Per dimostrare l’utilizzo di un collegamento negoziale per frodare la legge non basta provare la natura meramente di comodo della costituzione di società, ma occorre dimostrare l’invalidità della cessione delle azioni.
La Suprema Corte si pronuncia su un caso che coinvolge numerosi profili di rilevanza giuridica, quali i negozi a causa di liberalità, la disciplina valutaria, il collegamento negoziale in funzione elusiva della normativa valutaria. La vicenda. La fattispecie al centro della controversia giunta in Cassazione, aveva inizio con una domanda di simulazione, proposta dall’erede del cedente Alfa, avente ad oggetto una cessione di azioni di una s.p.a. effettuata nel 1982, volta a fare emergere la donazione dissimulata, affiancata dalla domanda di nullità di tale donazione in quanto stipulata con scrittura privata e non per atto solenne. In aggiunta a ciò, l’attore chiedeva la restituzione delle azioni e degli utili riferiti. Il giudice di prime cure rigettava l’istanza in base alla mancanza di un accordo simulatorio comune alle parti, dell’ animus donandi ovvero dello spirito di liberalità del preteso donante , rilevando invece che la cessione abbia rappresentato l’attuazione di un impegno fiduciario. Infatti, secondo il Tribunale di merito, a monte l’originario proprietario delle azioni aveva ceduto l’intero pacchetto azionario al proprio collaboratore Alfa, il quale si era successivamente obbligato nei confronti degli eredi del proprietario originario, affinché la s.p.a. deliberasse l’aumento di capitale sociale senza egli sottoscriverlo. Dopo la morte dell’originario titolare delle azioni e l’acquisizione da parte della moglie del diritto di opzione in esclusiva sull’aumento di capitale, Alfa aveva stipulato il suddetto contratto di cessione delle azioni. Né donazione diretta, né mixtum cum donatione . Nel successivo gravame il giudice d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, evidenziava che anche qualora si configurasse la cessione come donazione, questa si sarebbe realizzata mediante il trasferimento delle azioni ad una s.p.a. controllata dalla moglie dell’originario proprietario dei titoli. Pertanto, l’eventuale donazione sarebbe comunque stata solo indiretta, figura che non richiede il perfezionamento per atto pubblico a pena di nullità, come per le donazioni dirette. Inoltre, la Corte d’appello precisava che in ogni caso la cessione era avvenuta a titolo oneroso, non assumendo rilievo che il pagamento fosse stato realizzato attraverso assegni emessi dalla società e non dalla cessionaria. Infine, si affermava che se anche si considerasse la mancata corrispondenza del corrispettivo all’appetibilità delle azioni cedute, non si potrebbe comunque fare riferimento alla figura del mixtum cum donatione . Nullità per violazione della disciplina valutaria? In seguito al ricorso in Cassazione, i ricorrenti lamentavano la mancata considerazione che la cessionaria, trasferitasi all’estero, aveva costituito una s.p.a. a mezzo di due prestanome, a cui sono state trasferite le azioni. Si realizzava, quindi, a detta dei ricorrenti, un’interposizione reale attraverso un’intestazione fittizia delle azioni in capo agli stessi prestanome, e un’intestazione fiduciaria in capo alla s.p.a., eludendo la normativa valutaria di cui all’articolo 2, l. numero 786/1956 poi abrogata nel 1989, e realizzando una frode alla legge. L’intestazione fiduciaria esige infatti che il trasferimento effettivo in favore del fiduciario sia limitato dall’obbligo di ritrasferire il bene al fiduciario o beneficiario, senza che vi sia alcun intento liberale del fiduciante nei confronti del fiduciario. Quindi, la posizione di titolarità che si realizza in capo a questo risulta meramente provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante. La Suprema Corte nella sua decisione precisa si focalizza sulla suddetta disposizione che vietava ai residenti in Italia di porre in essere qualsiasi atto idoneo a produrre obbligazioni tra essi e i non residenti, in mancanza di autorizzazione ministeriale. Tale norma stabiliva una prescrizione assoluta e inderogabile che non riguardava esclusivamente la fase dell’adempimento del debito, ma coinvolgeva direttamente la costituzione del rapporto obbligatorio, prevedendo, al fine di evitare l’esodo di capitali all’estero l’autorizzazione ministeriale come requisito di validità della fattispecie. Di conseguenza, l’atto costitutivo di un’obbligazione che difetta dell’autorizzazione è nullo per contrasto di norma imperativa. Questa invalidità insanabile permane anche dopo l’abrogazione della disciplina valutaria avvenuta nel 1989, in quanto, come sottolineato da altre decisioni di legittimità la nuova normativa si limita a non esigere più l’autorizzazione ministeriale in forza del mutato contesto economico, ma non influisce retroattivamente sugli atti realizzati nella vigenza della disciplina precedente. Secondo il giudice di seconde cure aveva tuttavia ritenuto valida la cessione delle azioni pur avvenuta nel 1982, in quanto intervenuta con una società avente sede legale nel territorio dello Stato. Non dimostrata la frode alla legge senza la prova della mancanza dell’autorizzazione. Ora, benché secondo giurisprudenza costante la frode alla legge può realizzarsi anche attraverso un collegamento tra più contratti in sé leciti, qualora il risultato concreto ottenuto dalla combinazione risulti elusivo della legge, la Cassazione non ritiene provata nella fattispecie gli elementi che caratterizzerebbero la frode alla legge. Infatti, pur rilevando la costituzione della s.p.a. al solo fine di fungere da prestanome, non dimostra l’elemento decisivo, ovvero che la successiva cessione delle azioni dalla s.p.a. al soggetto residente all’estero sia avvenuta senza l’autorizzazione ministeriale, che rappresenta come detto requisito di validità del contratto. Donazione diretta perché irrilevante che il pagamento fosse avvenuto attraverso assegni emessi da un’altra società. Per quanto concerne inoltre il profilo relativo alla qualificazione della liberalità del trasferimento delle azioni, i ricorrenti reputando sussistente una simulazione, ritengono che non vi sia stato nessun pagamento come corrispettivo del trasferimento delle azioni, benché fosse indicato nell’atto simulato. Di conseguenza, la liberalità sarebbe dovuta essere qualificata come donazione diretta, essendo le azioni state trasferite senza il tramite della rimessa della provvista per l’acquisto, e dunque risultare nulla per carenza di forma. La Corte d’appello tuttavia aveva ritenuto onerosa la cessione, risultando irrilevante la circostanza che il pagamento fosse avvenuto attraverso assegni emessi da un’altra società e non dalla società cessionaria, ed escludendo inoltre la natura simulata dell’accordo. Giova ricordare che le donazioni indirette sono quei negozi che, sebbene non integrano il tipo della donazione, ne producono gli effetti tipici, vale a dire l’arricchimento, per spirito di liberalità, dell’avente causa. Ovviamente, sotto un profilo formale, le donazioni indirette sono assoggettate al regime del tipo di negozio scelto e non quello vincolato della donazione con le limitazioni consequenziali in termini di forma e prova . Di conseguenza, la donazione indiretta sul piano sostanziale, seguirà il regime del negozio fine la donazione , mentre sotto il profilo formale quello del negozio mezzo. Del resto, numerose pronunce di legittimità hanno oramai reso pacifico l’orientamento per cui la donazione indiretta è contraddistinta dallo scopo di realizzare una liberalità, e non dal mezzo utilizzato a tal fine, costituito anche da un collegamento tra più negozi. La Suprema Corte, considerando la decisione di appello logicamente motivata, non accoglie il motivo di ricorso che invece richiederebbe un nuovo giudizio di fatto.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 – 26 marzo 2012, numero 4853 Presidente Goldoni – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - Con atto di citazione notificato il 10 luglio 2000, C.L. , in proprio e quale procuratore speciale di J.I.C. , ha chiesto, nei confronti della s.p.a. Vitrociset e di E V. , quest'ultima anche in veste di legale rappresentante della s.r.l. Ciset, che il Tribunale di Roma dichiarasse la simulazione relativamente alla cessione effettuata con scrittura privata del 2 aprile 1982 da C.G. in favore di E V. per il tramite della s.p.a. Intel, a sua volta dante causa della Ciset s.r.l., di quarantamila azioni della allora s.p.a. Ciset, odierna Vitrociset s.p.a L'attore ha inoltre domandato l'accertamento della nullità della donazione dissimulata dalla detta cessione di azioni, in quanto priva delle prescritte solennità di forma, nonché la condanna alla restituzione delle azioni, in aggiunta alla somma di lire 4.990.000.000, corrispondente agli utili riferiti di provenienza della controllata s.p.a. Ciset nel bilancio dell'esercizio 1982 della società Intel. Si sono costituiti la V. e la s.r.l. Ciset, resistendo alle domande. Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 14 maggio 2003, ha rigettato le domande. Ha rilevato il primo giudice che nessuna dimostrazione è stata fornita dagli attori in ordine alla esistenza di un accordo simulatorio comune alle parti del contratto, che è mancata la prospettazione degli elementi costitutivi dello spirito di liberalità del preteso donante e che la cessione ha costituito l'attuazione di un impegno fiduciario a suo tempo assunto da C.G. nei confronti del coniuge della V. , Ca Cr. , il quale, in procinto di riparare all'estero per sottrarsi agli strali giudiziari derivanti dalla sua implicazione nello scandalo XXXXXXXX e, dunque, nell'impossibilità di occuparsi ulteriormente della gestione dell'azienda, aveva già ceduto l'intero pacchetto azionario al C. , suo sperimentato collaboratore e sodale. Secondo il Tribunale, il C. , sempre per onorare l'impegno assunto ed allorquando le condizioni di salute del Cr. ne facevano presagire la prossima dipartita, il 13 ottobre 1980 si era anche obbligato nei confronti della V. e dei figli Cr.Cl. e Da. affinché, entro il 15 maggio 1983, l'assemblea della s.p.a. Ciset deliberasse l'aumento di capitale sociale da lire 500.000.000 a lire 2.500.000.000, impegnandosi altresì a non sottoscrivere tale aumento di capitale, cui invece si erano obbligate le controparti proprio in tale contesto fiduciario, intervenuto il decesso del Cr. ed avendo nel frattempo la V. acquisito dai figliastri l'esclusiva del diritto di opzione sull'aumento di capitale, avrebbe fatto seguito la stipula della ridetta cessione del 2 aprile 1982. 2. - La Corte d'appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria l'9 ottobre 2009, ha respinto il gravame interposto da L C. , anche in nome della J. . 2.1. - La Corte territoriale ha rilevato che la stipula del 2 aprile 1982 si sottrae alla comminatoria di invalidità derivante dal l'allora vigente divieto, per i residenti in Italia, di compiere atti idonei a produrre obbligazioni con non residenti senza la preventiva autorizzazione ministeriale, e ciò in considerazione del fatto che il negozio, proprio in ragione della qualità di residente all'estero della V. , era stato stipulato con la s.p.a. Intel, avente sede nel territorio dello Stato - che la liberalità in favore della V. avrebbe avuto luogo, anche a voler seguire l'impostazione del motivo di gravame , attraverso il trasferimento dei titoli in capo ad una società, la s.p.a. Intel, controllata dall'appellata, sicché sarebbero ravvisabili nella specie gli estremi della donazione indiretta, per la quale non sono richieste le forme solenni prescritte per la donazione diretta che tuttavia la stessa connotazione di piena effettività delle pattuizioni contenute nella scrittura del 2 aprile 1982 basta per escludere l'asserita connotazione simulata dell'accordo, posto che, nella specie, anziché devoluta ad un ulteriore accordo negoziale, seppur dissimulato, la causa locupletandi figura perseguita, statim et illico, con la scrittura stessa - che la relazione al bilancio della Intel, là dove si da atto dell'esistenza degli utili, consente di escludere che, a tutto il 1982, ne fosse stato deliberato anche il riparto tra i soci, a sua volta da riconoscere quale adempimento costitutivo per la nascita del diritto del socio agli utili stessi di conseguenza, detti utili non sono mai entrati nel patrimonio di G C. , il quale non aveva valido titolo per disporne - che è in ogni caso dirimente la connotazione onerosa della detta cessione, essendo per la stessa stato pattuito il corrispettivo di lire 2.400.000.000, non rilevando che il pagamento, anziché ad opera della cessionaria, abbia avuto luogo mediante assegni emessi dalla Ciset - che anche qualora, specie dal raffronto con l'ammontare degli utili prodotti dall'azienda nel triennio tra il 1980 ed il 1982, del complessivo ammontare di oltre quattro miliardi di lire, emergesse la non corrispondenza del corrispettivo in parola rispetto alla redditività dell'azienda e, quindi, all'appetibilità delle azioni cedute, anche in tal caso non sarebbe possibile ricondurre la fattispecie in esame al di là di quella del negotium mixtum cum donatione . 3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello C.L. , anche nella qualità, ha proposto ricorso, con atto notificato il 16 aprile 2010, sulla base di due motivi. Le intimate V. e s.r.l. Ciset hanno resistito con controricorso. L'altra intimata - la s.p.a. Vitrociset - non ha svolto attività difensiva in questa sede. Entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa in prossimità dell'udienza. Considerato in diritto 1. - Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 giugno 1956, numero 476 Nuove norme valutarie e istituzione di un mercato libero di biglietti di Stato e di banca esteri , convertito, con modificazioni, dalla legge 25 luglio 1956, numero 786, e degli articolo 1343, 1344 e 1418 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e violazione e falsa applicazione degli articolo 112, 115 e 116 cod. proc. civ Avrebbe errato la Corte d'appello a non tenere conto del fatto che la convenuta V. , non potendo acquistare o ricevere il pacchetto azionario della s.p.a. Ciset, perché trasferita definitivamente in Città del Messico, aveva costituito la s.p.a. Intel a mezzo di due prestanome, cui poi furono trasferite le azioni. Ad avviso dei ricorrenti, l'operazione evidenziava una intestazione fittizia delle azioni Intel in capo agli stessi prestanome e una intestazione fiduciaria in capo alla Intel, cosi realizzandosi un fenomeno di interposizione reale. Tutto ciò implica elusione di una norma imperativa la costituzione della s.p.a. Intel a mezzo dei prestanome e la contemporanea sottoscrizione da parte degli stessi dei fissati bollati con data in bianco ma con intestazione del beneficiario sarebbero lo strumento utilizzato dalla V. come tecnica per frodare la legge ed eludere la normativa valutaria. 1.1. - Vanno preliminarmente rigettate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa dei controricorrenti. Quanto alla deduzione secondo cui i ricorrenti avrebbero dedotto - per la prima volta in questa sede -la violazione del principio che sottosta alla fattispecie nel negozio in frode alla legge, va osservato che la questione della nullità del contratto in frode alla legge risulta in realtà prospettata dagli appellanti con l'atto di gravame pag. 15 , non solo mediante il richiamo all'articolo 1344 cod. civ., ma anche attraverso la descrizione degli elementi di fatto costituzione della Intel s.p.a. da parte della cittadina straniera V. acquisto delle azione da parte della Intel in forza di una intestazione fiduciaria della quale era destinata a divenire titolare la V. che concorrerebbero alla integrazione della dedotta nullità. In ordine, poi, al prospettato limite processuale alla deducibilità della nullità, derivante dal fatto che nella specie la nullità non si porrebbe come ragione di rigetto della pretesa attorea, avendo gli stessi attori chiesto l'accertamento della simulazione della cessione di azioni del 2 aprile 1982 e della nullità della dissimulata donazione, occorre rilevare che, mentre il Tribunale aveva ritenuto preclusa la valutazione della questione di nullità per contrasto con la normativa valutaria in quanto dedotta tardivamente, la Corte d'appello ha affrontato nel merito la questione, rigettandola, ma preliminarmente osservando che si tratta [ .] di questione comunque rilevabile d'ufficio, al di fuori dei termini preclusivi del vigente rito civile . È evidente, pertanto, che i controcorrenti avrebbe dovuto dolersi della statuizione di ammissibilità della rilevabilità d'ufficio della questione con un ricorso incidentale condizionato , e non limitarsi a richiedere, con il controricorso, una integrazione della motivazione della sentenza della Corte di merito. 1.2. - Il motivo è, tuttavia, infondato nel merito. L’articolo 2 del decreto-legge 6 giugno 1956, numero 476, convertito nella legge 25 luglio 1956, numero 786, nella parte in cui fa divieto ai residenti in Italia di compiere qualsiasi atto idoneo a produrre obbligazioni tra essi ed i non residenti all'infuori dei casi di compravendita di merci per l'esportazione o l'importazione senza la autorizzazione ministeriale, fissa, per ragioni di ordine pubblico attinenti alla esigenza di evitare esodo di capitali, una prescrizione assoluta ed inderogabile, che non attiene soltanto alla fase dell'adempimento del debito, ma investe direttamente la costituzione del rapporto obbligatorio, ponendo quell'autorizzazione come requisito della relativa fattispecie. Ne consegue che l'atto costitutivo di una di dette obbligazioni è affetto, in mancanza di autorizzazione, da nullità insanabile per contrasto con norma imperativa di legge, ai sensi dell'articolo 1418, primo comma, cod. civ., senza che tale conseguenza possa essere elisa dall'abrogazione a far tempo dal 1989 della disposizione citata, atteso che la nuova normativa non incide sulla normativa previgente, limitandosi a prender atto del mutato contesto economico, che non richiede più le restrizioni imposte dalla normativa valutaria a tutela della valuta e dell'economia nazionale, e, quindi, ha lasciato immutata l'efficacia della norma abrogata sugli atti negoziali compiuti sotto la sua vigenza Cass., Sez. III, 10 maggio 2005, numero 9767 Cass., Sez. I, 19 settembre 2006, numero 20261 . Su questa base, la Corte d'appello è giunta alla conclusione, corretta, che la cessione del 2 aprile 1982 si sottrae alla dedotta nullità, giacché la compravendita di azioni è intervenuta con la Intel s.p.a., ossia con una società avente sede del territorio dello Stato, e quindi tra residenti. I ricorrenti contestano questa conclusione, rilevando che la sentenza impugnata non avrebbe evidenziato il collegamento funzionale tra i negozi, nel loro insieme diretti al fine di eludere la norma imperativa valutaria la costituzione della s.p.a. Intel da parte della V. e la intestazione delle azioni a due prestanome la contestuale cessione a mezzo dei fissati bollati delle stesse quote azionarie da parte dei prestanome alla V. la successiva scrittura del 2 aprile 1982 di cessione delle 40.000 azioni della s.p.a. Ciset alla s.p.a. Intel. Non v'è dubbio che la frode alla legge può realizzarsi anche mediante una pluralità di contratti - ciascuno in sé lecito -, quando nella loro particolare combinazione siano diretti a realizzare un risultato concreto elusivo dell'applicazione di una norma imperativa Cass., Sez. III, 13 aprile 1996, numero 3661 Cass., Sez. II, 20 luglio 1999, numero 7740 Cass., Sez. II, 16 settembre 2004, numero 18655 . Sennonché, dalla sentenza impugnata non emergono affatto le circostanze che deporrebbero per un utilizzo del collegamento negoziale in funzione elusiva della normativa valutaria, ed i ricorrenti omettono di riportare, in violazione del principio di autosufficienza dell'impugnazione, il contenuto degli indici probatori in base ai quali quella conclusione, invece, si imporrebbe. Nel ricorso si deduce, bensì, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che la Intel s.p.a. fu indotta a contrarre non perché portatrice di un interesse dei propri apparenti azionisti, ma nell'interesse esclusivo della V. , la quale pose in essere per il mezzo della Intel stessa un contratto che considerato isolatamente poteva considerarsi lecito ma con il patto sottostante tra i soci apparenti della Intel e la V. doveva essere considerato illecito si richiama il contenuto confessorio contenuto nella memoria conclusionale di controparte si rileva che la V. era la beneficiarla del trasferimento delle 40.000 azioni e che la Intel è stata costituita da prestanome dopo che la precedente cessioni in favore del P. amico della V. non andò a buon fine. Pur prospettando, a più riprese, la natura meramente di comodo della costituzione della società Intel, i ricorrenti non indicano tuttavia l'elemento essenziale e decisivo ai fini della configurabilità della frode alla legge vale a dire, la risultanza probatoria che dimostrerebbe la successiva cessione delle azioni dalla s.p.a. Intel alla V. senza la prescritta autorizzazione. 2. - Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 769, 782 e 809 cod. civ., ancora violazione e falsa applicazione degli articolo 1343 e 1418 cod. civ. in relazione all'articolo 2 del decreto-legge numero 476 del 1956, nonché omessa, insufficiente e contrad-dittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione agli articolo 112, 115 e 116 cod. proc. civ. I ricorrenti sostengono che il negozio di compravendita tra il C. e la V. mediato dalla figura della Intel s.p.a. ha comportato il passaggio diretto del pacchetto azionario in capo alla stessa V. . Una volta che la Corte d'appello ha individuato una liberalità nel trasferimento delle 40.000 azioni della s.p.a. Ciset, detta liberalità avrebbe dovuto essere qualificata come donazione diretta, perché le azioni stesse erano state trasferite direttamente e non per il tramite della rimessa della provvista per l'acquisto delle azioni medesime. La compravendita - si sostiene - dissimula una donazione, in quanto nessun pagamento è stato eseguito in favore del C. a fronte del trasferimento delle 40.000 azioni della s.p.a. Ciset e questa circostanza consentirebbe di superare anche l'eventuale qualificazione in termini di negotium mixtum cum donatione, atteso che non vi è stato alcun pagamento, seppure un corrispettivo fosse stato indicato nell'atto simulato. Erroneamente la Corte d'appello, in punto di mancato pagamento del corrispettivo, si sarebbe limitata ad affermare che nemmeno risulta allegato un supposto impegno a non porre all'incasso gli assegni in questione . Secondo i ricorrenti, o ritenere la liberalità del trasferimento delle 40.000 azioni Ciset s.p.a. dal C. alla V. ovvero alla Intel s.p.a., comunque, trattasi di “donazione diretta” e, quindi, nulla per difetto di forma, atteso che la compravendita di titoli azionari del 2 aprile 1982 non è altro che una vendita simulata dissimulante una “donazione diretta . Infine la fattispecie di rinuncia a riscuotere i dividendi già deliberati del 1980 e quella a deliberare i dividendi del 1981 non può qualificarsi donazione indiretta per le medesime ragioni . 2.1. - Il motivo è inammissibile. La Corte del merito ha ritenuto elemento dirimente per il rigetto dell'appello la connotazione onerosa della ridetta cessione non rilevando la circostanza che il pagamento, anziché ad opera della società cessionaria, abbia avuto luogo mediante assegni emessi dalla Ciset , né risulta[ndo] allegato un supposto impegno a non porre all'incasso gli assegni in questione ed ha sottolineato che la piena effettività delle pattuizioni contenute nella scrittura del 2 aprile 1982 bast[a] per escludere in radice l'asserita connotazione simulata dell'accordo . La conclusione alla quale è giunta la Corte territoriale riposa su un apprezzamento delle risultanze di causa, logicamente e congruamente motivato e privo di mende logiche e giuridiche. Il motivo di ricorso, anche là dove denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa, e mira a devolvere a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di fatto, finendo con il fondare la censura su una ricostruzione del contenuto dell'atto di cessione del 2 aprile 1982 diversa da quella operata dal giudice del merito. 3. - Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalle controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 12.200, di cui Euro 12.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.