«Vi erano numerosissime telefonate verso l’899 che combaciavano con il turno del ricorrente», è una prova testimoniale generica. Un riscontro oggettivo sarebbero stati i tabulati telefonici, di certo nella disponibilità della società, ma non prodotti in sede processuale. Il giudice non ha l’obbligo di richiederli d’ufficio.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 5960, depositata l’11 marzo 2013. Licenziamento per chiamate all’899 illegittimo per mancata prova della contestazione. Un dipendente Telecom viene licenziato per l’illecito utilizzo del telefono aziendale per fare chiamate verso utenze telefoniche contrassegnate dal codice 899. Poiché tale elemento non viene dimostrato in maniera incontrovertibile, il Tribunale, accoglie il ricorso del lavoratore, ordinandone la reintegra nel posto di lavoro, vista l’illegittimità del licenziamento. La decisione viene confermata in secondo grado. Ma se il giudice riteneva necessari i tabulati, sarebbe bastato chiederli! La Telecom ricorre per cassazione, lamentandosi della circostanza che il fatto sarebbe pienamente dimostrato da prove testimoniali e da un verbale della polizia giudiziaria. Se il giudice, ai fini della decisione, avesse ritenuto necessaria un’integrazione probatoria, avrebbe dovuto ordinarla, chiedendo «alla società di produrre i tabulati orari in originale utilizzando i propri poteri d’ufficio». Onere della prova inadempiuto. La Corte di legittimità, ricordando di non avere poteri di rivalutazione circa questioni di fatto, rileva che non c’è stata alcuna violazione della disciplina sull’onere della prova in materia di licenziamento per giusta causa, ricadente, in base all’articolo 2697 c.c., tutto sul datore di lavoro. Tale onere non è stato assolto in questo caso, visto che il licenziamento è basato su una testimonianza generica - «vi erano numerosissime telefonate verso l’899 che combaciavano con il turno del ricorrente» - e sul rapporto di polizia giudiziaria che indicava chiamate verso 899 da diverse utenze aziendali. La riconducibilità di tali chiamate non portano a pensare, in maniera univoca, che sia stato il lavoratore contestato ad effettuare tali chiamate. Inoltre, facilmente la Telecom avrebbe potuto produrre i tabulati telefonici, di certo nelle sue disponibilità, per dare un riscontro oggettivo del fatto in contestazione. I poteri istruttori del giudice del lavoro. Rispetto a quest’ultimo punto, la Corte ricorda che il giudice non era obbligato a chiedere d’ufficio tali tabulati, perché, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, «nel rito del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione», nel caso in cui il rifiuto di un mezzo istruttorio, con cui la decisione sarebbe potuta essere diversa, non sia stato adeguatamente motivato. Spettava all’azienda chiedere l’assunzione dei tabulati telefonici. Quindi l’azienda, per potersi lamentare della mancata richiesta di assunzione dei tabulati telefonici, avrebbe prima dovuto chiedere di poterli produrre. Per questi motivi la Corte respinge il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 dicembre 2012 – 11 marzo 2013, numero 5960 Presidente Amoroso – Relatore Marotta Svolgimento del processo Con sentenza della Corte di appello di Roma numero 1325/2008 del 13 marzo 2009 veniva rigettato l'appello della Telecom Italia S.p.A. avverso la decisione del Tribunale di Roma con la quale, in accoglimento del ricorso di E C. , era stata dichiarata l'illegittimità del licenziamento a quest'ultimo intimato in data 25 febbraio 2005 con sua conseguente reintegra nel posto di lavoro e condanna della società al risarcimento del danno. Riteneva la Corte territoriale che la Telecom non avesse adeguatamente fornito la prova dell'addebitabilità al C. dei fatti così come contestati e cioè del denunciato illecito utilizzo del telefono aziendale verso l'utenza telefonica contrassegnata dal codice 899 e che in ogni caso non erano emersi elementi univoci a sostegno della intenzionalità delle connessioni telefoniche oggetto di addebito con la conseguenza che andava escluso che tali comportamenti integrassero grave violazione del generale obbligo di fedeltà così da costituire giusta causa ovvero giustificato motivo soggettivo di licenziamento. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Telecom Italia S.p.A. affidandosi a due motivi illustrati da memoria ai sensi dell'articolo 378 cod. proc. civ Resiste con controricorso E C. . Motivi della decisione 1. Con primo motivo la società denuncia Violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 cod. civ. e dell'articolo 5 della legge numero 604/1966 in relazione all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. . Deduce che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto inadeguate le prove fornite dalla Telecom a chiarire i fatti oggetto di contestazione e rileva che, a fronte di quanto emerso dalla prova testimoniale nonché da un verbale di Polizia Giudiziaria, non era tenuta la società a provare gli stessi per via documentale mediante il deposito degli originali dei tabulati orari. 2. Il motivo è inammissibile laddove, a fronte di un denunciato vizio di violazione di legge, in realtà la ricorrente si duole di una carente motivazione e di un esame superficiale delle risultanze istruttorie. Peraltro, anche sotto il profilo del vizio motivazionale il motivo è infondato in quanto sviluppa censure di merito che tendono ad una rivalutazione del fatto , inammissibile in questa sede. Sul punto deve ribadirsi l'indirizzo consolidato in base al quale la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata v. Cass. 9 aprile 2001, numero 5231 id. 15 aprile 2004, numero 7201 7 agosto 2003, numero 11933 . Incensurabile appare, dunque, il giudizio espresso dalla Corte di merito con riguardo tanto all'inidoneità a costituire prova in sé esaustiva quanto alla genericità della deposizione resa dal teste M B. , ufficiale di P.G., incaricato di svolgere accertamenti presso la centrale di telefonica di omissis . Per il resto il motivo è infondato atteso che nessuna violazione della disciplina di legge sull'onere della prova in materia di licenziamento per giusta causa è stata integrata avendo, nel caso di specie, il giudice di merito fatto corretto applicazione della norma di cui all'articolo 2697 cod. civ. e ritenuto che la società non avesse compiutamente adempiuto l'onere sulla stessa gravante a mezzo di una deposizione testimoniale che, proprio a causa della sopra evidenziata genericità il teste riferisce solo, per quanto si rileva dalla sentenza, che vi erano numerosissime telefonate verso che combaciavano con il turno del ricorrente , necessitava di riscontri oggettivi, nella specie non forniti dall'azienda che non aveva prodotto i tabulati telefonici di certo nella sua disponibilità. Né a differenti conclusioni può condurre il contenuto del rapporto di polizia giudiziaria, ampiamente richiamato dal ricorrente e testualmente riprodotto nella parte significativa, considerato che in alcune giornate e negli orari ivi indicati risultavano telefonate verso il numero XXX provenienti non solo da una ma da diverse utenze aziendali, neppure collocate tutte presso la stessa centrale di via ma anche registrate in uscita presso la centrale di via si veda la parte del rapporto relativa ai giorni 3 e 7 gennaio 2005 e 4 novembre 2005 . È del tutto evidente che i suddetti dati eterogenei non potevano deporre in modo univoco per la riconducibilità al C. delle telefonate in questione, rendendo come pretenderebbe parte ricorrente superfluo ogni altro riscontro. Se pure, dunque, esisteva un principio di prova, questo non era di per sé solo sufficiente, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, ad integrare, in termini di efficacia, la prova piena e completa richiesta dall'articolo 2697 cod. civ. e posta a carico del datore di lavoro. 3. Con il secondo motivo la società denuncia Violazione e falsa applicazione dell'articolo 421 cod. proc. civ. in relazione all'articolo 360, numero 3, cod. proc. civ. . Deduce che la Corte territoriale, a fronte di elementi emergenti dalla prova testimoniale e dai verbali di Polizia Giudiziaria avrebbe dovuto richiedere alla società di produrre i tabulati orari in originale utilizzando i propri poteri di ufficio. 4. Il motivo è infondato. È stato più volte da questa Corte affermato Nel rito del lavoro, l'esercizio di poteri istruttori d'ufficio, nell'ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, numero 5, qualora la sentenza di merito non adduca un'adeguata spiegazione per disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione cfr. ex plurimis Cass. 5 febbraio 2010, numero 12717 . Ed è stato anche specificato che Nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex articolo 421 cod. proc. civ., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull'onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori cfr. Cass. 12 marzo 2009, numero 6023 statuendosi altresì che Nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli articolo 421 e 437 cod. proc. civ., l'uso dei poteri istruttori da parte del giudice non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere dovere del cui esercizio o mancato esercizio il giudice è tenuto a dar conto tuttavia, per idoneamente censurare in sede di ricorso per cassazione l'inesistenza o la lacunosità della motivazione sul punto della mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l'esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito cfr. Cass. 26 giugno 2006, numero 14731 . È stato, infine, ritenuto che, pur in presenza di formale ed esplicita richiesta di una delle parti, in mancanza di un provvedimento decisorio esplicitante le ragioni per le quali il giudice abbia ritenuto di far ricorso all'uso dei poteri istruttori ovvero di non farvi ricorso, non è consentita una censura che, seppur sollevabile precedentemente, sia stata avanzata per la prima volta in sede di legittimità e con la quale si denunzi il mancato esercizio dei poteri d'ufficio, censura che finirebbe, con il giudizio di rinvio, per prolungare la durata del processo. Tale soluzione trova conforto nel principio, costituzionalizzato, della ragionevole durata del processo articolo 111 Cost., comma 2 e nella ricaduta, in termini processuali, scaturente dall'inerzia e mancata sollecitazione della parte interessata all'esercizio dei poteri ufficiosi - pur dopo che l'esaurimento dell'istruttoria abbia fatto permanere un quadro probatorio incerto - e ciò anche in ossequio applicativo del principio della tempestività dell'allegazione della sopravvenienza, comportante l'osservanza, a pena di decadenza, dell'onere di far valere nel primo atto difensivo eccezioni o deduzioni volte a contrastare le avverse domande, dovendosi avere riguardo al sistema di preclusioni e decadenze proprio delle controversie di lavoro e, sia pure in misura minore, anche del procedimento ordinario, dopo le riforme del 1990-1995 cfr. in tal senso Cass. 21 giugno 2006, numero 14331 . Orbene, nel caso di specie la ricorrente non ha neppure dedotto di aver sollecitato i poteri istruttori del giudice ovvero di aver chiesto di essere autorizzata a produrre i tabulati in questione. Tale circostanza esonerava, di certo, il giudice stesso dal fornire spiegazioni circa il mancato utilizzo poteri istruttori d'ufficio. 5. Il ricorso deve, di conseguenza, essere rigettato. 6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo tenendo conto del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al D.M. 20 luglio 2012, numero 140 che, all'articolo 41 stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all'entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012 ed avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa considerati i parametri generali indicati nell'articolo 4 del D.M. e delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria nella allegata Tabella A. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del resistente, delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.