Anche una semplice veranda può diventare una sopraelevazione

La realizzazione della veranda sul balcone implica una serie di problematiche di difficile soluzione e di varia natura a confine tra diritto civile ed amministrativo con problematiche di ordine tecnico-costruttivo.

La veranda realizzata sul terrazzo vìola il decoro architettonico del fabbricato? Il quesito non è di poco conto la realizzazione della veranda sul balcone implica una serie di problematiche di difficile soluzione e di varia natura a confine tra diritto civile ed amministrativo per non contare le problematiche di ordine tecnico-costruttivo. Il caso in esame nasce proprio dalla realizzazione di una veranda su un terrazzo a livello dell'appartamento all'ultimo piano. Subito il problema si parcellizza in una serie di questioni di varia natura poteri dell'amministratore del condominio, diritto alla sopraelevazione, decoro architettonico, prescrizione dell'azione, sono solo alcuni degli aspetti da prendere in esame. La questione, più complessa di quanto possa apparire a prima vista, viene decisa dalla Corte di Cassazione con una sentenza, in verità alquanto stringata, depositata il 18 novembre numero 24327. Ma procediamo con ordine. La vicenda. Ci troviamo di fronte ad un fabbricato condominiale il proprietario dell'ultimo piano realizza una veranda sul terrazzo di proprietà esclusiva. Ciò suscita le ire del condominio che si affretta a convocare l'assemblea conferendo mandato all'amministratore per trascinare in giudizio il “beneamato” vicino di casa e chiedere la riduzione in pristino. La domanda viene accolta dal Tribunale, ma la decisione viene ribaltata nei limiti appresso indicati dalla Corte di Appello, il cui giudizio viene confermato dagli Ermellini. Prima questione la delibera assembleare è valida! Il condominio cita in giudizio quello che, apparentemente, è il proprietario dell'appartamento ed ecco che i problemi, puntuali, iniziano ad affacciarsi. Ben presto si scopre che il convenuto aveva donato l'appartamento “dimenticando” di comunicare la cessione al condominio e continuando a partecipare alle assemblee . Si tratta, a questo punto, di valutare la legittimità della delibera assembleare che conferisce all'amministratore l'incarico di adire le vie legali. La delibera è valida anche se la convocazione è stata effettuata nei confronti del donante e non del donatario. Per quale motivo? Perché donante e donatario hanno omesso di comunicare la cessione al condominio. La veranda è una sopraelevazione non va demolita ma scatta il risarcimento. Le decisioni più apprezzate sono quelle che riescono a contemperare gli interessi delle parti e, senza dubbio, la decisione in commento ha il merito di tenere tutti scontenti in egual misura. Il collegio giudicante - da un lato - ritiene che la veranda non debba essere demolita ma, allo stesso tempo - parallelamente - considera il manufatto come una vera e propria sopraelevazione. Con quali conseguenze? Occorre aprire il portafogli e risarcire i proprietari delle unità sottostanti a cui viene riconosciuto il diritto ad una indennità. A chi spetta l'indennità? Stabilito che la veranda è una sopraelevazione e che il costruttore deve risarcire i condomini, sorge un ulteriore interrogativo il potere di agire in giudizio è stato conferito all'Amministratore del condominio attore dall'assemblea mentre il diritto all'indennità è di competenza dei singoli proprietari. A questo punto la complessità della vicenda inizia a delinearsi. Solo chi partecipa all'assemblea ha diritto al risarcimento. Il collegio giudicante segue un iter logico abbastanza complesso ma certamente lineare. Il manufatto realizzato deve essere inteso come una vera e propria sopraelevazione, il che farebbe scattare la molla dell'indennità da riconoscere ai proprietari degli appartamenti sottostanti. Resta un problema tale l'indennità può essere riconosciuta solo a favore dei singoli proprietari che ne abbiano fatto richiesta e non del condominio attore. Ed ecco la soluzione servita su un piatto d'argento dalla Corte. L'amministratore attore non viene considerato come un rappresentante del condominio, bensì come un mandante dei singoli proprietari. Sostanzialmente questa volta il problema viene risolto interpretando in maniera oltremodo estensiva il mandato conferito all'amministratore del condominio. Per questa via la Corte ritiene che l'amministratore sia legittimato a chiedere l'indennità in forza «del ricevuto mandato ampio ed illimitato» da parte dei singoli partecipanti all'assemblea condominiale. Come scatole cinesi, le questioni sembrano concatenate e, quando un problema sembra essere risolto, ne sorge subito un altro, ancor più complesso. Se il potere dell'amministratore deriva dal mandato conferito dai singoli proprietari, ne deriva che l'indennità può essere riconosciuta solo a favore di quei condomini che, partecipando all'assemblea, hanno conferito all'amministratore del condominio il «mandato ampio ed illimitato». Per gli altri non c'è nulla da fare, dovranno far valere le loro eventuali ragioni separatamente. Ammesso, ovviamente, che gli eventuali termini di decadenza e prescrizione non siano ormai inutilmente decorsi. Respinta la prescrizione. Il costruttore-convenuto cerca di salvarsi in corner eccependo l'intervenuta prescrizione del diritto dei condomini. Il manufatto, comunque lo si voglia qualificare, era esistente da anni tanto è vero che, nel lontano 1986, era stata presentata domanda di condono edilizio. Recentemente erano stati eseguiti solo dei lavori di manutenzione straordinaria. Ma la tesi non convince la Corte di Appello che la respinge il proprietario avrebbe omesso di fornire la prova dell'esistenza ultraventennale del manufatto. Anche la Cassazione respinge l'idea della prescrizione giungendo, sostanzialmente, allo stesso risultato, ma percorrendo una via alternativa. La richiesta di condono edilizio si riferiva ad una tettoia successivamente trasformata in un manufatto più complesso costituente la sopraelevazione. L'oggetto del contendere, quindi, non era la “vecchia struttura” condonata nel 1986 ma la “nuova costruzione” realizzata solo in epoca assai più recente. Il proprietari degli immobili sottostanti avevano acquisito il diritto all'indennità da sopraelevazione a seguito della costruzione di tale nuova opera. Ad essere in discussione, quindi, sarebbe il diritto all'indennità maturata a seguito della recente sopraelevazione e non i diritti derivanti dalla “vecchia” tettoia condonata. Di conseguenza l'eccezione prescrizionale non poteva trovare accogliemento. La veranda non altera l'euritmia del fabbricato. Quando si parla di verande, uno dei punti di forza a favore del condominio è rappresentato dalla lamentata lesione dell'euritmia del fabbricato. Per centrare il problema e comprendere quanto possano essere fondate eccezioni di questo tipo, occorre partire dal presupposto che l'euritmia consiste nella «giusta ed armonica disposizione delle diverse parti in un'opera d'arte». Una violazione dell'euritmia del corpo di fabbrica, quindi, potrebbe essere lamentata nel caso in cui il fabbricato abbia una valenza storica di rilievo ovvero nell'ipotesi in cui il corpo di fabbrica acquisisca valenza e valore per il particolare inserimento nel contesto nel territorio circostante. Si pensi, per esempio, ad un fabbricato che si affaccia su una piazza di un centro storico. In mancanza di tali elementi, a meno che non si tratti di un fabbricato di eccezionale valore storico-monumentale, si ritiene che una lieve modifica negli elementi architettonici non sia in grado di provocare problemi al condominio ne, tantomeno, ai cittadini che, transitando per la pubblica via, vedrebbero violato il decoro architettonico del territorio urbano. Nel caso in esame i condomini, forti del parere del C.T.U., ritenevano che la veranda abusiva avesse compromesso l'euritmia del fabbricato che, tra l'altro, era soggetto ad un vincolo storico-ambientale. La tesi non è stata ritenuta degna di rilievo. Il collegio giudicante, questa volta, ha dato ragione al proprietario. La veranda sarebbe arretrata rispetto alla facciata del fabbricato e quindi sarebbe scarsamente visibile. Come dire “occhio non vede, cuore non piange”. Decoro architettonico si al risarcimento se c'è un pregiudizio economico. La Seconda sezione civile della Cassazione, con la sentenza numero 1286/2010, intervenendo in tema di decoro architettonico dell'edificio, ha stabilito che l'estetica del fabbricato è data dall'insieme dei suoi elementi architettonici e strutturali e non dal contesto in cui esso si colloca. I valori architettonici, quindi, verrebbero impressi dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell'edificio e non dall'impatto dell'ambiente circostante. Una determinata innovazione tipo la realizzazione di una veranda potrebbe costituire o meno alterazione dell'euritmia solo nel caso in cui vi sai una apprezzabile depauperamento del decoro architettonico. E non finisce qui. Secondo il recente orientamento degli Ermellini, l'alterazione del decoro architettonico deve tradursi in un pregiudizio attuale e concreto per i condomini determinando un reale deprezzamento dell'intero fabbricato. Sotto questo profilo appare difficile pensare che il valore di un appartamento possa subire un deprezzamento a causa della realizzazione fosse anche abusiva di una veranda realizzata sull'attico. La serra solare la panacea di tutti i mali. Come a tutti ben noto, la realizzazione di una veranda sul balcone è una operazione piuttosto consueta. Dal punto di vista urbanistico, la realizzazione di un manufatto di tal genere sarebbe subordinato all'ottenimento di un titolo abilitativo dei lavori. La veranda, infatti, è un elemento capace di incidere sul carico urbanistico in quanto si tratta di un manufatto che esprime cubatura nonché superficie utile. Questa volta, però, sono le stesse norme urbanistiche a venirci in aiuto. Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità di realizzare delle c.d. “serre solari” ovvero dei manufatti in tutto e per tutto paragonabili, dal punto di vista strutturale, ad una veranda ma capaci di assolvere ad una diversa funzione. La “serra solare”, infatti, ottenibile anche attraverso la chiusura di balconi, terrazze, logge e simili, assolve alla funzione di contenere i consumi energetici dell'edificio. Si tratta, in parole povere, di manufatti capaci di “imprigionare” i raggi solari aumentando il calore e l'illuminazione naturale degli ambienti abitati. Ma il massimo dell'efficienza si raggiunge installando degli strumenti di cucina all'interno delle verande. In questo caso il rendimento energetico migliora in quanto il calore sviluppatosi nella serra si somma al potere calorico originato dai fornelli. La serra solare è un'opera pubblica. L'aspetto più interessante della serra solare è dato dalle norme di favore che ne disciplinano la realizzazione. In primo luogo le serre, al pari dei c.d. “volumi tecnici”, non esprimono cubatura. Ciò che più conta, comunque, è la loro equiparazione agli interventi diretti al risparmio energetico. Ai sensi dell'articolo 1 della L. 10/1991, tali opere sono considerate di pubblico interesse, equiparate alle opere indifferibili ed urgenti la cui realizzazione ex articolo 123 del D.P.R. 380/2001, derivato dall'articolo 26 della L. 10/1991 non necessita neanche del preventivo rilascio di un titolo abilitativo dei lavori ma, al massimo, di una semplice comunicazione di inizio lavori. Insomma, qual è la differenza tra i due manufatti? La veranda è vietata e fa male al portafoglio che, viceversa, viene rimpinguato dalla realizzazione di una serra solare. I “bonus” non finiscono mai. Il d.l. del 3 marzo 2011 numero 28 ha introdotto una serie di opportunità che possono fare al caso nostro. Ci si riferisce, in particolare, all'articolo 12 “misure di semplificazione” che prevede un bonus volumetrico del 5% per gli interventi capaci di assicurare un certo risparmio energetico. Da non sottovalutare neanche i possibili benefici derivanti dall'articolo 5, comma 2 numero 5, del d.l. 13 maggio 2011 numero 70, convertito dalla Legge 12 luglio 2011 numero 106 decreto sviluppo , che ha modificato l'articolo 34 del T.U. dell'edilizia. In tale contesto l'attenzione si focalizza sulla “sanatoria” del 2% relativamente a possibili difformità relativamente a distacchi, cubatura o superfici coperte. Alla resa dei conti, si tratterebbe di un “bonus” del 7% che potrebbe essere utilizzato proprio per la realizzazione della nostra veranda rectius serra solare evitando problemi se non sul piano civilistico, almeno sotto il profilo urbanistico.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 ottobre – 18 novembre 2011, numero 24327 Presidente Triola – Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con atto notificato l’8.2.99 il condominio in epigrafe indicato citò al giudizio del Tribunale di Napoli il condomino G.A, al fine di sentirlo condannare alla rimozione di una veranda tettoia realizzata sul terrazzo a livello dell'appartamento all'ultimo piano dello stabile,in quanto lesiva del decoro architettonico del fabbricato. La domanda,cui il convenuto aveva resistito tra l'altro eccependo di avere da tempo donato l'appartamento al figlio F., venne, a seguito di intervento iussu iudicis , estesa nei confronti di quest'ultimo e, nella resistenza del medesimo,accolta dall'adito Tribunale, con sentenza del 2.12.02, previa assoluzione dalla stessa dell'originario convenuto. A seguito dell'appello di F G. , resistito dal condominio,e di gravame incidentale di A G., la Corte di Napoli, dopo aver disposto ed espletato una consulenza tecnica,con sentenza non definitiva del 28.10.05,in riforma di quella appellata e in accoglimento dell'impugnazione principale,rigettava la domanda attrice di demolizione, dichiarava assorbito il gravame incidentale, estromettendo definitivamente dal giudizio il proponente,con compensazione delle relative spese anche di secondo grado, e disponeva,con separata ordinanza, il prosieguo del giudizio, sulle residue questioni. Riteneva, tra l'altro ed in particolare, la corte partenopea a la legittimità dell'adozione della delibera assembleare conferente all'amministratore l'incarico di adire il giudice per la tutela restitutoria,nonostante il mancato avviso a F G. e la convocazione solo del padre A., non essendo stata dai medesimi comunicata all'amministrazione l'avvenuto trasferimento della proprietà dell’immobile b la mancanza di prove in ordine all'eccepita risalenza ultraventennale dell'opera, concretatasi nella realizzazione, in luogo di una preesistente tettoia, di una veranda chiusa in alluminio anodizzato c l'insussistenza, nonostante i diversi, ma genericamente motivati, giudizio del Tribunale e parere del c.t.u.,e considerata la non pregiudizialità in sede civile di eventuali responsabilità, accertate in sede penale o amministrativa, del lamentato danno all'euritmia del fabbricato, tenuto conto della limitatissima visibilità dell'opera dalla via pubblicandola posizione arretrata della stessa rispetto alla facciata principale, della sobrietà del disegno e dei connotati cromatici, tali da escludere palesi disarmonie con il resto dell'immobile d la natura di vera e propria sopraelevazione del manufatto, come tale comportante il diritto all'indennità da quantificarsi nel prosieguo del giudizio a favore dei proprietari delle unità sottostanti, alla cui richiesta l'amministratore doveva ritenersi autorizzato in forza del ricevuto mandato ampio e illimitato dell'assemblea condominiale, giusta delibera del 16.10.1998 . Avverso tale sentenza F G. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, articolato su quattro profili ed illustrato con successiva memoria. Ha resistito previa autorizzazione con delibera assembleare del 14.2.06, allegata in copia il condominio, con controricorso contenente ricorso incidentale su due motivi. Non ha svolto attività difensiva l'intimato A G. . Motivi della decisione Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 335 c.p.c. Con l'unico motivo di quello principale vengono dedotte violazione da errata interpretazione e falsa applicazione degli articolo 12 della legge in generai e,degli articolo 112-115-116 c.p.c., nonché degli articolo 1105, 1127 ult. comma, 1136, 2^ e 4^ comma C.C., 1158-1159 C.C. ed infine dell'articolo 2946 C.C. il tutto in relazione alle censure di legittimità sancite all'articolo 360 numero ri 3 e 5 c.p.c. Con un primo profilo si censura l'accoglimento della domanda di indennità, per erronea applicazione alla fattispecie dell'articolo 1127 u.c. cod. civ.,contestandosi la natura dei vera e propria sopraelevazione dell'opera in questioneremmo conto delle relative caratteristiche, di manufatto amovibile, sostituente una preesistente copertura della terrazza a livello di proprietà esclusiva,non integrante gli estremi di una vera propria costruzione. Con il secondo si lamenta la mancata considerazione che l'opera,come accertato dal c.t.u., non avrebbe arrecato alcuno, sia pur tollerabile aggravio sui muri maestri, né maggior uso di strutture o occupazione di aree comuni, con conseguente insussistenza delle ragioni e dei presupposti di applicabilità della disposizione prevedente l'anzidetta indennità. Sotto un terzo profilo si lamenta la mancata applicazione della eccepita prescrizione estintiva o acquisitiva, comunque decennale,che avrebbero comportato il rigetto della domanda,tenuto conto che già in data 19.12.86 era stata presentata una denuncia in sanatoria per ampliamento . Sotto un quarto profilo,infine, si censura la ritenuta ammissibilità dell'azione proposta, che in quanto concernente una lite attiva giudiziale nei confronti del singolo condomino ,esorbitante dalle attribuzioni dell'amministratore, avrebbe richiesto un numero di voti rappresentante la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio. Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione degli articolo articolo 12 disp. legge in generale, 1127 co. 3 c.c., 61, 62, 115, 116 c.p.c., con connessi vizi di motivazione, censurandosi la negazione del pregiudizio del decoro architettonico, nonostante il nettamente diverso e motivato parere del consulente tecnico,che pur si era ritenuto necessario officiare, in quanto frutto di valutazione insufficiente,non tenente conto della particolare ubicazione del fabbricato interessato dall'intervento edilizio e del vincolo artistico - ambientale gravante sullo stesso ed ingiustificatamente basata sul solo elemento costituito dalla visibilità. Con il secondo motivo del ricorso suddetto si deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 20 numero 1, 21 numero 4, 29 nnumero 1, 2, 3, 30 numero 3 Dlgs. 22.1.04 Codice dei beni culturali e del paesaggio e 10 L.6.7.02 numero 137, con connessi vizi di motivazione, per mancata considerazione dei vincoli imposti sulla zona urbana in questione dalla competente Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il Paesaggio e per il Patrimonio Artistico e Demoetnoantropologico di Napoli e Provincia , come evidenziato dal c.t.u.,nonché della tutela indiretta prevista dal Dlgs. numero 42 del 2004. Va esaminato con priorità,attesa la pregiudizialità logico - giuridica,il ricorso incidentale,in quanto attinente alla principale domanda, quella di riduzione in pristino, che la corte territoriale non ha accolto. Entrambi i motivi di tale impugnazione devono essere respinti. Il primo va disatteso poiché si risolve in una palese censura di merito avverso l'accertamento in fatto compiuto dal giudice di secondo grado, il quale ha adeguatamente motivato il proprio dissenso rispetto sia alla valutazione compiuta dal primo giudice, sia al parere del consulente tecnico di ufficio, spiegando chiaramente le ragioni per le quali ha ritenuto insussistente la dedotta lesione del decoro architettonico, con la motivazione in narrativa riferita, che seppur sintetica, risulta rispondente ai dettami di questa Corte v., in particolare, Sez. 2^ numero 10350 dell'11.5.11 circa la rilevanza al riguardo delle linee architettoniche del fabbricato e dell'aspetto armonico dello stesso, di per sé considerati senza alcuna relazione con l'ambiente circostante v. sez. 2^ numero 1286 del 25.1.10 , elementi entrambi presi in considerazione nella specie dalla corte territoriale. Ne conseguenti base a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l'incensurabilità nella presente sede della relativa valutazione,costituente un tipico apprezzamento discrezionale di merito, ove la relativa motivazione risulti - come lo è nella specie - adeguata ed esente da vizi logici. Il secondo va disatteso per la novità della censura,che non risulta corrispondente a specifica deduzione di illegittimità dell'intervento formulata anche in sede di merito,tanto più che si basa su norme sopravvenute ai fatti di causa ed al giudizio di primo grado e, comunque, di per sé rilevanti,quali norme di azione e non di relazione, non sul piano dei rapporti civilistici, ma soltanto in quelli tra privati e la P.A., così come i provvedimenti conformativi da quest'ultima adottati. Anche il ricorso principale va respinto,per le considerazioni di seguito esposte, secondo l'ordine logico - giuridico dei relativi profili di censura. Il quarto, per quanto attiene all'azione principale,di riduzione in pristino, risulta assorbito ed ormai privo d'interesse a seguito della reiezione dell'impugnazione incidentale ribadente tale domanda. Quanto a quella subordinata, che la corte territoriale ha accoltola censura, così come formulata, risulta inammissibile, ancor prima che per difetto di specificità laddove non si precisa quale sia stata in concreto la maggioranza deliberante,che si assume non sufficiente ex articolo 1136 c.c. ad intraprendere l'azione , anche e soprattutto per inconferenza del richiamo normativo dedotto in relazione alla domanda di determinazione delle indennità,che attenendo non ad un'azione svolta come quella principale nell'interesse del condominio ed a tutela di beni comuni, bensì al fine di far valere diritti individuali dei singoli condomini, deve intendersi spiegata soltanto per conto di quei partecipanti all'assemblea, che avevano conferito all'amministratore quel mandato ampio ed illimitato accertato dalla corte di merito, con argomentazione che non ha formato oggetto di alcuna specifica confutazione. Quanto alla prescrizione, la cui rilevanza risulta ormai limitata a quella dei diritti indennitari, la censura,pur movendo da una premessa astrattamente corretta, quella dell'applicabilità del termine decennale ex articolo 2946 c.c. vertendosi in tema di estinzione non di diritti reali, bensì di obbligazione, in concreto risulta tuttavia irrilevante, considerato che l'intervento edilizio in questione non è quello costituito dall'installazione della tettoia di cui alla dedotta domanda in sanatoria del 1986, bensì quello, ben più recente accertato dai giudici di merito, costituito dalla costruzione, in luogo della precedente elementare struttura, della veranda coperta in alluminio anodizzato, integrante un vero e proprio manufatto abitativo in sopraelevazione modifica quest'ultima che, sia pur qualificandola di mero ammodernamento , è la stessa parte ricorrente ad ammettere di aver realizzato in epoca successiva,ottenendo l'approvazione della variante con provvedimento dell'ottobre 1998 v. pag. 2 della memoria illustrativa . Da quanto sopra consegue che,essendosi in tale epoca verificato l'evento genetico del diritto all'indennità ed in mancanza comunque di prova, incombente sull'eccipiente, della risalenza ultradecennale della trasformazione della tettoia in veranda coperta la domanda proposta nell'anno 1999 deve ritenersi tempestiva. Il primo ed il secondo profilo di censura,da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione, vanno respinta a per inammissibilità,nella parte in cui censurano l'accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, sulla scorta di adeguati riscontri istruttori emergenti dalla consulenza tecnica e dai rilievi fotografici , circa la consistenza dell'intervento edilizio b per manifesta infondatezza, alla luce del costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui costituisce costruzione agli effetti civilistici qualsiasi manufatto, stabilmente infisso al suolo o collegato a preesistente immobile e tale da incrementarne la relativa consistenza, indipendentemente dalle caratteristiche costruttive v. tra le tante Cass. nnumero 4277/11, 5934/11, 19281/09, 22127/09, 2537/08 c per altrettanto manifesta infondatezza della tesi, secondo cui il diritto indennitario non spetterebbe in ragione della mancanza di aggravio del carico sulle strutture portanti dell’edificio, alla luce del principio ormai consolidato dalle S.U. di questa Corte sent. numero 16794/07, conf. in precedenza Cass. nnumero 12880/05, 22032/04, 1263/99 , secondo cui l'indennità ex articolo 1127 c.c., è dovuta non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione di locali preesistenti, mediante incrementi delle superfici e delle volumetrie, indipendentemente dall'altezza del fabbricato, traendo fondamento dall'aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni,conseguente all'incremento della porzione di proprietà esclusiva. Il rigetto di entrambi i reciproci ricorsi comporta,infine,la compensazione totale delle spese. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsali rigetta e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.