Il tutore dell'interdetto commette peculato se acquista beni voluttuari senza autorizzazione del giudice

I beni mobili necessari per l'uso dell'interdetto sono quelli indispensabili alla cura del suo benessere personale – alimenti, vestiario, eccetera – mentre i beni necessari per l'economia domestica sono quelli che servono ad alleviare il peso economico eventualmente sostenuto dal tutore ad esempio, l'assunzione di un badante. Non vi rientrano, invece, i beni d'arredamento che sono da qualificarsi come voluttuari.

Così ha deciso la sez. VI della Cassazione, con la sentenza numero 49533, depositata il 27 novembre 2014, dichiarando inammissibile il ricorso degli imputati. Ben precise le categorie di beni che il tutore può acquistare senza autorizzazione. La Suprema Corte ha mostrato di aderire ad un'interpretazione rigorosamente letterale della norma del codice civile, l'articolo 374 comma 1, numero 1, che individua le tipologie di beni che il tutore del minore ma queste regole valgono anche per quello dell'interdetto, in forza di un espresso richiamo contenuto nell'articolo 424 c.c. può acquistare senza munirsi di preventiva autorizzazione del giudice tutelare. Il criterio generale è, dalla lettura della norma di riferimento, quello della necessarietà per la vita quotidiana dell'interdetto e per l'amministrazione del suo patrimonio. Cosa è necessario Per “l'uso dell'interdetto”, volendo utilizzare la formula indicata nel c.c., sono da ritenersi necessari tutti quei beni che hanno per naturale destinazione la cura del benessere personale e nella sentenza in commento ne viene fornita una elencazione esemplificativa alimenti, farmaci, vestiario, materiale d'istruzione e sanitario. Se ne osserviamo la natura, possiamo facilmente renderci conto che essi sono quelli – sostanzialmente – di prima e stretta necessità. Con riferimento all'economia domestica, quindi alle spese che servono per la conduzione della vita quotidiana, la Corte indica, sempre a titolo d'esempio, il compenso che va corrisposto ad una badante, nella eventualità che l'interdetto non sia autosufficiente. Queste voci di spesa, ad un attento esame, sono affrontate anche nell'interesse indiretto del tutore ed hanno infatti la funzione, per usare le parole della Corte, di «alleviare il peso economico eventualmente sostenuto» da quest'ultimo. L'ingaggio di una badante, con tutta evidenza, consentirà al tutore di poter condurre una normale vita sociale e lavorativa, spiegano sempre gli Ermellini. E cosa non lo è nel caso concreto, oggetto della decisione oggi commentata, si parlava di «beni d'arredamento», con i quali tutore e protutore rinnovavano il mobilio della abitazione nella quale vivevano insieme alla persona affidata alle loro cure. Nei due gradi di merito tali beni erano stati qualificati come voluttuari, e la Suprema Corte – limitando ovviamente il suo sindacato al rigore con cui tale definizione veniva attribuita nella motivazione della sentenza d'appello – non ha trovato nulla da ridire. Per effettuare spese “extra” occorre quindi l'autorizzazione del giudice tutelare e, in difetto, l'esborso diventa illecito. Ogni spesa affrontata dal tutore incontra comunque un limite invalicabile. E' quello, infatti, della compatibilità con i redditi dell'interdetto. Deve quindi escludersi che le spese effettuate dal tutore possano incidere notevolmente sulla disponibilità economica dell'interdetto, il quale deve sempre poter contare su un capitale “di riserva” da destinare alle più diverse necessità. Peculato o appropriazione indebita? La condotta incriminata da queste fattispecie è pressoché identica appropriazione di denaro o di cosa mobile di cui l'autore del fatto abbia il possesso. Nel peculato, oltre al possesso è indicata anche la più generica «disponibilità». Cambia il presupposto soggettivo l'appropriazione indebita può commetterla chiunque, il peculato no occorre la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. Cambiano anche le sanzioni, molto più severe nel caso del peculato. La categoria dei pubblici ufficiali comprende coloro che esercitano funzioni generalmente definibili come autoritative e sono regolate da norme di diritto pubblico la definizione è contenuta nell'articolo 357, comma 2, c.p. oltre che, ovviamente, funzioni legislative, giudiziarie o amministrative. La giurisprudenza, nel corso degli anni, ha però interpretato questa norma in senso piuttosto ampliativo, ricomprendendovi – con una decisione del 2007 – anche il tutore. Ecco perché il titolo di reato può mutare - in peggio - per colui che, ricoprendo tale ruolo, dovesse commettere qualche irregolarità nella gestione del patrimonio dell'interdetto.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 ottobre – 27 novembre 2014, numero 49533 Presidente Garribba – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Palermo confermava quella emessa dal Tribunale di Trapani in data 15/05/2012 che aveva dichiarato B.G. e C.G. colpevoli del reato loro ascritto di concorso continuato in peculato perché, nominati tutore B. e protutore C. dell'interdetta Loredana C., rispettivamente lo ro figlia e sorella, si erano appropriati della complessiva somma di oltre 45.000,00 a quest'ultima corrisposti a titolo di trattamento pensionistico di inabilità e di accompagnamento, desti nandolo ad acquisiti di beni voluttuari, non indispensabili e comunque non autorizzati dal giu dice tutelare, con la condanna alla pena di due anni e tre mesi di reclusione ciascuno ed alla interdizione dai pubblici uffici della B. per anni due. Previa analitica esposizione dei dati probatori acquisiti, la Corte territoriale confermava le valu tazioni del giudice di primo grado, definendo risibile il motivo d'impugnazione secondo cui lo stato mentale dell'interdetta non sarebbe stato così grave solo perché due sorelle, escusse in dibattimento, avrebbero dichiarato di non conoscere il tipo di disabilità da cui era affetta la congiunta, che era sembrata loro solo 'un po' depressa' respingeva, inoltre, la richiesta di as soluzione fondata sulla cirC. che l'acquisto dei beni ritenuti superflui era riscontrato da regolari scontrini fiscali e quietanze di pagamento intestati all'interdetta e da costei valida mente sottoscritti disattendeva, infine, la doglianza che gli imputati sarebbero incorsi nell'er roneo convincimento della regolarità delle rispettive condotte, poiché concernenti pur sempre la congiunta convivente. 2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione e in particolare denunziando che la Corte territoriale avrebbe del tutto omesso di vagliare la sussistenza dell'elemento materiale del reato, difettando nella fattispecie l'elemento dell'appropriazione di denaro o di cosa mobile altrui, implicante l'estromissione to tale dal patrimonio dell'avente diritto con il conseguente incameramento da parte dell'agente. Ad avviso dei ricorrenti, non può infatti integrare il reato di peculato l'uso da parte del tutore e dei protutore del denaro della parte offesa, qualora esso sia preordinato esclusivamente alle esigenze dello stesso soggetto passivo o comunque del suo nucleo familiare. I beni nella specie acquistati consistono, infatti, unicamente in beni mobili necessari per l'arre damento dell'abitazione in cui l'interdetta abita da sempre, atteggiandosi pertanto a beni posti a soddisfacimento di bisogni primari o comunque necessari della parte lesa. Considerato in diritto 3. II ricorso risulta manifestamente infondato e come tale va dichiarato inammissibile. Premesso che nella fattispecie non risulta contestata la qualifica soggettiva degli imputati, la loro doglianza si appunta unicamente sulla valutazione, asseritamente erronea, che la Corte territoriale avrebbe operato della condotta materiale in addebito, avendo ritenuto il reato integrato in base alla tipologia dei beni mobili acquistati, in assenza di autorizzazione del giudice tutelare. Tanto premesso, la doglianza deve essere disattesa, poiché ai sensi dell'articolo 374, comma 1 numero 1 cod. civ. il tutore non può, senza l'autorizzazione del giudice tutelare, acquistare beni, ec cettuati i mobili necessari per l'uso del minore, per l'economia domestica e per l'amministrazio ne del patrimonio. La norma trova applicazione anche in tema di tutela degli interdetti, giusto l'espresso rinvio operato dall'articolo 424 cod. civ. alle disposizioni sulla tutela dei minori di cui agli articolo 343 e se guenti del codice. Tanto premesso, si deve ritenere che per beni mobili necessari per l'uso dell'interdetto deb bano intendersi quelli strettamente funzionali alla cura del suo benessere personale alimenti, vestiario, materiale d'istruzione e sanitario inteso in senso lato, farmaci, etc. , mentre per beni necessari all'economia domestica debbono intendersi quelli che contribuiscano ad alleviare il peso economico eventualmente sostenuto dal tutore, quale ad es. la spesa necessaria all'im piego di una o più badanti al fine di consentire l'assistenza dell'interdetto, eventualmente ina bile anche sotto l'aspetto fisico ed al primo di svolgere le normali attività della vita o anche lavorativa. In ogni caso deve trattarsi di spese di importo compatibile con le entrate reddituali eventual mente percepite dall'interdetto ratei pensionistici e indennità varie, in primo luogo e mai di esborsi che finiscano per intaccare sensibilmente o addirittura azzerare il sia pur modesto ca pitale formatosi per accumulo di dette entrate, necessario a garantire al beneficiario interventi di carattere straordinario in caso di necessità, il quale deve, infatti, trovare la necessaria de stinazione prevista dall'articolo 372 cod. civ. In tale prospettiva, correttamente i giudici di merito hanno definito voluttuarie e come tali non necessarie le spese eseguite dagli imputati nel corso dei vari anni di rendiconto dal 2002 al 2008 e consistite nell'acquisto di beni d'arredamento con i quali è stato praticamente rinno vato il mobilio della loro abitazione, ancorché ospitante pure la congiunta interdetta. 4. Alla dichiarazione d'inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al paga mento delle spese processuali ed al versamento ciascuno di una somma in favore della Cassa delle Ammende che stimasi equo liquidare in € 1.000,00 mille . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 mille ciascuno in favore della cassa delle ammende.