La responsabilità civile del magistrato per violazione di legge inescusabile, nelle forme del dolo e della colpa grave

La “responsabilità civile del magistrato” ricorre solo quando la violazione di legge deriva da negligenza non scusabile, cioè quando vengono disattese le soluzioni normative chiare, certe ed indiscutibili, e non quelle frutto di interpretazione, a meno che essa non sia completamente discostata dai principi di diritto, nella forma del dolo e della colpa grave. La responsabilità può sorgere anche dal compimento di un singolo atto, conclusivo del procedimento o con valenza solo endo - procedimentale, ossia finalizzata al progredire del giudizio verso la sua naturale conclusione. Inoltre, quando l'azione risarcitoria è fondata su un provvedimento per il quale è previsto uno specifico rimedio, il termine biennale di decadenza decorre dal momento in cui siano stati esperiti i mezzi ordinari d'impugnazione od altri rimedi previsti mentre il medesimo termine decorre dall'esaurimento del grado del procedimento nel cui ambito si è verificato il fatto dannoso solo quando nei confronti del provvedimento in questione non siano previsti rimedi di sorta.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 4446/15 depositata il 5 marzo. Il caso. Nel 2009, la parte attrice conveniva lo Stato dinanzi al Tribunale, per vederlo condannare al risarcimento del danno, ai sensi dell'articolo 2, l. numero 117/88, in seguito all'adozione di vari provvedimenti giudiziari assunti dalla Procura della Repubblica, dal Tribunale e dalla Corte d'Appello, nonché dalla Corte di Cassazione, asseritamente rientranti in fattispecie di responsabilità civile dei magistrati, provvedimenti relativi ad un processo penale che vedeva la parte attrice imputata nel reato di cui all'articolo 342 c.p In primo grado, il giudice adito dichiava inammissibile la domanda, compensando le spese. In secondo grado, tramite reclamo, ai sensi dell'articolo 5, comma 4, l. numero 117/88, parte attrice si vedeva rigettare il gravame, per intervenuto decorso del termine di decadenza biennale, di cui all'articolo 4, comma 2, della stessa legge tale termine, infatti, decorre dal momento in cui siano stati esperiti gli ordinari mezzi di impugnazione, se l'azione risarcitoria si fonda su un provvedimento per il quale è previsto uno specifico rimedio mentre decorre dall'esaurimento del grado del procedimento nel cui ambito si è verificato il fatto dannoso, quando nei confronti del provvedimento non siano previsti rimedi di sorta. Inoltre, sul piano del merito, la Corte d'appello rilevava che la questione posta dal reclamante aveva ad oggetto esclusivamente la mancata applicazione di norme di diritto interno e la loro interpretazione l'azione di responsabilità civile del magistrato, d'altronde, non può costituire uno strumento finalizzato alla riapertura del dibattito sulla correttezza o meno dell'interpretazione adottata o richiedere eventuali conformità ai principi contenuti nella sent. C.G.U.E. del 24 novembre 2011, poiché quest'ultima decisione si riferisce soltanto alla necessaria responsabilità dello Stato per l'omessa applicazione, da parte dei magistrati, della normativa comunitaria. I motivi di ricorso. Avverso la sentenza di secondo grado, parte attrice propone ricorso in Cassazione, affidandosi a 6 motivi a la violazione dell'articolo 4, comma 2, l. numero 117/88, sulla base del fatto che la decorrenza biennale vale soltanto per i provvedimenti cautelari e sommari e non anche per i provvedimenti di impulso privi di autonomia processuale b la violazione degli articolo 112 e 132, numero 4 c.p.c., nonché art 111, comma 6, Cost., sulla base del fatto che non vi erano ragioni giuridiche che giustificassero la decorrenza biennale del termine c la violazione dell'articolo 2, comma 2 e 3, l. numero 117/88 e dei principi di cui alla sent. C.G.U.E. numero C-379/2011, sulla base del fatto che non occorre la dimostrazione del dolo o della colpa ma è sufficiente la prova della violazione manifesta del diritto vigente d la violazione degli articolo 112 e 132, numero 4 c.p.c., sulla base del fatto che i giudici aditi avrebbero omesso macroscopicamente delle rilevanti trascrizioni presenti negli scritti difensivi, configurano di fatto gli estremi di un'omessa pronuncia e la violazione della sentenza comunitaria richiamata e dei principi dell'Unione Europea, in ordine alla disciplina della responsabilità civile dei magistrati, sulla base del fatto che la normativa impone la disapplicazione della legge interna a favore della legge comunitaria f la violazione degli articolo 91 e ss. c.p.c., in ordine alla compensazione delle spese. Le conclusioni sulla decorrenza della prescrizione . Chiamata la Terza Sezione Civile, il giudicante rileva prima di tutto l'infondatezza dei primi due motivi di ricorso, in quanto, richiamando la lettera dell'articolo 4, comma 2, l. numero 117/88, quando l'azione risarcitoria sia fondata su un provvedimento per il quale è previsto uno specifico rimedio, il termine biennale di decadenza decorre dal momento in cui siano stati esperiti i mezzi ordinari d'impugnazione od altri rimedi previsti, mentre il medesimo termine decorre dall'esaurimento del grado del procedimento nel cui ambito si è verificato il fatto dannoso, solo quando nei confronti del provvedimento in questione non siano previsti rimedi di sorta. e sull’elemento soggettivo della responsabilità. Pertanto, la responsabilità può sorgere anche dal compimento di un singolo atto, che può essere conclusivo del procedimento oppure avere valenza solo endo - procedimentale, ossia finalizzata al progredire del giudizio verso la sua naturale conclusione. Anche il terzo, il quarto ed il quinto motivi sono infondati, in quanto il requisito soggettivo del dolo e della colpa è presente nella normativa interna e non è in contrasto con la sentenza comunitaria, che di fatto, non la sconfessa gli estremi dell'omessa pronuncia, poi, non trovano riscontro nella motivazione seppure per relationem che specifica il rigetto del reclamo quale conseguenza dell'interpretazione delle norme di diritto interno. È chiaro, insomma, che la responsabilità civile dei magistrati ricorre solo quando la violazione di legge deriva da negligenza non scusabile, cioè quando vengono disattese le soluzioni normative chiare, certe ed indiscutibili, e non quelle frutto di interpretazione, a meno che essa non sia completamente discostata dai principi di diritto, nella forma del dolo e della colpa grave. Per tali ragioni, il sesto motivo resta assorbito ed è anch'esso infondato. Il ricorso è rigettato nella sua interezza.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 1 dicembre 2014 – 5 marzo 2015, numero 4446 Presidente Petti – Relatore Cirillo