La sospensione della chiamata alla leva non ha abolito il servizio militare obbligatorio ma ne ha fortemente ridotto l’operatività. Di conseguenza, la condotta di rifiuto del servizio militare per ragioni di coscienza non costituisce più reato. La norma migliorativa, però, pur avendo efficacia retroattiva - a norma di codice penale - non si applica ai casi già decisi con sentenza irrevocabile di condanna.
Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza numero 517 depositata l’8 gennaio 2016. I vecchi tempi della “cartolina precetto”. Le lettrici ci scuseranno, ma il tema oggetto della sentenza in commento è “roba da uomini”. Lo è perché il servizio militare obbligatorio riguardava soltanto i maschi maggiorenni e il gentil sesso ne era infatti esentato. Sarebbe interessante ripercorrere le tappe storiche principali che hanno caratterizzato la ultracentenaria vita della “naja” tuttavia, per esigenze di brevità, non possiamo farlo in questa sede basterà soltanto ricordare che il servizio militare venne esteso a tutto il territorio nazionale in conseguenza dell’Unità d’Italia. Ma veniamo al recente passato generalmente al compimento della maggiore età, i coscritti dovevano presentarsi per la “visita militare” chi scrive, sulla propria esperienza al riguardo potrebbe scriverci un libro, naturalmente comico . Partire da soldato per alcuni era un trauma, per altri una festa. Serviva a sveltire i mammoni e a disciplinare gli irrequieti. Non si sa quanto e come fosse formativo, però l’aver indossato una divisa e sparacchiato di tanto in tanto era un’esperienza che si raccontava per tutta la vita “quand’ero militare” e giù con aneddoti quasi mai veritieri, a tutto vantaggio dell’uditorio specie di quello femminile, che un tempo ascoltava affatato e oggi risponderebbe a tono . Se arrivava la chiamata alle armi e ci si “imboscava” si veniva processati e condannati per renitenza alla leva. Poi, nel 2000, la fine di un’era il servizio militare obbligatorio si avviò verso la sospensione. E il reato di renitenza che fine ha fatto? Le solite riforme “a tre quarti”. Avremmo potuto dire “a metà”, ma saremmo stati in effetti ingiusti la legge del 2000, che ha iniziato a congelare il servizio di leva, di fatto, ne ha sancito la sparizione anche se ne è prevista la riesumazione in alcune ipotesi eccezionali. V’è da osservare, sotto questo aspetto, che la “naja” ha rilevanza addirittura costituzionale la Carta Fondamentale, infatti, ne prevede l’obbligatorietà “nei limiti e modi stabiliti dalla legge”. Questo rilievo costituzionale, secondo i giudici di Piazza Cavour, è proprio uno dei motivi per ritenere che non ve ne sia stata una integrale abolizione. Ecco perché la fattispecie penale che puniva chi si sottraeva alla chiamata obbligatoria alle armi non può ritenersi integralmente abolita. Facendo appello alle prime nozioni di diritto penale sostanziale, tutti sappiamo che se non v’è una abolitio criminis, dovrà farsi luogo al meno drastico istituto della successione modificativa in questo caso migliorativa, dato che il servizio di leva, di fatto, non è più operativo che succede, a questo punto, a chi ha riportato una condanna per renitenza? Una scelta obbligata. Gli Ermellini, dobbiamo dirlo, non hanno dovuto faticare molto trattandosi di un caso di successione di norme, dovrà applicarsi quella più favorevole “al reo”, per usare le parole del codice penale. Ciò, ovviamente, vale anche per i fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della sospensione del servizio militare di leva. Con un limite, però quello dell’esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna. La cristallizzazione del giudicato, infatti, impedisce di applicare le più nuove, favorevoli norme.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 novembre 2015 – 8 gennaio 2016, numero 517 Presidente Cortese – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa il 02/12/2014 la Corte di appello di Bologna rigettava la richiesta di revoca della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, il 13/11/2003, divenuta irrevocabile il 16/11/2014, con la quale S.E. era stato condannato alla pena di anni uno di reclusione per la commissione del reato di renitenza alla leva militare obbligatoria. Tale richiesta era stata presentata in conseguenza della sospensione della leva militare obbligatoria che era stata disposta dall'articolo 7, comma 1, della legge 14 novembre 2000, numero 231, che imponeva l'applicazione alla fattispecie in esame dell'articolo 2, comma 4, cod. penumero in materia di successione di leggi penali in senso favorevole al reo. Nel caso di specie, il provvedimento di rigetto veniva adottato sul presupposto che, al contrario di quanto dedotto dall'E., le modifiche normative in tema di leva militare obbligatoria non avevano comportato la totale abolizione del servizio militare di leva obbligatorio, ma solo limitato la sua operatività a situazioni specifiche e a casi eccezionali, di cui occorreva tenere conto nella valutazione delle condotte delittuose in corso di valutazione giurisdizionale. 2. Avverso tale ordinanza, il condannato ricorreva per cassazione, a mezzo del suo difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta insussistenza dei presupposti per l'accoglimento della richiesta proposta in sede di esecuzione, in relazione al reato di renitenza alla leva militare obbligatoria contestato all'E., che erano stati valutati dalla Corte di appello di Bologna, con un percorso motivazionale contraddittorio e manifestamente illogico. Si deduceva, in particolare, che le norme relative al servizio militare di leva obbligatorio, contenute nel d.P.R. 14 febbraio 1964, numero 237 e nella legge 24 dicembre 1986, numero 958, erano state abrogate dalla legge 231 del 2000, con conseguente applicazione dei principio di successione di leggi penali in senso favorevole al reato previsto dall'articolo 2, comma 4, cod. penumero Né valeva in senso contrario, l'argomento secondo cui l'istituto in esame era stato soppresso in maniera graduale, atteso che, essendo stata abrogata la leva militare obbligatoria, non poteva ritenersi operante la fattispecie di reato tesa a sanzionare la condotta elusiva di tale comportamento, non più imposto dalla legge. Per queste ragioni processuali, l'ordinanza impugnata doveva essere annullata. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato. Deve, in proposito, rilevarsi che, nel caso di specie, deve farsi applicazione dell'orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui la sospensione della chiamata obbligatoria alla leva militare, così come introdotta dall'articolo 7, comma 1, della legge 231 del 2000, non ha abolito tale servizio di leva, ma ne ha limitato l'operatività a specifiche situazioni e a ipotesi eccezionali, rilevanti sia in tempo di guerra che in tempo di pace cfr. Sez. 1, numero 43709 del 06/11/2007, Almavera, Rv. 238685 . Né potrebbe essere diversamente, atteso che una simile interpretazione, oltre a formare oggetto di una posizione ermeneutica da tempo consolidata, si porrebbe in contrasto con la previsione dell'articolo 52, comma 2, Cost., che risulterebbe indubbiamente violata in caso di definitiva e totale soppressione dell'obbligatorietà della leva militare. Ne consegue che la nuova disciplina sul reclutamento militare, non avendo integralmente soppresso l'istituto del servizio di leva obbligatorio, non ha comportato una abolitio criminis totale della relativa fattispecie, ma soltanto una riduzione della possibile sfera di operatività dell'illecito penale cfr. Sez. 1, numero 24270 del 18/05/2006, Lampedone, Rv. 234839 . Ne discende che sussiste l'ipotesi di cui all'articolo 2, comma 4, cod. penumero per i fatti di renitenza alla leva commessi anteriormente all'intervenuta modifica legislativa, sempre che non sia stata pronunciata sentenza di condanna irrevocabile, che comporta al soggetto renitente l'inapplicabilità delle nuove e più favorevoli norme. Tale condizione ostativa sussiste certamente nel caso in esame, atteso che la richiesta formulata nell'interesse dell'E. riguarda la revoca della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, il 13/11/2003, divenuta irrevocabile il 16/11/2004. Sul punto, si ritiene utile richiamare conclusivamente il principio di diritto affermato da questa Corte, che occorre ribadire, secondo cui «La sospensione della chiamata obbligatoria alla leva, introdotta con L. numero 331 del 2000 e successive integrazioni, non ha abolito il servizio di leva militare obbligatoria, ma ne ha limitato l'operatività a specifiche situazioni e a casi eccezionali riferiti anche al tempo di pace, sicché il reato di rifiuto dei servizio militare per motivi di coscienza non è stato abrogato, ma è stato modificato il contenuto dei precetto penale. Sussiste, pertanto, l'ipotesi di cui all'articolo 2, comma quarto, cod. penumero , con la conseguenza, che per i fatti anteriormente commessi, sempre che non sia stata pronunciata sentenza di condanna irrevocabile, deve farsi applicazione delle nuove più favorevoli disposizioni, per le quali la condotta di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza non è più reato» cfr. Sez. 1, numero 10424 dei 24/02/2010, Negro, Rv. 246396 . 2. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell'interesse di S.E. deve essere rigettato, con la sua condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.