avvenuto nel contesto del procedimento penale, resta dunque soggetto al rispetto dei principi generali della domanda quale atto dispositivo della parte interessata, di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del contraddittorio con le altre parti, principi che verrebbero gravemente violati qualora si ammettesse che il giudice nell'ambito della decisione sul gravame proposto dall'imputato convenuto, in sede di appello o di rinvio, possa attribuire alla parte civile attrice vittoriosa nel grado inferiore, ma non appellante, una prestazione in misura superiore a quella già riconosciutale, pur in assenza di domanda incidentale antagonista e contrapposta all'appello principale. Appartiene, infatti, al costante insegnamento della giurisprudenza delle sezioni civili della Cassazione l'affermazione per cui, alla stregua di quanto previsto dagli articolo 329 e 342 cod. proc. civ., che concorrono a definire il thema decidendum in appello in attuazione dell'effetto devolutivo dell'impugnazione di merito e del principio di acquiescenza, se l'impugnazione delimita le questioni devolute alla cognizione del giudice superiore, la parte appellata non può beneficiare della reiezione del gravame principale per conseguire risultati concreti che soltanto con la proposizione di appello incidentale avrebbe potuto ottenere e che, invece, per la mancata adozione di tale iniziativa processuale, le sono interdetti dall'acquiescenza prestata alla sentenza di primo grado Cass. civ. sez. 2, numero 25244 del 08/11/2013, rv. 628907, con ampi richiami ai precedenti Cass. 14063/2006 10965/2004 10996/2003 9646/2003 135/2003 8804/2001 . In altri termini, a fronte dell'unico mezzo d'impugnazione esperito dalla parte soccombente in primo grado, il divieto di reformatio in peius, non sancito nell'ordinamento processuale civile da una norma positiva, ma conseguenza dell'operatività complementare del principio devolutivo e dell'acquiescenza, determina che la modifica della sentenza impugnata può essere apportata per corrispondere soltanto all'unico gravame proposto, precludendo la produzione di effetti di segno opposto in danno dell'appellante ed a favore della parte avversaria non impugnante” Cass. sez 1, numero 50709 del 30.10.2014, Rv. 261757 . 2.2. Il collegio condivide tale ultimo orientamento ed afferma il seguente principio di diritto in assenza di impugnazione della parte civile diretta a contestare la quantificazione del risarcimento in relazione ai reati in relazione ai quali si giunge ad una affermazione di responsabilità penale, il giudice d'appello non può rivedere la quantificazione del danno in senso sfavorevole all'imputato, essendo tale attività contraria al principio devolutivo ed al principio di acquiescenza che informano il processo civile, ma che devono ritenersi estesi alla valutazione della pretesa civile nell'ambito del processo penale. 2.3. Nel caso di specie, come evidenziato dalla ricorrente, la parte civile non impugnava la quantificazione del risarcimento con riguardo ai reati in relazione ai quali la Corte di appello confermava la condanna capi 3 e 4 , ma solo in relazione a quello per cui si decideva l'assoluzione. Manca dunque la domanda della parte, l'unica che può legittimare la modifica della quantificazione del danno in senso sfavorevole all'imputato attivando la cognizione del giudice di secondo grado sul tema della quantificazione del danno relativamente ai reati indicati nei capi 3 e 4 . La sentenza impugnata deve dunque essere annullata sul punto con trasmissione degli atti al giudice civile competente per valore in grado di appello. Il chiaro dettato dell'articolo 622 cod. proc. penumero , “ispirato alla esigenza, come avvertivano incisivamente autorevoli commentatori all'articolo 525 cod. proc. penumero del 1913, archetipo della norma qui in esame, secondo cui “annullando il capo di sentenza oggetto per sua natura alla giurisdizione civile, in circostanza nella quale non ha luogo alcun proseguimento dell'azione penale, la Corte di cassazione non può [fare] a meno di restituire la cognizione in sede di rinvio [ ] all'organo giudiziario cui appartiene naturalmente” Cass. sez. U, numero 40109 del 18/07/2013. 256087 . 3. Il ricorso della parte civile è fondato nella parte in cui denuncia la lacuna della motivazione in relazione alle doglianze difensive avanzate in ordine alla assoluzione per il reato di estorsione. Nel resto deve essere rigettato. 3.1. Con riguardo all'appello proposto avverso l'assoluzione dal reato di estorsione si rinviene una carenza assoluta di motivazione. La lacuna motivazionale impone l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, valendo anche in questo caso le considerazioni effettuate in ordine al giudice competente in relazione all'accoglimento del motivo di ricorso relativo alla quantificazione del danno punto 2.3. . 3.1 L'impugnazione deve essere invece respinta, in quanto infondata, laddove denuncia l'illegittimità per vizio di motivazione della parte della sentenza che assolve l'imputato dal reato di appropriazione indebita. Il provvedimento impugnato, sul punto, si presenta congruamente motivato, privo di fratture logiche e coerente con le emergenze processuali. La Corte d'appello ha ritenuto che le prove raccolte non consentivano di superare ogni dubbio circa l'assenza di buona fede dell'imputata. L'esistenza di un accordo con l'offeso, la sottoscrizione di una polizza “a garanzia del nuovo nucleo familiare” e dell'impegno che la P. aveva deciso di assumere assistendo il B. , oltre al fatto che sul conto corrente cointestato risultavano confluire anche le somme relative all'affitto di un monolocale di proprietà dell'imputata, inducevano la Corte territoriale a ritenere che la prova dell'elemento soggettivo non era emersa con la certezza necessaria per la affermazione di responsabilità in relazione al rato di appropriazione indebita. 3.2. I motivi di ricorso che denunciano la carenza di motivazione in ordine alla mancata considerazione di due prelievi effettuati dall'imputata terzo motivo di ricorso ed alle dichiarazioni rese dalla stessa quarto motivo di ricorso sono inammissibili. Al riguardo si condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui il giudice non è tenuto a prendere in considerazione ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo né l'ipotizzabilità di una diversa valutazione delle medesime risultanze processuali costituisce vizio di motivazione, valutabile in sede di legittimità Cass. Sez. 5, sent. numero 7588 del 06/05/1999, dep. 11/06/1999, Rv. 213630 . 3.3. La violazione dell'ari . 1298 cod. civ. è stata dedotta per la prima volta in sede di legittimità e dunque la relativa doglianza è irricevibile. 2. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell'articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 1000,00. P.Q.M. in accoglimento del ricorso sia dell'imputata con riferimento all'entità del risarcimento del danno morale, sia della parte civile con riferimento alla assoluzione per il reato di estorsione, annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello. Rigetta nel resto i ricorsi.