Le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso strumenti di diritto privato.
Con la sentenza numero 6/2016, depositata il 4 gennaio 2016, la Corte di Cassazione consolida il proprio orientamento sugli obblighi contributivi delle aziende a capitale misto, che siano in CIGS o in CIGO. La natura pubblica o privata delle società a capitale misto. E’ questa la prima questione affrontata dalla Corte di Cassazione, che precisa come le società a partecipazione pubblica come l’azienda municipalizzata in giudizio non perdano la natura di ente di diritto privato per il sol fatto di essere partecipate da un ente pubblico. Di conseguenza, ad esse rimane applicabile il regime delle società di diritto privato. Nel caso di specie, ciò significa che, l’esonero dalla contribuzione previsto dall’articolo 3 del Decreto C.P.S. 869/1947 in favore delle imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate e dello Stato, non è applicabile alle società a capitale misto che eroghino servizi di carattere pubblico, ma che operino secondo le regole del diritto privato, come accade nel caso dell’azienda municipalizzata in giudizio. Poiché la municipalizzata raggiunge il suo scopo sociale attraverso la disciplina privatistica, non v’è ragione di applicarvi il diritto pubblico. In particolare, la Suprema Corte precisa che la forma societaria di diritto privato è scelta dall’ente stesso per la sua intrinseca duttilità rispetto alle forme societarie di diritto pubblico è qui che volevano arrivare i legislatori nazionale e comunitario promuovere strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali, che non ledessero le dinamiche della concorrenzarischio più che realistico quando è un ente pubblico ad erogare un servizio di interesse pubblico. Diversamente, la difesa delle società ricorrenti evidenziava come l’azienda municipalizzata avrebbe natura di ente pubblico in considerazione di un dato sostanziale l’unitarietà economica e funzionale con il soggetto pubblico di semplice maggioranza. In sostanza, il servizio erogato persegue un interesse della collettività, il socio di maggioranza è un ente pubblico, di conseguenza, l0azienda municipalizzata ha natura di ente pubblico. La stabilità dell’impiego è l’ “asso piglia tutto”. L’ampio ragionamento della Corte di Cassazione in ordine alla natura pubblica o privata delle aziende municipalizzate può, nel caso di specie, essere superato da un’altra questione la garanzia della stabilità dell’impiego. Infatti, anche per gli enti pubblici, l’esonero contributivo si realizza solo ove ai dipendenti in cassa integrazione sia garantita la stabilità dell’impiego. Qualora tale stabilità non risulti da norme regolanti lo stato giuridico od il trattamento economico, deve essere accertata dal Ministero del lavoro, su domanda del datore di lavoro. Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte le aziende non deducono mai di aver inoltrato la domanda volta all’accertamento della stabilità dell’impiego, né che sia stata riconosciuta tale stabilità in virtù di speciali trattamenti riservati ai dipendenti. Di conseguenza, indipendentemente dalla natura dell’azienda municipalizzata, l’esonero contributivo opera solo se si garantisce ai lavoratori dipendenti la stabilità dell’impiego. Tale regola è rafforzata con il d.l. numero 112/2008 secondo cui, dal 1° gennaio 2009, l’estensione dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria spetta anche ai lavoratori delle aziende pubbliche, di quelle esercenti servizi pubblici nonché di quelle private, ancorché agli stessi risulta garantita la stabilità dell’impiego. Risulta, quindi, un’estensione generalizzata dell’obbligo contributivo – assicurativo relativo alla disoccupazione involontaria. Anche il c.d. Jobs Act va in questa direzione il d.lgs. numero 148/2015 prevede, infatti, un meccanismo di responsabilizzazione delle imprese, introducendo una contribuzione aggiuntiva a carico delle imprese che ricorreranno all’integrazione salariale. Non vi è quindi nessuna interferenza con i regimi di contribuzione previgenti, tanto più che l’articolo 44 del d.lgs. 148/2015 sull’obbligo contributivo in occasione delle CIGS e CIGO si applica anche alle società partecipate a capitale misto.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 5 novembre 2015 – 4 gennaio 2016, numero 6 Presidente Curzio – Relatore Pagetta Fatto e diritto Il Tribunale di Torino in funzione di giudice del lavoro accoglieva il ricorso in opposizione proposto da AEM Torino Distribuzione s.p.a. e, ad adiuvandum , da IREN s.p.a. avverso cartella esattoriale con la quale alla prima società era ingiunto il pagamento di somme titolo di contributi previdenziali omessi e relative sanzioni. La Corte di appello di Torino, pronunziando sull'impugnazione dell'INPS, in riforma della decisione di primo grado ha respinto l'opposizione. Per la cassazione della decisione propone ricorso AEM Torino Distribuzione s.p.a. unitamente a IREN s.p.a. sulla base di cinque motivi F INPS, anche quale procuratore di SCCI s.p.a., resiste con tempestivo controricorso. Equitalia Nord s.p.a. è rimasta intimata. Le società hanno depositato memoria. Con il primo motivo di ricorso, attinente ai contributi per CIGS e CIGO, le società ricorrenti, denunciando plurime violazioni di legge nonché vizio di motivazione, deducono che alla luce della disciplina comunitaria e della disciplina nazionale, l'esonero dalla contribuzione per la cassa integrazione previsto dall'articolo 3 d.C.P.S. numero 869 del 1947 in favore delle imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate e dello Stato, non è riferibile alle sole società esercenti servizi pubblici a capitale totalmente pubblico ma deve essere esteso anche a quelle a capitale maggioritario pubblico e a influenza dominante pubblica in particolare, nell'articolata deduzione, richiamano la nozione di influenza dominante da parte del soggetto pubblico quale tratto distintivo della impresa pubblica e sostengono la infondatezza dell'assunto secondo il quale la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato e gli enti pubblici ne posseggono le azioni in tutto o in parte trattandosi di persona giuridica privata, che opera nell'esercizio della sua autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubblico. Ad avviso delle ricorrenti, infatti, ciò che rileva non è il dato formale della personalità giuridica privata e/o l'esercizio o meno di poteri autoritativi, al fine di determinare una significativa alterazione del modello societario tipico, ma il dato sostanziale dell'unitarietà economica e funzionale con il soggetto pubblico proprietario di semplice maggioranza ciò sarebbe sufficiente a determinare un'alterazione del modello societario. Con il secondo motivo di ricorso, deducendo violazione dell'articolo 16 l. numero 223 del 1991, censurano, mediante richiamo alle medesime argomentazioni svolte nel primo motivo, il mancato riconoscimento del diritto all'esonero dalla contribuzione per mobilità. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione di plurime norme di diritto nonché vizio di motivazione, censurano la decisione per avere escluso il diritto di esse ricorrenti all'esonero dalla contribuzione per disoccupazione. Con il quarto motivo, deducendo violazione di plurime norme di diritto nonché vizio di motivazione, censurano la decisione per avere escluso che nei confronti di esse ricorrenti potesse trovare applicazione l'esonero della contribuzione ottenuto da AEM, azienda municipalizzata dalla quale esse società erano derivate. Con il quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 116, commi 8 e 15 l. numero 388 del 2000, censurano la decisione perché, atteso il contrasto interpretativo , le sanzioni aggiuntive avrebbero dovuto essere applicate nella misura ridotta prevista per tale ipotesi dal comma 15 dell'articolo 116 cit I primi due motivi di ricorso, trattati congiuntamente in quanto la contribuzione per mobilità, ai sensi dell'articolo 16 l. numero 223 del 1991, è dovuta per le imprese rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell'intervento straordinario di integrazione salariale, sono manifestamente infondati. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte v. tra le altre, Cass. numero 14847 del 2009, numero 5816 del 2010, numero 19087, numero 20818, numero 20819, numero 22318, numero 27513 del 2013, numero 14089, numero 13721 del 2014, ord. numero 9185 del 2015 in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l'esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l'esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all'erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l'amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione - pur maggioritaria, ma non totalitaria - da parte dell'ente pubblico. È stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l'ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall'ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell'obiettivo pubblico è caratterizzato dall'accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all'obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico. Cass. numero 20818 del 2013, Cass. 27513 del 2013 . Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda per larga parte l'assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge. Patimenti da respingere è il terzo motivo di ricorso. Le questioni proposte sono state infatti esaminate e disattese da numerose pronunzie di legittimità. In particolare questa Corte, richiamata la normativa di riferimento, all'epoca costituita dall'articolo 40 r.d.l. numero 1827 del 1935 e dall'articolo 36 dpr numero 818 del 1957, ha affermato che dalla coordinata lettura di tali norme si evince che - anche in relazione al personale dipendente delle aziende esercenti pubblici servizi l'esenzione dall'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione volontaria opera soltanto ove ai medesimi sia garantita la stabilità d'impiego detta stabilità d'impiego, ove non risultante da norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico, deve essere accertata dal Ministero competente su domanda del datore di lavoro, con decorrenza dalla data di tale domanda. In difetto di disposizioni di legge o regolamentari specificamente riguardanti la tipologia d'impresa cui appartiene la società, diviene quindi sostanzialmente irrilevante, ai fini de quibus , accertare se alla stessa debba o meno essere riconosciuta la qualifica di azienda esercente un pubblico servizio, posto che, anche in ipotesi affermativa, da ciò non potrebbe farsene derivare, de plano , l'invocata esenzione contributiva. Del pari, non essendo ricomprese le clausole pattizie di cui alla contrattazione collettiva di diritto comune fra le norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico , l'eventuale stabilità d'impiego garantita da detta contrattazione collettiva non potrebbe di per sé condurre all'esenzione contributiva in difetto di domanda di accertamento al riguardo da parte del datore di lavoro e di conseguente riconoscimento di detta stabilità da parte dell'Autorità amministrativa competente ex plurimis , Cass. numero 18455/2014, numero 8022/20139 numero 24524/2013 numero 20818/2013 . Nel caso di specie parte ricorrente non deduce e di avere inoltrato la domanda, né tanto meno, che sia stata riconosciuta nei suoi confronti la stabilità d'impiego dei dipendenti. La mancanza del prescritto riconoscimento amministrativo della stabilità d'impiego conduce di per sé ad escludere la sussistenza dell'invocata esenzione, in relazione ai contributi afferenti al periodo fino al 31 dicembre 2008. Per il periodo successivo, infatti, l'obbligo contributivo per disoccupazione trova il suo fondamento nell'articolo 20, commi 4, 5 e 6 d.l. numero 112 del 2008 conv. in l. numero 133 del 2008, il quale, ha previsto che, a far tempo dal 1 gennaio 2009, l'estensione dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria anche ai lavoratori dipendenti dalle aziende pubbliche, di quelle esercenti pubblici servizi nonché di quelle private, ancorché agli stessi risulta garantita la stabilità di impiego. A riguardo non appare condivisibile la tesi sostenuta in ricorso secondo la quale quest'ultima previsione esprime chiaramente la volontà del legislatore di applicare soltanto a far tempo dal 1.1.2009 ai soggetti come esse ricorrenti l'obbligo contributivo per disoccupazione involontaria risultandone confermata la insussistenza di tale obbligo per il periodo anteriore e comunque il venir meno di esso, in relazione al medesimo periodo, per effetto dell'articolo 20 l. numero 133 del 2008. Tale assunto non trova fondamento né nel dato testuale né nella lettura logico — sistematica dell'articolo 20 commi 4, 5 e 6 d.l. numero 112 del 2008 conv. in l. numero 133 del 2008. Le disposizioni in esame si limitano a prevedere, a partire dal 1.1.2009, l'estensione generalizzata dell'obbligo assicurativo relativo alla disoccupazione involontaria anche per i dipendenti da aziende pubbliche e da quelle esercenti pubblici servizi ancorché agli stessi sia garantita la stabilità di impiego, essendo venuta meno la fonte normativa contestualmente abrogata e cioè l'articolo 40 numero 2 r.d.l. numero 1827 del 1935 che contemplava, in presenza di certi presupposti, tale possibilità, ma non incidono, neppure in via interpretativa sul regime precedente e sulle condizioni prescritte per farsi luogo all'esonero dalla contribuzione in favore delle dette categorie di lavoratori. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. La pretesa di parte ricorrente di avvalersi dell'esonero dalla contribuzione per disoccupazione e per CIGO e CIGS sulla base del provvedimento rilasciato a suo tempo all'azienda municipalizzata AEM dalla quale esse sono derivate è priva di fondamento normativo Come osservato in altre decisioni di questa Corte, l'azienda municipalizzata AEM, oggi non più esistente, era un soggetto giuridico diverso dalla società per azioni in cui venne trasformata e,a fortiori, dalle altre società che da quest'ultima sono state scorporate inoltre, è da considerare, con riferimento all'accertamento della stabilità di impiego che la valutazione di tale requisito è stata resa necessariamente in relazione alle disposizioni vigenti all'epoca per cui il riconoscimento invocato non è parametrabile alla diversa disciplina vigente all'epoca dei fatti per cui è causa, atteso che i contratti collettivi di lavoro che, secondo l'assunto della ricorrente regolano il rapporto d'impiego dei suoi dipendenti, sono stati conclusi a distanza di molti anni cfr., altresì, sul punto, ex plurimis , Cass. numero 18455/2014, numero 28022/20139 24524/2013 20818/2013 . Il quinto motivo di ricorso è inammissibile. Si premette che la questione attinente alla misura delle sanzioni non risulta affrontata dalla decisione impugnata. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica - che implichi accertamenti di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa . Cass. numero 1435 del 2013, numero 6254 del 2004, numero 22540 del 2006 . Parte ricorrente non ha formulato il motivo in esame in termini coerenti con tale insegnamento e quindi idonei alla valida censura della decisione in particolare non ha indicato se ed in quale atto, nel giudizio di merito, era stata sollevata la questione attinente all'applicazione delle sanzioni in misura sì da rendere, in ipotesi, configurabile, rispetto alla stessa, il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell'articolo 112 cod. proc. civ Anche il motivo in esame deve quindi essere respinto. Le argomentazioni sopra richiamate, alla base della proposta di rigetto del ricorso formulata nella Relazione ex articolo 375 e 381 bis cod. proc. civ., proposta che il Collegio ritiene di condividere, non risultano inficiate dalle deduzioni svolte dalle odierne ricorrenti con la memoria depositata ai sensi dell'articolo 375 cod. proc. civ. Con esse si sostiene, in sintesi, che la disciplina dettata dal d. lgs numero 148 del 2015 in tema di integrazione salariale prevedente espressamente, tra l'altro, quanto alla cassa integrazione ordinaria, l'assoggettamento a contribuzione delle imprese industriali degli enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica articolo 10, comma 1 lettera 1 , e la contestuale abrogazione del d. lgs. Capo provvisorio dello Stato numero 869 del 1947 articolo 46 d. lgs cit. , deporrebbero nel senso della insussistenza dell'obbligo contributivo a carico della società partecipata per il periodo precedente l'entrata in vigore - il 24 settembre 2015 - del provvedimento richiamato. In subordine, si insiste sull'applicabilità delle sanzioni in misura ridotta ai sensi dell'articolo 116 comma 15 o, in subordine, ai sensi del comma 8 lett. a della legge numero 388 del 2000, sul rilievo dell'avvenuto pagamento, sia pure con riserva dell'esito del contenzioso, delle somme globalmente portate nella cartella opposta. A tal fine sono richiamati le istanza di rateazione delle somme di cui alle cartelle in controversia, il provvedimento di relativo accoglimento corredato del piano di ammortamento e fotocopia dei bollettini di pagamento come da documentazione allegata alla memoria medesima. Gli assunti svolti in memoria non sono persuasivi. Il decreto legislativo numero 148 del 2015, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale numero 221 del 23 settembre 2015, entrato in vigore il giorno successivo, emanato in attuazione della legge delega numero 183 del 2014, a differenza di quanto sostenuto in memoria dalla odierna parte ricorrente non offre elementi per un ripensamento della consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo contributivo per cassa integrazione guadagli ordinaria e straordinaria delle società il cui capitale sia parzialmente detenuto da un soggetto pubblico. Si premette che l'articolo 1 della legge delega numero 183 del 2014, al fine, tra l'altro, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di ammortizzatoli sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi. In particolare, nel dettare i relativi principi e criteri direttivi, al comma 2 lett. a numero 7 ha stabilito che si dovesse procedere alla revisione dell'ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria. Il decreto legislativo numero 148 del 2015, in attuazione della delega ha dettato titolo I una nuova disciplina in tema di integrazione salariale, sia ordinaria che straordinaria, precisando i relativi campi di applicazione articolo 10 per le integrazioni salariali ordinarie e articolo 20 per le integrazioni straordinarie ordinarie , individuati in relazione agli specifici settori produttivi delle imprese interessate da tali trattamenti. L'articolo 44, rubricato Disposizioni finali e transitorie , al primo comma ha stabilito che Quando non diversamente indicato, le disposizioni di cui al presente decreto si applicano ai trattamenti di integrazione salariale richiesti a decorrere dalla data di entrata in vigore . L'articolo 46, rubricato Abrogazioni , al comma 1, ha previsto la espressa specifica abrogazione di una serie di provvedimenti legislativi in materia di tutela dell'occupazione e di integrazione salariale, tra i quali il d.LGS. Capo Provvisorio dello Stato numero 869 del 1947 e, al comma 4, con previsione generalizzata, l'abrogazione di ogni altra disposizione contraria o incompatibile con le disposizioni del presente decreto . A differenza di quanto sostenuto da parte ricorrente il decreto legislativo numero 148 del 2015 non consente di attribuire alla previsione di cui all'articolo 3 d. lgs. Capo Provvisorio dello Stato numero 869 del 1947 un significato normativo diverso da quello al quale è pervenuta la consolidata giurisprudenza di legittimità richiamata nella Relazione in tema di obbligo contributivo per cassa integrazione guadagli ordinaria e straordinaria delle società partecipate a capitale misto quale l'odierna parte ricorrente. In particolare non è dato inferire dal fatto che l'articolo 10, nell'individuare il campo di applicazione della disciplina delle integrazioni salariali ordinarie ed i relativi obblighi contributivi, al comma 1 lettera 1 indichi le imprese industriali degli enti pubblici salvo il caso in cui il capitale sia interamente in mano pubblica e dal fatto l'articolo 20 nell'individuare il campo di applicazione della disciplina in materia di intervento straordinario di integrazione salariale ed i relativi obblighi contributivi non faccia riferimento alle imprese a capitale in parte o totalmente pubblico, che in precedenza le società a capitale misto non erano soggette alla contribuzione per cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Il legislatore, con il d.lgs numero 148 cit , ha infatti inteso dettare, in coerenza con la delega legislativa, un nuovo sistema degli ammortizzatori sociali, ridisegnando i criteri di concessione ed utilizzo della cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, semplificando le procedure burocratiche di richiesta e concessione, ridefinendo il relativo campo di applicazione, prevedendo tra l'altro, un meccanismo di responsabilizzazione delle imprese attraverso l'introduzione di una contribuzione aggiuntiva a carico di quelle che ricorreranno all'integrazione salariale. È quindi in relazione a tale sistema, che costituisce un insieme unitario di norme privo di interferenze con la disciplina previgente espressamente abrogata dall'articolo 46 d. lgs. cit. v. in particolare articolo 46 commi 1 e 4 , destinato a trovare applicazione, secondo quanto previsto dall'articolo 44 d. lgs cit., ai trattamenti di integrazione salariale richiesti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, che deve essere apprezzato il riferimento alle società partecipate a capitale c.d. misto o l'omesso riferimento alle società a parziale o totale capitale pubblico in relazione alla cassa integrazione straordinaria senza che da esso possano trarsi indicazioni in relazione al sistema previgente. In merito poi alla richiesta subordinata svolta in memoria fondata sull'accoglimento della istanza di rateazione del pagamento delle somme portate dalla cartella, come da documentazione contestualmente prodotta, la relativa delibazione risulta assorbita dalla valutazione di inammissibilità del quinto motivo di ricorso attinente alla misura delle sanzioni. Consegue il rigetto del ricorso. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione all'INPS delle spese di lite che liquida in Euro 7.200,00, per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie determinate nella misura del 15%, oltre accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.p.r numero 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.