E se il “futuro” testimone, escusso prima del dibattimento, non si presenta al processo?

Non sono utilizzabili le dichiarazioni di un teste non comparso se non sono state poste in essere tutte le attività ragionevoli per ricercarlo.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 25257/16, depositata il 17 giugno. Non è inusuale e comunque fatto di per sé non imprevedibile in astratto che un soggetto sentito nell’ambito delle indagini preliminari non compaia al dibattimento e che, anzi, non si possa “rintracciarlo” per poterlo accompagnare avanti al giudice per essere escusso nel contraddittorio delle parti. Tale evenienza, del resto, è espressamente prevista nel nostro ordinamento ex articolo 512 c.p.p Se non che l’acquisizione degli atti e delle dichiarazioni rilasciate in precedenza, per poter essere effettuata legittimamente, deve derivare, in concreto, da “circostanze imprevedibili”. Tale imprevedibilità è, evidentemente, diversa dalla “prevedibilità” della fattispecie in questione deve cioè accadere che, quando il “futuro” testimone è escusso prima del dibattimento, non vi siano elementi tali da far supporre che questi non sia rintracciabile al momento della celebrazione del processo orale. Così impostata la questione, tale disposizione appare chiara peccato che la prassi abbia abusato del potere discrezionale di apprezzamento giurisdizionale in merito, rendendo col tempo del tutto evanescente il limite in questione, tanto che sul punto è dovuta intervenire la CEDU e, quindi, di riflesso ed obtorto collo anche la giurisdizione italiana, che ha dovuto reimpostare i criteri ermeneutici dell’articolo 512 c.p.p E’, infatti, accaduto che il concetto di imprevedibilità ex articolo 512 c.p.p. è stato interpretato nel senso di probabilità a che il soggetto escusso non si presenterà al processo. Tuttavia, tale giudizio, essendo del tutto disancorato da un dato concreto e fondamentale, quale la data di escussione e la pendenza effettiva di un processo penale, è stato fondato in pratica sulla possibilità di avere oggi degli elementi capaci un domani di far rintracciare il soggetto da escutere. In sostanza, se l’interessato aveva una residenza o un domicilio effettivo in Italia, doveva ritenersi che questi verosimilmente si sarebbe presentato al dibattimento diversamente, doveva escludersi tale possibilità, a meno che non fosse residente all’estero, nel qual caso doveva applicarsi la disciplina dell’articolo 512- bis c.p.p Tale schema apparentemente chiaro, tuttavia, è entrato in crisi negli ultimi anni specie grazie all’espansione dell’immigrazione e all’allargamento dell’Unione europea sicché il riferimento alla residenza italiana è risultato essere piuttosto labile, in ragione di soggetti extracomunitari o di cittadini comunitari, data la possibilità piuttosto agevole di “emigrare” ancora ed in luoghi diversi dal Bel Paese. Ciò spiega perché ad un certo punto la CEDU, volendo garantire il principio del contradittorio probatorio, ha richiesto che l’autorità giudiziaria ponga in essere procedure ragionevoli per tentare di identificare la residenza di un testimone importante che l’accusato non aveva potuto interrogare da ultimo sentenza Tarau vs Romania del 24.2.2009 . Ciò in realtà non ha costituito di per sé un elemento “rivoluzionario”, ma – a ben vedere – ha enfatizzato la necessità di verificare se in effetti non sia possibile la ripetizione dibattimentale della dichiarazione di interesse. Del resto, l’articolo 512 c.p.p. dà la possibilità di un recupero delle dichiarazioni unilateralmente assunte a condizione che sia impossibile la ripetizione, impossibilità che va concretamente provata e non può essere semplicemente presunta o concessa in ragione di difficoltà pratiche. Così inquadrato il contesto, si può ora giungere ad analizzare la sentenza in commento. Il caso. Gli imputati, tra l’altro, avevano lamentato il fatto di essere stati condannati sulla base di dichiarazioni rilasciate in sede di indagini preliminari da un soggetto straniero, prima residente in Italia, avendo il giudice di primo e secondo grado omesso valida motivazione sul punto di impossibilità della ripetizione dibattimentale ex articolo 512 c.p.p La Cassazione ha dato ragione ai ricorrenti, evidenziando come l’autorità si fosse limitata alla ricerca del dichiarante semplicemente presso la propria “vecchia” abitazione, essendosi quindi omesso ogni ricerca nel sistema penitenziario e più in generale ogni approfondita ricerca. Si è, infatti, affermato che «l’irreperibilità è stata riconosciuta soltanto perché [il dichiarante] non è stato rinvenuto all’indirizzo indicato e perché lo stesso non risiedeva anagraficamente a Milano, ma in assenza di adeguate ricerche da effettuarsi a mezzo dell’ufficio stranieri della Questura ed a mezzo del consolato del paese di origine del teste, oltre che in assenza di ricerche presso l’amministrazione penitenziaria richieste espressamente dall’articolo 159 c.p.p., sicché il giudizio di responsabilità del ricorrente in ordine ai reati si fonda su dichiarazioni inutilizzabili perché acquisite mediante lettura nel difetto dei presupposti di cui all’articolo 512 c.p.p.». Del resto, ha premesso la Suprema Corte «l’attuale testo dell’articolo 512 c.p.p. assume i caratteri dell’eccezionalità e della residualità rispetto al principio generale posto dall’articolo 111 Cost. del favor per l’assunzione della fonte dichiarativa nel contraddittorio delle parti ed innanzi al giudice chiamato a decidere. Devono quindi essere interpretati restrittivamente e rigorosamente gli elementi da esso previsti ed ai quali è condizionata la sua applicazione. E difatti, il rispetto dell’articolo 111 Cost., oltre che dell’articolo 6 CEDU, esige che l’irreperibilità di un soggetto non possa essere ritenuta solo sulla base di una verifica burocratica o di “routine”, che prenda semplicemente atto del difetto di notificazione o che si limiti alle risultanze anagrafiche, ma debba conseguire ad un rigoroso accertamento che abbia comportato l’adempimento, da parte del giudice, dell’obbligo di fare tutto quanto in suo potere per reperire il dichiarante». Da ciò l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio. Conclusioni. Le motivazioni della Cassazione sono condivisibili. L’unico punto da segnalare è che la Procura generale, così come i giudici di primo e secondo grado, avevano ritenuto del tutto irrilevanti le lagnanze della difesa sul punto in questione, il che non può certo stimolare canti di giubilo. Di fronte ad una doppia conforme, dunque, la Cassazione ha avuto il merito di non temere l’impopolarità, attesa altresì la gravità delle accuse avanzate rapine a mano armata , riconoscendo che non si poteva fare giustizia violando principi fondamentali. Ma ancor di più il merito va a chi ha sollevato la questione e non ha temuto di lamentare l’ingiustizia compiuta. Certo, costa fatica annullare condanne all’apparenza “certe”, ma ancor di più affermare che ciò sia conforme a giustizia e che ciò costituisce concretizzazione della sovranità popolare. Una cosa, dunque, può apprendersi dal caso di specie la condanna è atto di responsabilità e, per l’effetto, non può basarsi sopra una pigrizia burocratica e di stile, per così annullare la portata di garanzie costituzionali essenziali. La giustizia specie penale importa costi e, quando per esigenze di economia, si tende a livellare o a troppo semplificare le questioni da affrontare, prima o poi si sbaglia e quando l’errore emerge gli effetti per porvi rimedio sono più gravi dei risparmi di “spesa” preventivati e posti a giustificazione della prassi deviante. Ma non è solo una questione di buona gestione processuale. Si dice spesso che per lavorare bene o per lavorare male si impiega lo stesso tempo può essere, ma è vero che chi lavora bene non si pente mai del proprio lavoro ed in ciò, se non si erra, si guadagna sempre.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 marzo – 17 giugno 2016, numero 25257 Presidente Prestipino – Relatore Imperiali Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dei 3/5/2011, all'esito di rito ordinario, il Tribunale di Milano affermava la penale responsabilità di L.A. in ordine ad una pluralità di rapine, due delle quali aggravate dall'uso di armi, con i connessi reati in materia di armi ed altresì di lesioni personali ai danni delle persone offese, nonché in ordine alla ricettazione di tre motocicli provento di furto e, ritenuta la continuazione tra tali reati, lo condannava alla pena di anni sette di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, oltre alle pene accessorie di legge. 2. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano in data 7/5/2014 e avverso tale pronunzia ha proposto ricorso per cassazione l'imputato personalmente, sollevando tre motivi di impugnazione 2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione degli articolo 512 e 526 cod. proc. penumero per aver ritenuto la Corte corretta l'acquisizione, da parte del Tribunale, delle sommarie informazioni rese da V.Z.D.A., in virtù di un'asserita irreperibilità sopravvenuta, senza che si sia motivato sull'oggettività ed imprevedibilità della irreperibilità, pur avendo eccepito il ricorrente nei motivi di appello l'assenza di rigorosi accertamenti presso il DAP o presso l'ufficio immigrazione della Questura di Milano o presso il consolato dell'Ecuador. 2.2. Con il secondo motivo viene dedotta la carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in ordine ai reati di cui ai capi D ed E , laddove non sono state considerate le contraddizioni in cui si assume essere incorsa la persona offesa O.J., mostratasi anche perplessa in sede di riconoscimento fotografico, si è ritenuta tale versione confermata dai teste M., zio della prima che, se veramente presente, sarebbe intervenuto in aiuto della Ordillano, ed infine non sono state considerate le incongruenze delle dichiarazioni della persona offesa D.V., indicata come alcolista ed affetta da disturbi dell'umore, che aveva riferito di avere in borsa 550 euro e non 1150, così come, infine, non è stato considerato che il ricorrente era privo di patente e di autovettura. 2.3. Con l'ultimo motivo, infine, si contesta la violazione dell'articolo 62 bis cod. penumero per avere la Corte negato la concessione delle attenuanti generiche fondandosi unicamente sull'assenza di resipiscenza da parte dell'imputato, nonostante fosse stata evidenziato con l'atto di appello il suo stato di tossicodipendenza. Con memoria difensiva trasmessa in data 1/3/2016 anche il difensore dei ricorrente, avv. Roberta Ligotti, ha insistito sulla violazione degli articolo 512 e 526 cod. proc. penumero , oltre che dell'articolo 6 co. 2 lett. d della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e dell'articolo 111 Cost. per non aver dato conto i giudici di merito dei giudizio di prevedibilità o imprevedibilità della personale comparizione delle persone offese al dibattimento per l'esame diretto, mancando la motivazione adeguata che un fatto o una circostanza imprevedibile abbia determinato l'assenza dei dichiarante. Considerato in diritto Il ricorso merita parziale accoglimento. 1. E' fondato, infatti, il primo motivo dell'impugnazione proposta, atteso che l'accertamento della penale responsabilità dei ricorrente in ordine ai reati di cui ai capi A , B e C si fonda anche sulle sommarie informazioni testimoniali rese da V.Z.D.A., delle quali si è proceduto all'acquisizione ai sensi dell'articolo 512 cod. proc. penumero , sul presupposto dell'asserita imprevedibile irreperibilità sopravvenuta del predetto, in realtà riconosciuta sul mero rilievo che non era risultata possibile la notifica al V. della citazione a comparire nella qualità di testimone per non essere stato lo stesso rinvenuto nel luogo dove abitava al momento dei fatti, ed altresì perché, non risultando lo stesso residente anagraficamente a Milano, si è ritenuto non vi fossero altri luoghi ove cercarlo . Atteso che non risultano effettuate ricerche del V. presso l'amministrazione penitenziaria, peraltro, non sono state esaurite le ricerche previste dall'articolo 159 cod. proc. penumero , che di per sé, peraltro, nemmeno sono da ritenersi sufficienti per poter riconoscere l'irreperibilità dei testimone che giustifica l'acquisizione di sue precedenti dichiarazioni deve ritenersi, infatti, consolidato l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte di Cassazione, condiviso dal collegio, secondo cui ai fini dell'utilizzabilità, mediante lettura, delle dichiarazioni rese in sede predibattimentale dal testimone divenuto irreperibile non è sufficiente l'infruttuoso espletamento delle ricerche previste dall'articolo 159 cod. proc. penumero , ma è altresì necessario che il giudice compia tutti gli accertamenti congrui alla peculiare situazione personale dello stesso, quale risultante dagli atti, dalle deduzioni specifiche eventualmente effettuate dalle parti, nonché dall'esito dell'istruttoria svolta nel corso del giudizio ovvero dia conto, con motivazione non apparente e non manifestamente illogica o contraddittoria, dell'apprezzamento compiuto sulla ragionevole impossibilità di svolgere ulteriori ed efficaci ricerche dei dichiarante Sez. 6, numero 16445 del 06/02/2014, Rv. 260155 sez. 1, numero 46010 del 23/10/2014, Rv. 261265 . L'attuale testo dell'articolo 512 cod. proc. penumero , infatti, assume i caratteri dell'eccezionalità e della residualità rispetto al principio generale posto dall'articolo 111 Cost. dei favor per l'assunzione della fonte dichiarativa nel contraddittorio delle parti ed innanzi al giudice chiamato a decidere. Devono quindi essere interpretati restrittivamente e rigorosamente gli elementi da esso previsti ed ai quali è condizionata la sua applicazione conseguentemente, nel caso in cui la notificazione non sia stata effettuata perché il teste non è stato trovato all'indirizzo indicato come nel caso di specie , l'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentale del teste richiede che siano compiuti tutti quegli accertamenti necessari e opportuni per potere individuarne l'attuale domicilio. E difatti, il rispetto dell'articolo 111 Cost., oltre che dell'articolo 6 della CEDU, esige che l'irreperibilità di un soggetto non possa essere ritenuta solo sulla base di una verifica burocratica o di routine , che prenda semplicemente atto del difetto di notificazione o che si limiti alle risultanze anagrafiche, ma debba conseguire ad un rigoroso accertamento che abbia comportato l'adempimento, da parte dei giudice, dell'obbligo di fare tutto quanto in suo potere per reperire il dichiarante Sez. U, numero 36747 del 28/05/2003, Torcasio Sez. 6, numero 18150 del 19/02/2003, Rv. 225250 Sez. 2, numero 43331 del 18/10/2007, Poltronieri Sez. 3, numero 25979 del 23/04/2009, Rv. 243956 Sez. 2, numero 22358 del 27/05/2010, Spinella, Rv. 247434 . L'articolo 111 Cost., comma 5, evidenzia la necessità che l'impossibilità oggettiva sia accertata , e quindi fa chiaro riferimento ad un'attività dì verifica e controllo del giudice complessa, articolata e argomentata, il che impone di verificare tutte le possibilità di cui si dispone per assicurare la presenza della fonte di prova, con la conseguenza che non possono essere ritenuti sufficienti il difetto di notificazione o le risultanze anagrafiche, ma occorrono rigorose ed accurate ricerche, se necessario anche in campo internazionale, tali da consentire, nel caso concreto, di affermare con certezza l'irreperibilità del teste e, quindi, l’“impossibilità” del suo esame in contraddittorio Sez. 2, sent. numero 43331 dei 18/10/2007 cit. sez. U., numero 27918 del 25/11/2010, Rv. 250199 . Si tratta, del resto, di esigenza evidenziata anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale ha affermato che, ai fini dell'articolo 6, comma 3, lett. d , della CEDU l'autorità giudiziaria deve porre in essere procedure ragionevoli per tentare di identificare la residenza di un testimone importante che l'accusato non aveva potuto interrogare sentenze 08/06/2006, Bonev c. Bulgaria 09/01/2007, Gossa c. Polonia 24/02/2009, Tarau c. Romania . Nel caso in esame, invece, l'irreperibilità del V. è stata riconosciuta soltanto perché questo non è stato rinvenuto all'indirizzo indicato e perché lo stesso non risiedeva anagraficamente a Milano, ma in assenza di adeguate ricerche da effettuarsi a mezzo dell'ufficio stranieri della Questura ed a mezzo del consolato del paese di origine del teste, oltre che in assenza delle ricerche presso l'amministrazione penitenziaria richieste espressamente dall'articolo 159 cod. proc. penumero , sicché il giudizio di responsabilità del ricorrente in ordine ai reati di cui ai capi A , B e C si fonda anche su dichiarazioni inutilizzabili perché acquisite mediante lettura nel difetto dei presupposti di cui all'articolo 512 cod. proc. penumero Conseguentemente, in relazione a tali capi la sentenza va annullata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte territoriale. 2. Il secondo ed il terzo motivo di impugnazione sono, invece, inammissibili, in quanto volti ad introdurre nel giudizio di legittimità questioni di merito insindacabili in questa sede nel momento dei controllo di legittimità, infatti, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento , secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. Sez. 5, numero 1004 del 30/11/1999, rv 215745 Sez. 2, numero 2436 del 21/12/1993, , rv 196955 . Inoltre, secondo le Sezioni Unite di questa Corte l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento Sez. U., numero 24 del 24/11/1999, rv 214794 . Nel caso di specie, senza vizi logici la Corte territoriale ha fondato il giudizio di responsabilità dei ricorrente, in ordine al reato di cui al capo D , sulle dichiarazioni della persona offesa e su quelle dei teste M., estraneo ai fatti, dichiarazioni ritenute coerenti tra loro, e sui riconoscimenti fotografici dagli stessi effettuati e poi confermati in dibattimento analogamente, quanto ai reati di cui ai capi E ed F la Corte di Appello senza illogicità evidenti ha riconosciuto la persona offesa pienamente credibile, nonostante le sue difficoltà personali, in considerazione della precisione e sicurezza del racconto, che aveva indicato anche il nome dell'aggressore, Andrea, dei quale la testimone aveva poi effettuato anche riconoscimento fotografico. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, infine, è stata giustificata da motivazione fondata sull'assenza di qualsivoglia resipiscenza da parte del ricorrente si tratta di motivazione esente da manifesta illogicità che, pertanto, è insindacabile in cassazione sez. 6 numero 42688 del 24/9/2008 rv. 242419 , anche in considerazione dei principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, me è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione sez. 2, numero 3609 del 18/1/2011, rv. 249163 sez. 6, numero 34364 del 16/6/2010, rv. 248244 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi A , B e C con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano anche per eventuale rideterminazione della pena. Dichiara nel resto inammissibile il ricorso e dichiara definitiva l'affermazione di responsabilità del ricorrente per i reati residui.