Nodo della vicenda è il rischio di persecuzioni per lo straniero, di dichiarata fede cristiana copta, minoranza nella terra d’origine. E di questo pericolo bisogna tener conto non solo se esso è legato a scelte normative o di fatto dello Stato.
Caos sociale e politico, con conflittualità religiose sanguinose ed evidenti, tanto da essere riportate quotidianamente dai media . Di fronte a questo quadro, pur non legato a precise scelte normative, è doveroso un approfondimento, prima di decidere sulla estradizione dello straniero – un egiziano – e sul ritorno nel Paese d’origine, laddove è plausibile il rischio di persecuzioni a sfondo religioso Cassazione, sentenza numero 10905/2013, Sesta Sezione Penale, depositata oggi . Biglietto di ritorno. Nessun dubbio, però, è plausibile, secondo i giudici di Appello, sull’estradizione del cittadino egiziano, destinato a ritornare nella terra d’origine per «l’esecuzione di condanna definitiva alla pena detentiva di tre anni per riciclaggio e truffa». Ciò nonostante la sottolineatura, da parte dell’uomo, della propria fede religiosa – cristiana copta – e dei connessi rischi, evidenti alla luce della «situazione di fatto dello Stato egiziano, quale riferita da pronunciamenti istituzionali europei e da autorevoli organizzazioni non governative» e testimoniati da «atti discriminatori e persecutori nei confronti della minoranza copta, come comprovato dalle stragi di fedeli copti». Dirimente, a questo proposito, secondo i giudici, un fatto «l’estradando non» ha «fornito alcun elemento di una scelta normativa o istituzionale, nello Stato, a sostegno dell’assunto del pericolo concreto di sottoposizione ad atti di persecuzione o discriminazione in relazione alla documentata confessione religiosa cristiana copta». E tale lacuna è, sempre secondo i giudici, fondamentale perché «il divieto di estradizione per il rischio di soggezione ad atti di persecuzione o discriminazione per ragioni religiose opera solo quando tale rischio sia riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato, a prescindere da contingenze estranee a orientamenti istituzionali». Realtà cristallina. A ribaltare tale prospettiva provvedono, ora, i giudici della Cassazione, i quali, accogliendo il ricorso del cittadino egiziano a rischio estradizione, si trovano ad affrontare una realtà complessa – quella egiziana, appunto – e assolutamente attuale, come riportano i media , con tutti i possibili riverberi Rispetto a tale situazione – considerata notoria dai giudici –, viene evidenziata la carenza della Corte d’Appello per il mancato approfondimento della vicenda. Più precisamente, viene sottolineato che i giudici milanesi hanno «dato atto, quale contesto appartenente al notorio» della «presenza in atto di vicende, qualificate politico-istituzionali e pertanto direttamente afferenti la condotta e l’orientamento di momenti istituzionali pubblici , definite convulse», ma poi non hanno approfondito «il dato contestuale per verificare se questo, proprio in relazione all’appartenenza dell’estradando a minoranza religiosa oggetto di attacchi e violenze non controllate, non controllabili, o addirittura agevolate, da parte delle istituzioni o di sue articolazioni, potesse avere un immediato, almeno seriamente verosimile, riverbero sulla futura espiazione di pena» del cittadino egiziano. E tale mancato approfondimento è ancor più grave considerando la realtà della delicata «situazione in Egitto, in particolare per quanto riguarda le comunità cristiane», anche alla luce della «incapacità delle autorità di affrontare la crisi in modo coraggioso», delle «leggi di emergenza che violano il diritto a un processo equo», infine dell’«uso sproporzionato della forza da parte dell’esercito». Necessario, quindi, un parere specifico dei giudici sul «contesto attuale» e sulle «condizioni, giuridiche prima che politiche» del Paese di origine dello straniero. Solo dopo questo approfondimento – ecco spiegata la decisione di rimettere la questione nuovamente ai giudici di Appello – sarà possibile prendere una decisione sull’estradizione
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 – 7 marzo 2013, numero 10905 Presidente Garribba – Relatore Citterio Considerato in fatto 1. Avverso la sentenza con la quale in data 4-11.12.12 la Corte d’appello di Milano ha dichiarato sussistenti le condizioni per l’estradizione del cittadino egiziano B.M.M. alla Repubblica Araba d’Egitto, per l’esecuzione di condanna definitiva alla pena detentiva di tre anni per riciclaggio e truffa, ricorre personalmente l’estradando, enunciando unico articolato motivo di vizi alternativi della motivazione ed erronea applicazione degli articolo 705 lett. C c.p.p., 698.1 c.p.p. e 14 Cedu. 2. Lamenta il ricorrente che, sul dedotto punto della discriminazione per motivi religiosi, di fatto la Corte ambrosiana avrebbe demandato l’apprezzamento propriamente giurisdizionale all’autorità politico amministrativa, in quanto le ‘convulse vicende politiche istituzionali’ riconosciute dalla stessa Corte distrettuale non potrebbero essere ignorate nella sede giurisdizionale solo perché non concretantisi in specifiche scelte normative, rilevando invece anche quali scelte di fatto dello Stato richiedente. Nel caso di specie, documentata la religione copta dell’estradando, sia i contenuti della nuova Costituzione egiziana che la oggettiva attuale situazione di fatto dello Stato egiziano, quale riferita da pronunciamenti istituzionali europei e da autorevoli organizzazioni non governative, configurerebbero una condizione di atti discriminatori e persecutori nei confronti della minoranza copta, come comprovato dalle recenti stragi di fedeli copti. L’estradando segnata in particolare la Risoluzione del parlamento europeo 24.10.11 sulla situazione in Egitto e Siria, in particolare delle comunità cristiane un articolo di quotidiano nazionale in data 15.12.12 dove il tema è specificamente trattato vari conformi interventi di responsabili di Associazioni internazionali con specifico commento al contenuto della Costituzione egiziana ed all’impossibilità normativa interna di rispettare gli impegni internazionali. Vi è altresì richiesta di differimento della decisione all’esito del procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, ancorché questo sia stato promosso solo dopo l’arresto del B. Con successiva memoria è stata prodotta consulenza sulle attuali condizioni di salute dell’estradando, quale ragione ulteriore di incompatibilità con la sua consegna. Ragioni della decisione 3. Il ricorso è fondato, nei termini che seguono. 3.1. La Corte d’appello ha argomentato che l’estradando non aveva fornito alcun elemento di una scelta normativa o istituzionale, nello Stato richiedente, a sostegno dell’assunto del pericolo concreto di sottoposizione ad atti di persecuzione o discriminazione in relazione alla documentata confessione religiosa cristiana copta, richiamando l’insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo cui il divieto di estradizione per il rischio di soggezione ad atti di persecuzione o discriminazione per ragioni religiose articolo 705.2 c.p.p. opera solo quando tale rischio sia riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee a orientamenti istituzionali, perché non rilevano situazioni rispetto alle quali sia comunque possibile una tutela legale Sez. 2, sent. 26588/2011 . Per contro, secondo il Giudice milanese le “convulse” vicende politico istituzionali coinvolgenti, “in questi giorni”, la Repubblica Araba d’Egitto avrebbero potuto essere valutate in sede di determinazione politico amministrativa sulla successiva concreta emissione del decreto di estradizione, trattandosi di apprezzamento che involge “anche” considerazioni di natura politica. 3.2. Osserva questa Corte suprema che la giurisprudenza richiamata deve essere apprezzata, per coglierne l’effettiva valenza, con il richiamo al precedente specifico dal quale la sentenza 26588/11 prende spunto, reiterandone parte del principio di diritto massimato la sentenza Sez. 6, 3702/1999. Questa ha chiarito che ciò che non rileva sono i possibili atti di violenza ad opera di persone estranee agli apparati istituzionali, che agiscano di propria iniziativa per motivi di privata vendetta o di altro genere. E la ragione della ritenuta irrilevanza di tale peculiare tipo di rischio o pericolo, rispetto alla previsione dell’articolo 705.2 c.p.p., è stata indicata dalla sentenza 3702/1999 proprio nella possibilità che in un regime democratico quelle evenienze siano ben prevenibili con le opportune cautele e che contro di esse sia sempre praticabile la tutela legale. 3.3. Proprio alla luce di tale giurisprudenza, allora, deve concludersi che la Corte d’appello ha motivato sul punto in termini sostanzialmente apparenti e in parte contraddittori. Perché il Giudice milanese ha prima affermato, correttamente, la rilevanza anche di situazioni di fatto riconducibili all’agire delle istituzioni pubbliche ha poi dato atto, quale contesto sostanzialmente appartenente al notorio in ragione della comune e diffusa informazione quotidiana dei mass media , la presenza in atto di vicende, qualificate significativamente “politico istituzionali” e, pertanto, direttamente afferente la condotta e l’orientamento di momenti istituzionali pubblici , definite, altrettanto significativamente, “convulse”, e tuttavia ha omesso di approfondire, come invece doveroso, il dato contestuale, per verificare se questo, proprio in relazione all’appartenenza dell’estradando a minoranza religiosa in atto oggetto di attacchi e violenze non controllate, non controllabili, o addirittura agevolate, da parte delle istituzioni o di sue articolazioni, potesse avere un immediato, almeno seriamente verosimile, riverbero sulla futura espiazione di pena dell’estradando né il rinvio alla rilevanza “anche” e quindi non solo politica poteva esonerare dall’accertamento e dall’apprezzamento specifico perché e in tal senso risultando fondata la censura difensiva le presenza di un contesto riconducibile all’articolo 705.2 c.p.p. è fatto immediatamente rilevante per la giurisdizione, prima ed a prescindere dalle implicazioni politiche o dall’eventuale diverso contenuto di opportunità di tipo politico. E’ ovvio che la Corte distrettuale era ed è stata consapevole della diversità degli ambiti, che infatti ha espressamente richiamato. Ma, essendosi in sostanza limitata a richiamare in termini astratti e parziali un insegnamento giurisprudenziale non perfettamente adeguato al caso e pur a fronte di un contesto notorio, da lei stessa affermato, di “convulse” vicende politico istituzionali, con l’immediato rinvio alla decisione politica ha di fatto omesso quell’apprezzamento giurisdizionale specifico, rispetto alla situazione specifica ed al contesto in atto, che le competeva. Basti, in proposito, il richiamo al punti A, D, F, H, nonché, poi, ai punti 2, 4, 7, della Risoluzione del parlamento europeo sulla situazione in Egitto e in Siria 24.10.11, in particolare per quanto riguarda le comunità cristiane con i loro specifici riferimenti, tra l’altro, agli attacchi sferrati alle chiese copte, al bagno di sangue, alla peggior violenza, all’incitamento da parte della televisione di stato egiziana alla violenza contro i copti, all’incapacità delle autorità di affrontare la crisi in modo coraggioso, alle leggi di emergenza che violano il diritto ad un processo equo, alle aggressioni brutali, all’uso sproporzionato della forza da parte dell’esercito . Si tratta di valutazioni autorevoli di istituzioni europee, relative a tempi non remoti rispetto a quelli successivi dei giorni nostri che la Corte d’appello ha qualificato ancora “convulsi”, che non possono non imporre una motivazione specifica sull’adeguatezza, o meno, del contesto attuale alle condizioni, giuridiche prima che politiche, di cui all’articolo 705 c.p.p., non comprimibile in affermazioni generiche e di stile. Ben potrà il Giudice del rinvio, ove lo ritenga necessario, svolgere anche i possibili accertamenti ed acquisire le eventuali opportune valutazioni, presso il Ministero degli esteri od altra autorità nazionale, pure in ordine agli sviluppi eventuali della situazione descritta dalla ricordata Risoluzione 24.10.11, comunque procedendo ad un espresso confronto argomentativo con il suo contenuto e con l’eventuale ulteriore documentazione prodotta dalla difesa e ricordata nel ricorso. Si impone infatti l’annullamento con rinvio perché, se è vero che in materia di estradizione anche la Corte di cassazione conosce del merito, tuttavia tale cognizione è relativa all’ambito dei motivi di impugnazione che non sono pertanto solo limitati a quelli previsti dall’articolo 606.1 lett. B, C ed E c.p.p. , ma non è compatibile con eventuali articolati approfondimenti istruttori di pieno merito nel contraddittorio con le parti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio.