La risoluzione per inadempimento del contratto di locazione retroagisce al momento della proposizione della domanda

In tema di locazione di immobili ad uso diverso, la conservazione del godimento dell’immobile dopo la notificazione dell’atto di citazione in giudizio con la quale si chiede la risoluzione ex articolo 1453 c.c. del contratto di locazione per inadempimento del locatore, è espressione non già di un godimento giustificato dalla pendenza della locazione, ma al contrario un comportamento tenuto dopo la provocazione della sua cessazione con la proposizione dell’azione di risoluzione.

Da ciò discende che gli effetti della risoluzione si producono sin dalla notifica dell’atto di citazione e da tale momento il conduttore, ex articolo 1591 c.c., è tenuto a versare al locatore il corrispettivo convenuto per la locazione fino all’effettiva consegna dell’immobile senza poter invocare al riguardo il non ancora avvenuto versamento dell’indennità di avviamento da parte del locatore inadempiente. È quanto emerge dalla sentenza numero 20894 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 3 ottobre. Il caso. A seguito del persistere di abbondanti muffe nei locali condotti in locazione, il conduttore di un immobile adibito a sala da barba otteneva la risoluzione per inadempimento del contratto con conseguente diritto all’indennità di avviamento. Nella stessa sentenza di primo grado il conduttore otteneva altresì in restituzione i canoni che aveva continuato a corrispondere avendo mantenuto per un certo periodo l’occupazione dell’immobile anche dopo la proposizione dell’azione ex articolo 1453 c.c In appello veniva confermata la decisione in ordine alla risoluzione e al diritto all’indennità di avviamento, mentre veniva esclusa la restituzione dei canoni pagati dal conduttore post notifica della citazione. Questi allora si rivolgeva alla Suprema Corte per avere conferma del provvedimento di primo grado anche in ordine alla ripetizione delle somme versate. Ripetizione dei canoni corrisposti dal conduttore dopo la notifica dell’atto di citazione? La Corte d’Appello aveva escluso la ripetizione dei canoni corrisposti dal conduttore dopo la notifica dell’atto di citazione richiamando al riguardo i precetti dell’articolo 1591 c.c La norma in effetti stabilisce che se il conduttore in mora non rilascia l’immobile, deve versare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla consegna, salvo il risarcimento del maggior danno. Si tratta di due obbligazioni di natura contrattuale e autonome la prima di valuta, avente ad oggetto il pagamento del canone, la seconda di valore avente ad oggetto il risarcimento dell’eventuale maggior danno. Sul punto il ricorrente sosteneva che l’azione di risoluzione per inadempimento ex articolo 1453 c.c., essendo destinata a concludersi con una sentenza costitutiva, producesse gli effetti risolutivi solo dal momento della pubblicazione del provvedimento. Pertanto, fino all’emanazione del provvedimento di primo grado, il conduttore non poteva dirsi “moroso” in ordine alla consegna dell’immobile, poiché fino alla sentenza costitutiva il contratto non poteva essere considerato risolto. La Suprema Corte in primo luogo conferma che la sentenza di risoluzione ex articolo 1453 c.c. è certamente di natura costitutiva in quanto non è diretta ad un mero accertamento, bensì è volta ad incidere direttamente sul rapporto giuridico modificandolo con lo scioglimento del contratto. Tuttavia l’azione è espressione di una giurisdizione costitutiva “necessaria” che vede verificarsi i propri effetti fin dal momento della proposizione della domanda giudiziale Cass., numero 8071/2008 . Le conseguenze della risoluzione allora retroagiscono al momento dell’inizio del giudizio di primo grado. Pertanto fin dal momento della notifica dell’atto introduttivo era insorta l’obbligazione di restituire la cosa locata come previsto dall’articolo 1591 c.c Infatti, secondo costante giurisprudenza Cass., numero 10115/1997 , la costituzione in mora del conduttore – necessaria perché scatti il meccanismo della norma citata – si determina sia nel caso di risoluzione giudiziale quale quella in esame , sia nel caso di risoluzione di diritto per decorso del termine essenziale, o per clausola risolutiva espressa, o diffida ad adempiere , dalla proposizione della domanda e non dal suo accoglimento. A nulla valeva per il conduttore invocare il “diritto di ritenzione” della cosa fino a che il locatore non avesse versato l’indennità di avviamento comunque riconosciuta dalle sentenze di primo e secondo grado. La ritenzione, intesa come facoltà del creditore di trattenere il bene oggetto della prestazione effettuata sino all'ottenimento della relativa controprestazione nel nostro caso il pagamento dell’indennità di avviamento , è disciplinata dall'articolo 2756, comma 3 c.c. a mente del quale «il creditore può trattenere la cosa soggetta al privilegio finché non è soddisfatto del suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno» . Il diritto di ritenzione presuppone dunque la detenzione della cosa da parte del creditore, la quale è iniziata con il consenso del debitore. Gli Ermellini tuttavia osservano che nelle locazioni ad uso diverso il diritto riconosciuto al conduttore di ricevere l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale alla cessazione del rapporto di locazione, non può comunque legittimare il rifiuto alla riconsegna dell’ente locato senza conseguenze. Inoltre, quand’anche la ritenzione fosse invocata per tale ragione, essa potrebbe essere limitata solo a questo effetto, ma non potrebbe mai arrivare ad esimere il conduttore - in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità - dall’obbligo di pagare il corrispettivo convenuto per la locazione, rimanendo invece escluso il diritto al maggior danno. Mero inadempimento all’obbligo di restituire la cosa locata. Nel caso di specie peraltro, osserva la Cassazione, la conservazione del godimento dell’immobile non appariva frutto dell’esercizio da parte del conduttore del diritto di ritenzione, dato che non vi era un’azione esecutiva esercitabile o esercitata dal locatore. Tale conservazione appariva infatti mero inadempimento all’obbligo di restituire la cosa locata. Il locatore, dunque, aveva diritto di continuare a percepire e quindi trattenere il canone convenuto contrattualmente anche dopo la cessazione del rapporto, stante la mancata riconsegna della cosa locata, ma non poteva pretendere un maggior danno come pure previsto dall’articolo 1591 c.c. poiché lo stesso proprietario era a sua volta inadempiente non avendo versato all’inquilino l’indennità dovuta per la perdita dell’avviamento commerciale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 26 giugno – 3 ottobre 2014, numero 20894 Presidente Finocchiaro – Relatore Frasca Fatto e diritto Ritenuto quanto segue p.1. I.P. ha proposto ricorso per cassazione contro C.L. avverso la sentenza resa in grado di appello dalla Corte d'Appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, il 10 luglio 2012 in una controversia locativa inter partes . p.2. La controversia era stata introdotta davanti al Tribunale di Taranto da esso ricorrente con citazione del gennaio 2006, per ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto locativo ad uso di sala da barba di un locale in OMISSIS di proprietà del C. , nel presupposto che, in ragione della presenza di umidità, il locatore fosse inadempiente all'obbligo di tenere la cosa in stato da servire all'uso per cui era stata locata. Lo I. chiedeva, altresì, la condanna del locatore all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale. Nel corso del giudizio, in cui il C. si costituiva chiedendo il rigetto delle avverse domande, lo I. trasferiva, in data 13 giugno 2006, la sua attività in altro locale preso in locazione da un terzo, senza, peraltro, rilasciare l'immobile del C. , ma continuando a corrispondere il canone. Con la memoria integrativa depositata in ragione del mutamento del rito processuale, il ricorrente, oltre a mantenere le domande originarie, chiedeva la condanna del C. alla restituzione dei canoni locativi versati dal luglio 2006 oltre che di quelli versati in futuro. p.2.1. Con sentenza del 17 febbraio 2012 il Tribunale di Taranto accoglieva la domanda di risoluzione del contratto qualificandola alla stregua dell'articolo 1581 c.c., condannava il C. al pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale e alla restituzione della somma di Euro 18.000,00 per i canoni corrisposti dallo L. dal luglio 2006 all'ottobre 2010. In ordine alle spese di lite disponeva la loro compensazione per metà e condannava il convenuto alla rifusione dell'altra metà in favore dello I. . p.3. La sentenza veniva appellata dal C. e, nella costituzione dello I. , la Corte territoriale, con la sentenza qui impugnata, ha accolto l'appello limitatamente alla statuizione di condanna al pagamento della somma per i detti canoni, lo ha rigettato per il resto ed ha compensato per metà le spese del grado, condannando il C. alla rifusione allo I. della metà residua, senza, peraltro nulla dire sulle spese del giudizio di primo grado. p.4. Al ricorso principale, che prospetta un unico motivo, ha resistito il C. con controricorso, nel quale ha anche svolto ricorso incidentale affidato a due motivi, cui il ricorrente ha replicato con controricorso. p.5. All'esito della redazione di relazione ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c. e della sua notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte, aveva luogo l'odierna adunanza della Corte. p.4. Parte ricorrente ha depositato memoria e nell'adunanza sono comparsi entrambi i difensori delle parti. Considerato quanto segue p.1. Nella relazione ai sensi dell'articolo 380-bis c.p.c. si sono svolte le seguenti considerazioni “.[ ] p.3. Il ricorso può essere deciso con il procedimento di cui all'articolo 380-bis c.p.c., in quanto appare manifestamente improcedibile. Parte ricorrente principale ha espressamente allegato che la sentenza impugnata gli è stata notificata il 10 luglio 2012, ma ha prodotto una sua copia autentica senza la relata della detta notificazione. Ne segue che viene in rilievo il seguente principio di diritto La previsione - di cui al secondo comma, numero 2, dell'articolo 369 cod. proc. civ. - dell'onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione - a tutela dell'esigenza pubblicistica e, quindi, non disponibile dalle parti del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale - della tempestività dell'esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitarle soltanto con l'osservanza del cosiddetto termine breve. Nell'ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev'essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto del secondo comma dell'articolo 372 cod. proc. civ., applicabile estensivamente, purché entro il termine di cui al primo comma dell'articolo 369 cod. proc. civ., e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell'eventuale non contestazione dell'osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d'ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell'impugnazione”. Cass. sez. unumero numero 9005 del 2009, seguita da conforma e costante giurisprudenza . È appena il caso di rilevare che, essendo stato il ricorso notificato, dal punto di vista del notificante, in data 8 novembre 2012, non può venire in rilievo il principio di diritto affermato da Cass. numero 17066 del 2013 secondo cui “Pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima adempimento prescritto dall'articolo 369, secondo comma, numero 2, cod. proc. civ. , il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiché il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza indicata nel ricorso e quella della notificazione del ricorso emergente dalla relata di notificazione dello stesso assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell'impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all'articolo 325, secondo comma, cod. proc. civ. , posto che a quella data, al netto della sospensione dei termini per il periodo feriale, erano trascorsi più di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza. p.4. Il ricorso incidentale dovrebbe essere dichiarato inefficace ai sensi dell'articolo 334, secondo comma, c.p.c. giusta Cass. sez. unumero numero 9741 del 2008 ”. p.2. Il Collegio rileva che nella memoria si è fatto constare che, al contrario di quanto rilevava la relazione, la copia autentica della sentenza impugnata risulta depositata. In effetti dall'esame del fascicolo del ricorrente si rileva che, immediatamente di seguito all'originale del ricorso è contenuta la copia della sentenza impugnata recante la relata della notificazione ed il plico relativo alla stessa. Vi è, poi, nel detto fascicolo altra separata copia autenticata che, invece, non è corredata della relata ed evidentemente nel predisporre la relazione si è stati tratti in errore dalla sua presenza e non ci si è avveduti di quella congiunta al ricorso. p.3.1. Deve, dunque, procedersi all'esame dei due ricorsi, in quanto il ricorso principale è procedibile. Il Collegio ritiene che tale esame possa avvenire in questa sede camerale in quanto il ricorso principale risulta manifestamente infondato e quello incidentale manifestamente inammissibile quanto al primo motivo e manifestamente infondato quanto al secondo. p.4. Con il primo motivo di ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione di norma di diritto e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia articolo 360 c.p.c. numero 3 in relazione agli articolo 1571, 1591, 1175 e 1375 c.c. ed articolo 360 numero 5 c.p.c. . Vi si censura la statuizione della sentenza impugnata riguardo alla riforma della sentenza di primo grado quanto alla condanna alla restituzione dei canoni corrisposti dal luglio 2006 all'ottobre 2010 ed alla conseguente reiezione della relativa domanda. La sentenza impugnata ha disposto tale rigetto osservando che “la permanenza del conduttore nel locale, sebbene nell'esercizio di ius ritentionis tale contegno è stato ribadito nella comparsa di risposta in questo grado , non può esonerarlo dall'obbligo di erogare il canone o comunque un'indennità quantificata sulla base di questo”. A sostegno di tale assunto la Corte tarantina ha citato il principio di diritto di cui a Cass. numero 5098 del 1999. p.4.1. La critica alla motivazione viene svolta dal ricorrente principale adducendosi che la Corte territoriale non avrebbe considerato che l'immobile locato non avrebbe potuto essere da lui utilizzato “per impossibilità oggettiva di godimento rispetto all'uso pattuito di dalla da barba e non ceto per sua scelta ”, tanto che proprio per tale ragione - che emergeva dalla c.t.u. ed aveva giustificato la risoluzione del contratto locativo - lo I. aveva trasferito l'attività in altro immobile preso in locazione. Per tale ragione il ricorrente sostiene che non avrebbe potuto rispondere ai sensi dell'articolo 1591 c.c Si sostiene, inoltre, che erronea sarebbe l'evocazione da parte della Corte territoriale del diritto di ritenzione in ragione della debenza dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, dato che fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, avente natura costitutiva, il contratto era stato vigente, onde la sua cessazione era avvenuta ben dopo il luglio del 2010, data fino alla quale il canone era stato pagato. In fine si argomenta, in modo di cui sfugge la rilevanza giuridica dato che si cita di seguito un precedente sulla c.d. autoriduzione del canone e salvo vedere nella deduzione la reiterazione sotto altro profilo del primo argomento del motivo, sopra riassunto , che la Corte territoriale non avrebbe “tenuto conto del comportamento del conduttore il quale, pur non potendo utilizzare l'immobile, ha continuato a corrispondere il canone pattuito in perfetta buona fede e lealtà articolo 1175 e 1375 c.c. ” e del fatto che il locatore non aveva ritenuto di eseguire alcun intervento per assicurare l'idoneità della cosa locata all'uso pattuito. p.4.2. Il motivo è privo di fondamento giuridico. Va premesso anzitutto che erroneamente si sostiene da parte dello I. che la pronuncia della risoluzione del contratto, quale pronuncia certamente costitutiva, avrebbe determinato la cessazione della locazione solo alla data della pubblicazione della sentenza di primo grado invero, la sentenza di risoluzione per inadempimento di un contratto di durata come quello locativo, allorché l'azione di risoluzione sia esercitata, come nella specie, ai sensi dell'articolo 1453 c.c., non essendo l'azione, pur costitutiva, espressione di una giurisdizione costituiva c.d. necessaria, vede verificarsi i suoi effetti in punto di accertamento della cessazione della locazione, fin dal momento della proposizione della domanda giudiziale, una volta che sia accolta la domanda di risoluzione in termini ampiamente Cass. numero 8071 del 2008 . Ne segue che, per effetto del riconoscimento della fondatezza della domanda di risoluzione del contratto locativo proposta dallo I. , sebbene ai sensi dell'articolo 1581 c.c., la locazione ebbe a cessare alla data della notificazione della citazione introduttiva con rito erroneo della controversia in primo grado e, dunque, fin dal gennaio 2006. Fino da quella data, dunque, era insorta l'obbligazione di restituzione della cosa locata e vigeva il regime dell'articolo 1591 c.c Ne segue che il comportamento di mancata riconsegna dell'immobile dopo quella data da parte dello I. - ancorché potenzialmente giustificabile, ma come ragione però impeditiva dell'attuazione di un'eventuale pretesa esecutiva di rilascio del locatore ed a tutela, quindi, di tale diverso interesse, dall'esercizio da parte sua del diritto di ritenzione in ragione della esercitata pretesa alla corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale - sarebbe stato riconducibile, quanto alla debenza comunque del corrispettivo della locazione in ragione della perpetuazione del godimento dell'immobile, all'ambito dell'articolo 1591 c.c., come ha ritenuto la Corte territoriale evocando Cass. numero 5098 del 1999, che confermò giurisprudenza pregressa ed è stata poi seguita da giurisprudenza conforme. Non senza, peraltro, che debba rilevarsi che la stessa evocazione del diritto di ritenzione, in realtà, risulta, a stretto rigore, priva di pertinenza, atteso che non era stata esercitata alcuna pretesa esecutiva di rilascio dell'immobile da parte del C. , dato che un titolo esecutivo a suo favore nemmeno si era formato. Tanto premesso, si deve rilevare che, essendo la conservazione del godimento dell'immobile dopo la notificazione della citazione introduttiva del giudizio, espressione non già di un godimento giustificato dalla pendenza dello locazione, ma, al contrario, un comportamento tenuto dopo la provocazione della sua cessazione con la proposizione dell'azione di risoluzione, è del tutto priva di pregio la deduzione della rilevanza delle condizioni dell'immobile in quanto impeditive del godimento pattuito. Invero, il verificarsi della cessazione della locazione, sebbene a seguito dell'accertamento costitutivo operato dalla sentenza di primo grado, rendeva quel godimento non più corrispettivo dell'obbligazione del locatore di assicurare l'uso pattuito della cosa locata, bensì solo della scelta del conduttore di no rilasciare nonostante la provocata cessazione della locazione per risoluzione per inadempimento addebitata alla parte locatrice. Ciò, perché il contratto si doveva intendere venuto meno dal momento della proposizione della domanda giudiziale e dopo di esso operavano solo le obbligazioni di restituzione della cosa locata e, in relazione al regime dell'articolo 1591 c.c., l'obbligazione di corrispondere il canone fino al rilascio. Operava inoltre l'obbligazione di cui all'articolo 34 della L. numero 392 del 1978. Tali obbligazioni ed in particolare quella di cui all'articolo 1591 non risultava più corrispettiva all'obbligazione di assicurare il buon stato locativo dell'immobile, dato che il contratto era venuto meno, sebbene condizionatamente all'accertamento giudiziale, ma pur sempre retroattivamente all'atto della proposizione della domanda. Queste erano le obbligazioni gravanti sulle parti. Giusta tali rilievi, in realtà - e come s'è già adombrato - la stessa conservazione del godimento dell'immobile non appariva frutto dell'esercizio da parte dello I. del diritto di ritenzione, dato che non vi era azione esecutiva esercitabile e comunque esercitata dal C. . Detta conservazione appariva frutto solo di inadempimento all'obbligo di restituzione della cosa locata. D'altro canto, se anche si considera che, prima della insorgenza e, quindi, della manifestazione della pretesa esecutiva di rilascio dell'immobile da parte del locatore, comunque il conduttore può avere interesse a non restituire l'immobile se non gli è corrisposta l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, tale scelta non può comportare effetti ulteriori rispetto a quelli che si avrebbero se la pretesa esecutiva fosse insorta e fosse manifestata, cioè effetti diversi dall'impedire l'attuazione di tale pretesa. Il diritto di ritenzione, cioè, vale solo a questo effetto e non ad escludere che il conduttore sia tenuto all'obbligazione di cui all'articolo 1591 c.c Onde l'evocazione da parte della sentenza impugnata della ricordata giurisprudenza risulterebbe giustificata siccome da essa emerge un principio che, fermo che non potrebbe applicarsi i via diretta, dovrebbe analogamente applicarsi alla situazione. Il motivo è, pertanto, rigettato. Ne segue il rigetto del ricorso principale. p.5. Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 1578 cod. civ. e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia . Ci si duole della valutazione con cui la Corte d'Appello, confermando la sentenza di primo grado sulla riconosciuta risoluzione del contratto locativo ai sensi dell'articolo 1578 c.c., avrebbe ritenuto giustificata tale risoluzione in quanto, pur esistendo i vizi della cosa locata fin dall'inizio della locazione, il conduttore non ne avesse avuto conoscenza e comunque essi non fossero stati conoscibili. p.5.1. H motivo si fonda su “quanto rilevato in sede di c.t.u.”, sui “motivi evidenziati [ ] nel ricorso in appello”, sua una dichiarazione dello I. e su un passo della motivazione della sentenza di primo grado, ma non fornisce l'indicazione specifica ai sensi dell'articolo 366 numero 6 c.p.c. su cui, exmultis, Cass. numero 7455 del 2013 di tali atti, in quanto di nessuno di essi precisa se e dove siano stati prodotti anche agli ulteriori effetti dell'articolo 369, secondo comma, numero 4 c.p.c. in questo giudizio di legittimità e potrebbero essere esaminati da questa Corte, mentre non riproduce in parte qua né direttamente né indirettamente, indicando a quale parte corrisponda nell'atto il contenuto indiretto, il contenuto della c.t.u. e dei motivi di appello. In disparte il carattere assorbente del rilievo di inammissibilità ai sensi dell'articolo 366 numero 6 c.p.c., si rileva, inoltre, che la vis argomentativa dell'illustrazione appare del tutto assertoria, siccome espressa nella seconda proposizione della pagina 18 del ricorso e non si fa carico del rilievo della sentenza impugnata che solo all'esito della c.t.u. e, quindi, di un accertamento tecnico, erano invece emersi i vizi di cui trattavasi pagina 4, seconda proposizione . Il motivo sarebbe, dunque, non solo del tutto generico Cass. numero 4741 del 2005 e privo di correlazione con la motivazione della sentenza impugnata Cass. numero 359del 2005 , donde la sua ulteriore inammissibilità. p.5.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 91 e 92 c.p.c. , sotto il profilo che, nel compensare metà delle spese del grado, si sarebbe avuta una “regolamentazione delle spese di lite palesemente iniqua e comunque, contrastante con il principio della soccombenza previsto dagli articolo 91 e 92 c.p.c., atteso che il deducente, pur sentendo accogliere il motivo di appello relativo all'aspetto economicamente più rilevante della domanda”, quello alla restituzione dei canoni dal luglio 2006 all'ottobre 2010, “si è visto condannare alla pur parziale rifusione delle spese”. Secondo il ricorrente incidentale la statuizione sulle spese avrebbe dovuto essere, invece, di segno rovesciato, cioè porre metà delle spese a carico della controparte. p.5.3. Il motivo sarebbe fondato in relazione alla motivazione della sentenza impugnata, che ha giustificato l'adottata statuizione adducendo come motivo “l'accoglimento parziale dell'appello”. La sua fondatezza non rende, tuttavia, illegittimo il dispositivo della sentenza sulle spese del grado di appello, che può risultare giustificato sulla base di una diversa motivazione. Queste le ragioni. Va considerato che la Corte territoriale ha, per un verso dimenticato di formalmente provvedere sulle spese del giudizio di primo grado, come avrebbe dovuto, attesa la pur parziale riforma della sentenza di prime cure, che comunque determinò la caducazione della statuizione di quella sentenza sul punto, per altro verso ha posto le spese del grado, sebbene parzialmente, a carico dell'appellante, invocando il soltanto parziale accoglimento dell'appello. Con quest'ultima statuizione espressa la Corte d'Appello non ha considerato che l'appellante C. era parte parzialmente vittoriosa nel grado, onde, statuendo sulle relative spese non avrebbe potuto essere condannata nemmeno in parte riguardo ad esse. Tali spese avrebbero potuto soltanto o essere compensate integralmente o essere compensate in parte, ma con condanna per il residuo della parte appellata, cioè dello I. . È principio consolidato, infatti, quello secondo cui “In caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell'articolo 92 cod. proc. civ., ed in applicazione del cosiddetto principio di causalità, escludere la ripetizione di spese sostenute dalla parte vittoriosa ove le ritenga eccessive o superflue, ma non anche condannare la parte stessa vittoriosa ad un rimborso di spese sostenute dalla controparte, indipendentemente dalla soccombenza, poiché tale condanna è consentita dall'ordinamento solo per la ipotesi eccezionale e la cui ricorrenza richiede specifica espressa motivazione che tali spese siano state causate all'altra parte per via di trasgressione al dovere di cui all'articolo 88 cod. proc. civ Ne consegue che qualora la parte attrice sia rimasta vittoriosa in misura più o meno significativamente inferiore rispetto all'entità del bene che attraverso il processo ed in forza della pronuncia giurisdizionale si proponeva di conseguire, e la parte convenuta abbia adottato posizioni difensive concilianti o di parziale contestazione degli avversari assunti, possono ravvisarsi - secondo il discrezionale apprezzamento ad opere del giudice, del loro vario atteggiarsi - i giusti motivi atti a legittimare la compensazione, pro quota o per intero, delle spese tra le parti e non anche un'ipotesi di soccombenza reciproca”. Cass. numero 2653 del 1994 . Il descritto modo di procedere sarebbe stato corretto, però, se la Corte territoriale avesse proceduto a statuire anche sulle spese del giudizio di primo grado, cosa che invece - come s'è detto - non ha fatto espressamente. L'omessa statuizione, peraltro, non potendo in alcun modo lasciare in vita la statuizione di primo grado, che aveva compensato per metà le spese ed attribuito l'altra metà allo I. , ha comportato l'effetto di una mancata regolamentazione riguardo a dette spese, della quale nessuna delle parti si è doluta. Ne consegue che, in mancanza di una statuizione, è come se ognuna delle parti litiganti, riguardo alle spese del primo grado, sia rimasta responsabile delle proprie spese. Con la conseguenza di una sorta di implicito effetto compensativo della spese del primo grado. Ebbene, la formale statuizione fatta sulle spese del solo secondo grado può allora essere giustificata se la si considera nell'economia dell'esito complessivo della lite, cioè con riferimento alla valutazione della soccombenza finale, siccome risultante dalla conferma della sentenza di primo grado quanto alla statuizione di risoluzione e di condanna al pagamento dell'indennità di avviamento e dalla sua riforma quanto alla statuizione relativa ai canoni. Una volta compiuta tale valutazione il risultato finale espresso dall'addebito della metà delle spese del solo grado di appello al C. , comportando la compensazione della metà residua ed equivalendo implicitamente a compensazione integrale delle spese del primo grado, si risolve, tenuto conto che parte parzialmente vittoriosa rispetto alle domande originarie è sicuramente l'attore I. , no già nell'imposizione di una parte delle spese alla pare parzialmente vittoriosa, bensì nell'imposizione di essa alla parte parzialmente soccombente, tale essendo la posizione del C. , se valutata con riferimento all'esito complessivo della lite. Così corretta la motivazione, il dispositivo risulta allora giustificato e non deve farsi luogo alla cassazione in parte qua della sentenza impugnata. p.5.4. Il ricorso incidentale è, dunque, rigettato con la disposta correzione della motivazione. p.6. L'esito negativo di entrambi i ricorsi giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa le spese del giudizio di cassazione.