Nel processo tributario è legittima la sospensione delle sentenze depositate dalla CTR qualora dall’esecuzione possa derivare un danno grave e irrimediabile.
Nel processo tributario è legittima la sospensione delle sentenze depositate dalla CTR qualora dall’esecuzione possa derivare un danno grave e irrimediabile. Al ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni tributarie regionali si applica la disposizione di cui all’articolo 373, comma 1, secondo periodo, c.p.c. giusta la quale «il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione. La specialità della materia tributaria e l’esigenza che sia garantito il regolare pagamento delle imposte impone una rigorosa valutazione dei requisiti del fumus boni iuris dell’istanza cautelare e del periculum in mora». Tale principio è stato statuito dalla recente sentenza numero 2845 del 24 febbraio 2012 della Corte di Cassazione. Il caso. Il Fisco ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento con il quale il giudice tributario d'appello, in applicazione all'articolo 373 c.p.c, aveva disposto la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza dal medesimo giudice pronunciata. Con l'unico motivo di ricorso, il Fisco ha denunciato la violazione del combinato disposto dell'articolo 373 c.p.c. e degli articolo 1, comma 2, 49 e 68 d.lgs. numero 546/1992, evidenziando il carattere abnorme del provvedimento adottato dal giudice tributario in carenza di potere. Il giudice di legittimità, in considerazione della rilevanza della questione di diritto sollevata con il ricorso, concernente l'applicabilità nel processo tributario della disposizione di cui al comma 1 dell'articolo 373 c.p.c, si è espressa in senso positivo, ai sensi dell'articolo 363, comma 3, c.p.c La Cassazione si allinea alla Corte Costituzionale. L’iter logico giuridico adottato dal giudice di legittimità ha evidenziato che alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza costituzionale da ultimo Corte Cost. sent. numero 217/2010 sembra necessario riflettere sulla circostanza che l'articolo 373 c.p.c. è norma specifica per il ricorso per cassazione, rispetto al quale, per quanto riguarda il processo tributario, l'articolo 62, d.lgs. numero 546/1992 stabilisce che «al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal c.p.c. in quanto compatibili con quelle del presente decreto». Sicché la valutazione da fare è se la predetta disposizione sia compatibile con le norme del decreto numero 546/1992, in particolare con l'articolo 49. In questa prospettiva, alcuna incompatibilità può riscontrasi tra la disposizione di cui all'articolo 373. comma 1, secondo periodo, c.p.c. e le disposizioni di cui al d.lgs. numero 546/1992 e in particolare con l'articolo 49, il quale si riferisce all'inapplicabilità della regola generale stabilita con formulazione sostanzialmente identica dall'articolo 335 e dall'articolo 373, comma 1, primo periodo, c.p.c Quella stabilita dall'articolo 373, comma 1, secondo periodo, c.p.c. è una eccezione alla regola generale, ed è una eccezione propria del ricorso per cassazione, come tale applicabile anche per quanto riguarda il ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali, non essendo prevista, in questo caso, alcuna speciale e diversa disciplina per tale ricorso. Si tratta di una interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto di cui agli articolo 49 e 62 d.lgs. 546/1992 e all'articolo 373 c.p.c. perché elimina in radice una possibile discriminazione irragionevole ristabilendo, per quanto riguarda il ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali, la garanzia costituzionale della tutela cautelare, in un senso non difforme da quella che è assicurata rispetto al ricorso per cassazione avverso qualsiasi altra sentenza. È necessario un bilanciamento degli interessi in gioco. Nel caso della materia tributaria si vedono contrapposti, da un lato, l'interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile in conseguenza del pagamento di un tributo, che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e, dall'altro, l'interesse dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze di tutela del bilancio. Tale situazione impone che i requisiti del fumus boni iuris dell'istanza cautelare e il periculum in mora, che possono giustificare l'adozione di un provvedimento di sospensione ex articolo 373. comma 1, secondo periodo, c.p.c., debbano essere valutati con particolare rigore. Ok della Consulta e della Cassazione alla sospensione della sentenza. La sentenza numero 217/2010 della Consulta e la sentenza in commento, numero 2845 del 24 febbraio 2012 della Corte di Cassazione, costituiscono una vera e propria svolta siccome l’articolo 49 del 546 prevede l’inapplicabilità del 337 relativo all’immediata esecutività delle sentenze e, a sua volta, il 337 prevede un’ulteriore eccezione alla regola le norme in tema di sospensione dell’esecuzione delle sentenze, eccezione alla regola dell’immediata esecutività , l’inapplicabilità della regola dell’articolo 337 c.p.c. non comporta necessariamente l’inapplicabilità «anche delle sopraindicate eccezioni alla regola e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità ope iudicis dell’esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione». I citati interventi del giudice di legittimità e della Consulta hanno definitivamente chiarito che la preclusione disposta dall’articolo 49 riguarda solo ed esclusivamente l’articolo 337 del c.p.c. e non anche le norme - eccezioni da esso richiamate, con la conseguenza che è sicuramente applicabile al processo tributario l’inibitoria cautelare di cui all’articolo 373 c.p.c. È recessivo quell’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui, «nel processo tributario è esclusa ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti della efficacia esecutiva della pronuncia di secondo grado, secondo quanto stabilito negli articolo 49 e 68 del d.lgs. numero 546/1992, senza che ciò determini un’ingiustificata lesione del diritto di difesa, in quanto la garanzia costituzionale della tutela cautelare deve ritenersi doverosa, anche alla luce della sentenza numero 165/2000 della Corte costituzionale, solo fino al momento in cui non intervenga una pronuncia di merito che accolga, con efficacia esecutiva, la domanda, rendendo superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari, o al contrario la respinga, negando in tal modo a cognizione piena, la sussistenza del diritto ed il presupposto stesso dell’inibitoria» Cass. numero 21121/2010 cfr. anche numero 7815/2010 .L’applicabilità al processo tributario della sospensione, ex articolo 373 del c.p.c., della sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale non può ormai dividere la giurisprudenza di merito tributaria.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 18 gennaio – 24 febbraio 2012, numero 2845 Presidente Merone – Relatore Botta Svolgimento del processo La controversia concerne [ impugnazione con distinti ricorsi di tre avvisi di accertamento, con i quali, sulla base di una verifica della Guardia di Finanza, venivano operati diversi recuperi di imposta ai fini delle imposte dirette e dell'IVA per le annualità 2000-2002. La Commissione adita, riuniti i ricorsi, li accoglieva parzialmente. Proponevano appello d'Ufficio in via principale e la società contribuente in via incidentale, ciascuno dct i capi ad essi sfavorevoli. Con la sentenza in epigrafe era accolto l'appello principale e rigettato l'appello incidentale. Successivamente, il 15 ottobre 2010. la Commissione Tributaria Regionale, su istanza di parte, adottava un provvedimento di sospensione ex articolo 373 c.p.c. della predetta sentenza. Avverso la sentenza di merito propone ricorso la società contribuente con trentacinque motivi, illustrali anche con memoria. Resiste l'amministrazione con controricorso. Avverso il provvedimento di sospensione della sentenza propone ricorso per cassazione l'amministrazione, ricorso fondato su un unico motivo con il quale si denuncia l'inapplicabilità nel processo tributario delle disposizioni di cui all'articolo 373 c.p.c. e l'adozione del provvedimento cautelare da parte del giudice tributario in carenza di potere. Resiste la società contribuente con controricorso. Motivazione Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi in esame stante la stretta correlazione tra i provvedimenti impugnali con l'uno diretto all'impugnazione della sentenza di merito e con l'altro diretto all'impugnazione del provvedimento di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di merito dei predetti ricorsi, procedendo poi alla valutazione del ricorso proposto avverso la sentenza di merito. Con il primo motivo di tale ricorso, la società ricorrente lamenta un vizio di motivazione consistito nella mancata esposizione del percorso logico giuridico seguito dal giudice di mento per pervenire alla decisione adottatali motivo non è fondato, in quanto occorre, ai tini di giudicare la sufficienza della motivazione, una lettura integrale ed integrata della sentenza, dalla quale emerge un analitico esame dei motivi in fatto e in diritto allegati dalle parti, in un prisma di considerazioni valutative che non si limitano ad una mera esposizione esterna della narrazione fatta dalle parti nei rispettivi scritti, ma approfondisce le ragioni per le quali la sentenza di prime cure non regge ad un vaglio critico della decisione. Con il secondo, terzo, quarto e quinto e quinto bis, essendo esposti due motivi con lo stesso numero 5 motivo di ricorso, la società ricorrente contesta, sono vari profili di violazione di legge e vizio di motivazione, la decisione impugnata relativamente alla contestazione erariale di omessa contabilizzazione di ricavi su differenze di inventario. Si tratta di censure, che, sebbene sotto molli aspetti carenti alla luce del principio di autosufficienza, sono comunque infondate, avuto riguardo alla ratio deciderne che sul punto caratterizza la sentenza impugnala e che si sostanzia nella ritenuta inidoneità dei rilievi della società contribuente diretti a superare, con ipotesi giustificative prive di supporto specifico e adeguato supporto documentale, un meccanismo probatorio a carattere vincolato, come è quello stabilito dall'articolo 53. D.P.R. numero 633 del 1972 considerazioni, queste, che pongono la decisione impugnata in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha ripetutamente affermato il principio secondo cui in tema di IVA, le presunzioni di cessione e d'acquisto, poste dal D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 53 e dall'articolo 2, l. numero 441 del 1997 , sono presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle cosiddette miste , che consentono, cioè, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, ma unicamente entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova ivi prefigurati e stabiliti ad evidenti tini antielusivi v. Cass. numero 16483 del 2006, che efficacemente riassume l’orientamento della Corte, ricordando come questo concerna anche la circostanza che la presunzione introdotta dalla ricordata norma in materia di IVA, per l'unitarietà dell'ordinamento tributario, non può non avere rilievo quale fondamento dell'esistenza di fatti rilevanti anche in ordine all'accertamento delle imposte dirette . Con il sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso, la società contribuente contesta, sotto vari profili di violazione di legge e vizio di motivazione, la decisione impugnata relativamente alla contestazione erariale pertinente all'imputazione per competenza delle indennità corrisposte agli agenti. Si tratta di censure, che, sebbene sotto molti aspetti carenti alla luce del principio di autosufficienza in particolare per quel che concerne la denunciata errata interpretazione delle clausole contrattuali, rispetto alle quali la ricorrente meramente propone una prevalenza della propria interpretazione su quella suppostamele ritenuta dal giudice di merito , sono comunque infondate, avuto riguardo alla ratio decidendi che sul punto caratterizza la sentenza impugnata e che si sostanzia nella ritenuta rilevanza della clausola dello star del credere alla quale ha ricondotto il condizionamento dell'imputazione della provvigione all'avvenuta esecuzione del contratto si tratta di una decisione in linea con l'orientamento espresso da questa Corte di legittimità, secondo cui ^in tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, anche dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 15 febbraio 1999, numero 65 che ha modificato, in attuazione delta direttiva comunitaria 13 dicembre 1986, numero 635, Fari, 1748 cod. civ., per determinare il momento in cui le provvigioni dell'agente possono essere dedotte come costi bisogna far sempre riferimento all'articolo 75. comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, numero 917, con la conseguenza che esse sono deducibili nell'esercizio corrispondente al momento in cui il contratto promosso dall'agente è eseguito o avrebbe dovuto essere eseguito» Cass. n, 9539 del 2011 , tanto più in presenza di una clausola dello 'star del credere . Infatti, secondo [ orientamento di questa Corte, la norma di cui all'articolo 75, comma secondo, del d.p.r. 22 dicembre 1986, numero 917 «esclude la deducibilità di provvigioni non ancora certe e determinate nella loro debenza e nel loro ammontare, in quanto contrattualmente condizionate al buon fine delle prestazioni, non ricorrendo, fino al momento in cui dette prestazioni non siano ultimate effettivamente, il requisito della certezza, normativamente prescritto ai fini dell'imputabilità ai costi di esercizio» Cass. numero 23361 del 2006 . Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo, la società contribuente contesta, sotto vari profili di violazione di legge e vizio di motivazione, la decisione impugnata relativamente alla contestazione erariale pertinente al ed. transfer pricing. Le censure, per le quali sono riproponibili le osservazioni di non coerenza con il principio di autosufficienza già in precedenza sviluppate con riferimento ad altri motivi, non sono fondate, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, per quanto concerne le questioni relative alla determinazione del valore normale . La società ricorrente, infatti, non offre alcuna prova concreta delle supposte differenze dei parametri di riferimento che giustificherebbero le rilevate differenze nei prezzi praticate alle società estere del gruppo. Le critiche sono, altrettanto infondate, per quanto dedotto nell'undicesimo e dodicesimo motivo circa l'onere della prova a carico dell'amministrazione del carattere antielusivo dell'operazione e cioè l'esistenza di un livello di tassazione più vantaggioso di quello italiano nei paesi net quali erano localizzate le società estere controllate si tratta, infatti, di questione nuova che non risulta prima dedotta nel giudizio, stante sul punto un vizio di autosufficienza del ricorso, per mancata illustrazione e trascrizione nel ricorso dei passi degli scritti difensivi nei gradi di merito nei quali una siffatta eccezione sia stata sollevata dalla società contribuente. Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo motivo, la società contribuente censura, sotto vari profili di violazione di legge e vizio di motivazione, la decisione impugnata relativamente alla contestazione erariale pertinente all'omessa contabilizzazione e dichiarazione di ricavi per presunti interessi attivi. Le censure sono infondate. Esse sono caratterizzate da un'intima contraddizione, argomentando, da un lato, che dai contratti emergerebbe pacificamente la natura infruttifera dei finanziamenti pur non riportando le clausole dalle quali tanto sarebbe deducibile nel ricorso, che tanto più necessario sarebbe stato in ragione del fatto che nella sentenza impugnata si rileva una presunta assenza di contestazioni in merito alla qualificazione fruttifera dei finanziamenti in parola e, dall'altro, l'esistenza di presuntamente comprovate giustificazioni economiche di prestiti a titolo gratuito infragruppo. Inoltre, le stesse censure non argomentano, tuttavia, un'adeguata critica di quanto affermato nella sentenza impugnata circa il fatto che dalla «documentazione esaminata» emergerebbe in modo palese la «natura di tali finanziamenti appostati in bilancio tra i crediti verso imprese controllate ed assoggettali ad un vincolo resti tutorio con obblighi di restituzione a scadenze prestabilite, prorogabili e spesso di fatto prorogate». Quanto al presunto tasso di interesse che sarebbe stato applicato dai verificatori, al quale nessun riferimento è fatto nella sentenza impugnata, deve rilevarsi, da un lato, la mancata deduzione di una censura di ' omessa pronuncia ex articolo 112 c.p.c. e, dall'altro, il fatto che le argomentazioni sviluppate nel ricorso concernono un'inammissibile questione di rivalutazione del merito, senza che nemmeno sia indicato da parte ricorrente quale fosse il tasso congruo o il tasso applicabile nel caso di specie. Con il diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo motivo, la società contribuente critica, sotto vari profili di violazione di legge e vizio di motivazione, la decisione impugnata relativamente alla contestazione erariale pertinente alla ritenuta indebita deduzione derivante dalla svalutazione di una partecipazione per l'annualità 2000. Le censure non sono fondate in relazione alla ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale si sostanzia nella incontrovertibile decisività che il criterio del costo specifico risulta dalla nota integrativa del consiglio di amministrazione della società ricorrente al bilancio relativo all'annualità in contestazione, convalidalo dal collegio sindacale e dalla società di revisione affermazione alla quale la società contribuente oppone la sorprendente argomentazione che la noia integrativa sarebbe dovuta ad un ' refuso . Quanto all'eccezione relativa alla supposta mancata applicazione del principio di continuità dei valori in bilancio , per cui le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell'esercizio successivo e le reciproche variazioni concorrono a formare il reddito d'esercizio, si tratta di questione nuova, che non emerge dalla sentenza impugnata e rispetto alla quale non si lamenta una omessa pronuncia ex articolo 112 c.p.c., peraltro in assenza di una censura adeguata al principio di autosufficienza del ricorso. Con il ventunesimo motivo, la società ricorrente lamenta vizio di motivazione in ordine alla contestazione erariale pertinente alla deduzione dei costi non di competenza per “trasporti vendite Italia” , La censura è inammissibile e infondata in quanto estranea alla ratio decidendi consistente nella determinazione della competenza di imputazione dei costi in base alla data di ultimazione della prestazione, questione che non è oggetto del motivo in esame, nel quale si deduce una obiezione circa la corrispondenza dell'importo dei costi recuperati e con l'importo delle fatture contestate. Con il ventiduesimo motivo, la società ricorrente lamenta vizio di motivazione in ordine alla contestazione erariale pertinente alla deduzione dei costi non di competenza e non inerenti per Fiere, Mostre e convention si tratta di un recupero relativo a spese erroneamente trattate come spese di pubblicità e non come spese di rappresentanza. La censura è inammissibile e infondata in quanto estranea alla ratio decidendo consistente nella ritenuto inammissibilità dell'appello incidentale ai sensi dell'articolo 53 D.lg. numero 546 del 1992, trattandosi di recupero riconosciuto legittimo dalla sentenza di prime cure e sul punto nessuna adeguata critica è contenuta nel motivo in esame. Peraltro le spese di cui trattasi sono funzionali all'organizzazione di convegni, o meeting, come preferisce definirli parte ricorrente, di operatori del settore e, in quanto spese di vitto e alloggio dei partecipanti agli incontri, non costituiscono spese necessarie per l'attività propagandistica o di incentivazione del prodotto ossia spese di pubblicità , bensì spese dirette ad accrescere il prestigio della società organizzatrice ossia spese di rappresentanza . Con il ventitreesimo, ventiquattresimo e venticinquesimo motivo, la società contribuente contesta, sorto vari profili di violazione di legge e vizio di motivazione, la decisione impugnata relativamente alla contestazione erariale pertinente alla deduzione di costi non di competenza e non inerenti per 'Pubblicità, propaganda e promozione , che concernono tre fatture. Le censure sono inammissibili e comunque infondate in quanto estranee alla ratio decidendi, che si sostanzia nel ritenuto giudicato sul recupero relativo alla prima fattura, perché non specificamente appellato, e nella ritenuta L'inammissibilità dell'appello relativamente alla terza fattura ai sensi dell'articolo 5.3 D.l.gs. numero 546 del 1992, mentre per quanto riguarda la seconda fattura la decisione ha riguardo alla documentazione in atti dalla quale emergerebbe che il costo in questione non sarebbe qualificabile come sopravvenienza passiva. Su tali punti, che peraltro costituiscono nella sostanza questioni inerenti air accertamento di merito, nessuna adeguata critica risulta sviluppata nel ricorso. Con il ventiseiesimo motivo, la società contribuente censura, sotto il profilo della violazione di legge, la decisione adottata dal giudice d'appello in ordine alla contestazione erariale pertinente alta deduzione di costi non di competenza per Manutenzioni e riparazioni su beni mobili . La censura e inammissibile in quanto denuncia come violazione di legge quello che invece emerge dalla sentenza impugnata come un accertamento di fatto su base documentale dell'ultimazione dei lavori di manutenzione nell'anno 1999, senza che parte ricorrente, anche in ossequio al principio di autosufficienza, formuli un'adeguata critica in punto di motivazione che possa superare 'altrimenti inammissibile revisione del merito. Con il ventisettesimo motivo, la società contribuente censura, sono il profilo della violazione di legge, la decisione adottata dal giudice d'appello in ordine alla contestazione erariale pertinente all'omessa applicazione dell'ÌVA in violazione dell'articolo 8, comma I. DPR. a 633 del 1972. Il motivo non è fondato. Il rilievo che, nell'ottica della ricorrente, assumerebbe carattere di decisività circa il fatto che la merce in questione sarebbe stata comunque esportata non vale a contestare adeguatamente la decisione adottata dal giudice d'appello, che risulta fondata su un supposto definitivo passaggio della merce tra cedente nazionale e cessionario nazionale. Se è vero che l'esenzione per operazioni triangolari non presuppone necessariamente che vi sia La prova che il trasporto al di fuori de! territorio della Comunità sia avvenuto a cura e nome del cedente, è altrettanto vero che non può considerarsi triangolare un'operazione nella quale la merce sia trasferita dal cedente nazionale al cessionario nazionale il quale poi autonomamente decida l'esportazione della merce ricevuta. Come ha affermato la più recenti te giurisprudenza di questa Corte, «ciò che è essenziale per configurare una triangolazione esente da IVA non è che vi sia la prova che il trasporto all'estero sia avvenuto a cura e nome del cedente, quanto piuttosto che vi sia la prova il cui onere grava sul contribuente che l'operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all'estero, nel senso che tale destinazione sia riferibile alla comune volontà degli originari contraenti» Cass. numero 13951 del 2011, in motivazione . Che nel caso di specie, vi fosse sin dall'origine un siffatto accordo contrattuale che consentisse di riferire la destinazione al cessionario estero alla comune volontà degli o-riginari contraenti, non solo non è provato, ma nemmeno è dedotto. Con il ventottesimo, ventinovesimo e trentesimo motivo, la società contribuente censura, sotto il profilo della violazione di legge, la decisione adottata dal giudice d'appello in ordine alla contestazione erariale pertinente all'indebita detrazione dell'IVA relativa a spese per mostre e fiere. Le censure non sono fondate. Si tratta di prestazioni relative a beni mobili e a servizi che non sono state eseguite nel territorio dello Stato italiano, ma riguardano l'allestimento di uno stand fieristico in Germania, e si considerano escluse dall'IVA in virtù delle deroghe espressamente previste dall'articolo 7, comma 4, D.P.R. numero 633 del 1972. Quanto al trasporto non è evidenziala da parte ricorrente alcuna prova circa il tracciato del percorso e il calcolo della proporzione del medesimo nel territorio dello Stato. Con il trentunesimo e trentaduesimo motivo, la società contribuente critica, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la decisione adottata dal giudice d'appello in ordine alla contestazione erariale pertinente all'omessa regolarizzazione dell'IVA relativa a notule ricevute. Le censure non sono fondate. Si tratta di recupero ritenuto legittimo dal giudice di prime cure e appellato in via incidentale dalla società contribuente con impugnazione ritenuta inammissibile ex articolo 53 D.lg. numero 546 del 1992 dal giudice d'appello, senza che sul punto alcuna adeguata censura sia articolata nel ricorso, salvo che per la mancata prova della autonoma organizzazione dei prestatori. In merito, tuttavia, il giudice d'appello ha accertato in fatto che «dalla documentazione in atti risulta nel caso di specie che le prestazioni in oggetto sono state realizzate con l'organizzazione di mezzi e strumenti e quindi non in assenza di mezzi organizzati che la legge richiede per la qualifica di collaborazione coordinata» sul punto nessuna a-deguata critica è argomentata nel ricorso, nemmeno sotto il profilo dell'autosufficienza, riportando nel ricorso medesimo la eventuale clausola contrattuale che smentisca le conclusioni in tatto raggiunte dal giudice del merito. Con il trentatreesimo motivo, la società contribuente censura, sotto il profilo del vizio di motivazione, la decisione adottala dal giudice d'appello in ordine alla contestazione erariale pertinente all'erronea de tenni nazione dell'imponibile IRPEG soggetta ad aliquota ridotta ai fini DIT. Il motivo non è fondato. Risulta accertato in fatto dal giudice di merito la configurabilità, nel caso di specie, del controllo esterno di una società su di un'altra, quale disciplinata dal primo comma, numero 3. dell'articolo 2359 cod. civ., nella formulazione risultante a seguito della modifica apportata dal D.l.gs. numero 127 del 1991 e consistente nella influenza dominante che la controllante esercita sulla controllata in virtù di particolari vincoli contrattuali tale fattispecie di controllo, che deve ritenersi considerata dalla disciplina della Dual Income Tax in virtù del rinvio all'articolo 2359 ce, postula la esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentano la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata. L'accertamento della esistenza di tali rapporti costituisce indagine di fatto, rimessa, come tale, all'apprezzamento del giudice del merito e sindacabile in sede di legittimità solo per aspetti di contraddizione in tema all'iter logico formale della decisione, ovvero per omissione di esame di clementi determinanti per la decisione stessa v. Cass. numero 12094 del 2001 . che nel ricorso in esame non sono dedotti, limitandosi la ricorrente a contestare l'esistenza di una partecipazione di controllo fattispecie considerata dall'articolo 2359. comma 1, numero I, ce , quando la sentenza impugnata fa chiaramente riferimento alla fattispecie di cui all'articolo 2559. comma 1, numero 3, ce. Con il trentaquattresimo motivo, la società contribuente censura, sotto il profilo della violazione di legge, la decisione adottata dal giudice d'appello in ordine alla contestazione erariale pertinente al mancato perfezionamento di una cessione all'esportazione segnalazione della Dogana di Como . !! motivo non è fondato. Dalla sentenza impugnata risulta accertato in fatto che l'avviso di accertamento non è stato motivato per relationem, come sostiene la società contribuente, ma nel medesimo avviso ò stato riprodotto il contenuto dell'atto presupposto non noti 11 calo alla contribuente stessa. Il motivo non e autosufficiente perché nonostante neghi, in contraddizione con quanto emerge dalla sentenza, la mancata riproduzione nell'avviso dell'atto presupposto, tuttavia non riporta nel ricorso stesso il contenuto concreto dell'avviso di accertamento sul punto. Con il trentacinquesimo motivo, la società contribuente censura, sotto il profilo della violazione di legge, la decisione adottata dal giudice d'appello in ordine alla irrogazione delle sanzioni. Il motivo non è fondato. Già il fatto che l'eccezione sia rivolta nei confronti di tutti i diversi rilievi posti a base dell'accertamento impugnato, rende l'eccezione stessa viziata per genericità, come peraltro puntualmente rileva il giudice del merito. Inoltre non è spiegata la sostanza dell'obiettiva incertezza normativa con riferimento a ciascuna delle norme che si vorrebbero affette da tale vizio, alla luce dell'orientamento di questa Corte, secondo cui tale incertezza «deve ritenersi sussistente quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l'equivocità del loro contenuto, derivante da elementi politivi di confusione ? Cass. numero 22X90 del 2006 . Non solo. Manca anche «l'indicazione da parte del ricorrente dei procedimenti d'interpretazione normativa adottati e delle norme contrastanti che ne hanno costituito i risultati» v. Cass. numero 19638 del 2009 e nemmeno risulta sia tenuto nel debito conto quanto affermato da questa Corte, secondo la quale «l'incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull'oggetto e sui destinatari della nonna tributaria, ovverosia l'insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d'interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale , e tanto meno all'Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione» v. Cass, numero 24670 del 2007 . Pertanto il ricorso avverso la sentenza di merito deve essere rigettato. Può essere esaminato, quindi, il ricorso proposto dall'amministrazione avverso il provvedimento con il quale il giudice tributario d'appello, in applicazione all'articolo 373 c.p.c, aveva disposto la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza dal medesimo giudice pronunciata. Con l'unico motivo di ricordo l'amministrazione denuncia la viola/ione del combinato disposto dell'articolo 373 c.p.c. e degli articolo 1, comma 2, 49 e 68 D.Lgs. il 546 dei 1992. evidenziando il carattere abnorme del provvedimento adottato dal giudice tributario in carenza di potere. E' evidente che. una volta rigettato il ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito, che aveva costituito la ragione fondante del provvedimento di sospensione, il ricorso avverso quest'ultimo provvedimento non sia più sorretto da interesse e ne vada dichiarata conseguentemente l'inammissibilità. E', tuttavia, opinione del collegio che la rilevanza della questione di diritto sollevata con il ricorso, e concernente l'applicabilità nel processo tributario della disposizione di cui al comma 1 dell'articolo 373 c.p.c, imponga comunque una pronuncia sulla questione medesima ai sensi dell'articolo 363, comma 3, c.p.c. In ordine alla soluzione del problema dell'applicabilità nel processo tributario delle disposizioni di cui all'articolo 373 c.p.c, si presenta utile il rinvio a quanto accennato dalla Corte costituzionale in proposito. 11 giudice delle leggi, nell'escludere il denunciato vizio di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli arti. 47 e 49, D.Lgs, numero 546 del 1992. ha stabilito che «la garanzia costituzionale della tutela cautelare debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga - con efficacia esecutiva - la domanda, rendendo superflua l'adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza del diritto e dunque il presupposto stesso della invocala tutela. Con la conseguenza che la previsione di mezzi di tutela cautelare nelle fasi di giudizio successive a siffatta pronuncia, in favore della parte soccombente nei merito, deve ritenersi rimessa alla discrezionalità del legislatore». Sicché deve «escludersi che le norme denunciate siano in contrasto con l'articolo 24 Cosi., nella parte in cui non consentono alla commissione tributaria regionale, in caso di rigetto totale o parziale del ricorso de! contribuente, l'adozione di misure cautelari intese ad impedire, in pendenza del ricorso per cassazione o del ricorso alla commissione tributaria centrale, l'esecuzione della pretesa tributaria oggetto del giudizio, nei limiti fissati dalla sentenza impugnata». Né può ritenersi sussistente la asserita disparità di trattamento tra te controversie in materia di imposte e lasse devolute alla cognizione del giudice ordinario, nelle quali sarebbe possibile sospendere, ai sensi dell'articolo 373 del codice di procedura civile, l'esecuzione della sentenza d'appello in pendenza del ricorso per cassazione, e le controversie, nelle stesse materie, attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie, per le quali tale possibilità di sospensione non è prevista. La censita, investendo la differente latitudine dei poteri del giti-dice nel processo civile e nel processo tributario, si pone in aperta contraddizione con la giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente escluso l'esistenza di un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità tra i vari tipi di processo». In conclusione, ha affermino il giudice delle leggi, «da scelta di non estendere la tutela cautelare, nel processo tributario, ai gradi di giudizio successivi al primo appare, anche con riferimento al parametro di cui all'ari. 3 della Costituzione, legittimo esercizio di discrezionalità legislativa e si sottrae, perciò stesso, alla censura di incostituzionalità» così Corte così. seni. numero 165 del 2000 . Queste conclusioni sono state successivamente confermate dalla stessa Corte costituzionale con le ordinanze 19 giugno 2000, numero 217. 27 luglio 2001, n 325, 3 luglio 2002, numero 310, e infine con l'ordinanza 5 aprile 2007 numero 119, la quale, tuttavia, concernendo l'ipotesi della sospensione in pendenza di appello, ha affermato che. nel caso di specie, «oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l'impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado». In un più recente intervento, la Corte costituzionale, occupandosi ancora una volta della sospettata illegittimità costituzionale dell'articolo 49, D.Lgs. ti. 546 del 1992 in ragione della ritenuta inapplicabilità dell'articolo 373 c.p.c. nel processo tributario, ha dichiarato inammissibile la questione per tre ordini di ragioni, la prima delle quali per non aver il rimettente esperito, nonostante la mancanza di un diritto vivente sul punto, «alcun tentativo di interpretare la disposizione censurata nel senso che essa consenta l'applicazione al processo tributario della sospensione cautelare prevista dall'articolo 373 c.p.c, con conseguente insussistenza del prospettato contrasto con gli evocati parametri costituzionali» Corte cost. seni. 17 giugno 2010, numero 217 . Il giudice a quo, rileva il giudice delle leggi, smuove da due premesse interpretative una, esplicita, per la quale la denunciata disposizione vieta espressamente l'applicazione, nel processo tributano, della sospensione cautelare di cui al citalo articolo 373 c.p.c. l'altra, implicita, per la quale, ove si potesse prescindere dal denunciato comma 1 dell'articolo 49 del d.lgs. numero 546 del 1992, la menzionata sospensione cautelare sarebbe pienamente compatibile con la complessiva disciplina del processo tributario. La prima di tale premesse, tuttavia, non è argomentata in alcun modo dal giudice rimettente, il quale, al riguardo, si limita a richiamare genericamente la giurisprudenza assolutamente prevalente ' e ad affermare, altrettanto genericamente, che tale interpretazione della disposizione censurata deriverebbe, secondo una fedele applicazione delle regole ermeneutiche ', dal divieto di estendere al processo tributario l'articolo 337 c.p.c,, il quale richiama, appunto, l'articolo 373 dello stesso codice. Il rimettente, pertanto, omette di valutare se la disposizione denunciata sia interpretabile diversamente. Non tiene conto, infatti, che a non v'è, in proposito, alcuna pronuncia della Corte di Cassazione, ma solo contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito, che non assurgono a diritto vivente b il contenuto normativo dell'articolo 337 c.p.c. inapplicabile al processo tributario, per l'espresso disposto della norma censurata è costituito da una regola L'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione di essa e da una eccezione alla stessa regola salve le disposizioni degli arti. [ ] 373 [ ] e l'articolo 373 consta anch'esso, al primo comma, di una regola primo periodo Il ricorso per cassazione non sospende l'esecuzione della sentenza7' e di una ecce/ione secondo periodo Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione d l'inapplicabilità al processo tributario - in forza della disposizione censurata - della regola, sostanzialmente identica, contenuta nell'articolo 337 c.p.c. e nel primo periodo del primo comma dell'articolo 373 dello stesso codice, non comporta necessariamente l'inapplicabilità al processo tributario anche delle sopraindicate eccezioni alla regola e, quindi, non esclude di per sé la sospendibilità ape iudicis dell'esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione. Da tale possibile interpretazione, alternativa a quella immotivatamente adottata dal rimettente, conseguirebbe che il comma I dell'articolo 49 del d.lgs. numero 546 del 1992 non costituisce ostacolo normativo ad applicare al processo tributario l'inibitoria cautelare di cui all'articolo 373 c.p.c. e che, pertanto - nella stessa prospettiva del giudice a quo, il quale ritiene l'articolo 373 c.p.c. astrattamente compatibile con il processo tributario -, la sollevata questione sarebbe irrilevante. 11 mancato tentativo di una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione denunciata si risolve, dunque, nella carenza di motivazione sulla rilevanza della questione e nella conseguente inammissibilità della questione medesima» Corte cost. sent. numero 217 del 2010 . Alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza costituzionale sembra necessario riflettere sulla circostanza che l'articolo 373 c.p.c. è norma specifica per il ricorso per cassazione, rispetto al quale, per quanto riguarda il processo tributario, l'articolo 62, D.Lgs. numero 546 del 1992 stabilisce che «al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal c.p.c. in quanto compatibili con quelle del presente decreto». Sicché la valutazione da fare è se la predetta disposizione sia compatibile con le norme del decreto numero 546 del 1992, in particolare con l'articolo 49. In questa prospettiva, alcuna incompatibilità può riscontrasi tra la disposizione di cui all'articolo 373. comma l. secondo periodo, c.p.c. e le disposizioni di cui al D.Lgs. numero 546 del 1992 e in particolare con l'articolo 49. il quale si riferisce all'inapplicabilità della regola generale stabilita con formulazione sostanzialmente identica dall'articolo 335 e dall'articolo 373, comma 1, primo periodo, c.p.c. Quella stabilita dall'articolo 37.3, comma 1, secondo periodo, c.p.c. è una eccezione alla regola generale stabilita del primo periodo dello stesso comma ed è una eccezione propria del ricorso per cassazione, come tale applicabile anche per quanto riguarda il ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali, non essendo prevista, in questo caso, alcuna speciale e diversa disciplina per il ricorso per cassazione. |'i tratta di una interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto di cui agli articolo 49 e 62 D.Lgs. 546 del 1992 e all'articolo 373 c.p.c. perché elimina in radice una possibile discriminazione irragionevole ristabilendo, per quanto riguarda il ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali la garanzia costituzionale della tutela cautelare, in un senso non difforme da quella che è assicurata rispetto a! ricorso per cassazione avverso qualsiasi altra sentenza. Tuttavia, non può sfuggire all'interprete quali siano le inderogabili esigenze di un necessario bilanciamento degli interessi in gioco, che nel caso della materia tributaria vedono contrapposti, da un lato, l'interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile in conseguenza del pagamento di un tributo, che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e, dall'altro, l'interesse dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze di tutela del bilancio. Tale situazione impone che i requisiti del fumus boni iuris dell'istanza cautelare e il periculum in mora, che possono giustificare l'adozione di un provvedimento di sospensione ex articolo 373. comma 1, secondo periodo, c.p.c., debbano essere valutati con particolare rigore. Sicché deve essere pronunciato il seguente principio di diritto «Al ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali si applica la disposizione di cui all'articolo 373. comma l, secondo periodo, c.p.c. giusta la quale ''il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può. su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione . La specialità della materia tributaria e l'esigenza che sia garantito il regolare pagamento delle imposte impone una rigorosa valutazione dei requisiti del fumus boni iuris dell'istanza cautelare e del periculum in mora.» Pertanto deve essere rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito e va dichiarato inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di sospensione dell'efficacia esecutiva della predetta sentenza. La particolarità della vicenda e la sostanziale novità delle questioni giustificano la compensazione delle spese della presente fase del giudizio. P.Q.M. Riunisce al ricorso RG. 20805/10 il ricorso RG. 217/11. Rigetta il primo e dichiara inammissibile il secondo. Compensa le spese.