Omessa motivazione solo se il giudice non valuta la prova

di Enzo Di Giacomo

Il vizio di omessa o insufficiente motivazione sussiste solo se il giudice del merito non abbia esaminato i punti decisivi della controversia.Il principio di cui sopra è contenuto nella sentenza numero 13327 del 17 giugno 2011 della Corte di Cassazione, da cui emerge che il vizio di motivazione sussiste solo se il giudice di merito non ha esaminato le questioni più rilevanti della lite e non può consistere in una valutazione dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, atteso che l'organo di legittimità non può riesaminare e valutare il merito ma controllare l'iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito.Competenza del giudice di merito. Il giudice del merito, per le questioni contenute nel ricorso, ha l'obbligo di esaminare e valutare lo svolgimento dei fatti nonché valutare le prove addotte dalle parti processuali a sostegno dei fatti accaduti. La Corte di Cassazione, quale organo di legittimità, è tenuto a controllare l'iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito e, pertanto, non può sindacare l'analisi dei fatti compiuta da quest'ultimo. Il primo, quindi, decide su tutti gli aspetti della causa, tanto sulle questioni di fatto quanto su quelle di diritto, mentre quello di legittimità decide esclusivamente sulle questioni di diritto, controllando la corretta applicazione delle norme di diritto, sostanziale e processuale, da parte del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Conseguentemente, mentre il giudice di merito, nel caso d'impugnazione, se non conferma la pronuncia giudiziale impugnata, la sostituisce con la propria, il giudice di legittimità esegue un controllo sulla pronuncia impugnata e, qualora la ritenga illegittima, la annulla, rinviando se del caso la causa ad un giudice di merito per una nuova decisione. Negli ordinamenti di common law, ad esempio, il giudice dell'impugnazione ha limitate possibilità di rivedere le questioni di fatto decise con la pronuncia impugnata, sicché è essenzialmente un giudice di legittimità. Fattispecie. Una società del nord ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva parzialmente accolto l'appello dell'ufficio in relazione all'accertamento notificato alla società ai fini Iva ed Irap, mentre l'ufficio ha presentato ricorso incidentale eccependo l'ammissione di alcuni costi in detrazione. In particolare, secondo la ricorrente, il giudice dell'appello ha rideterminato i ricavi della società ed ha ritenuto infondata la ripresa dell'ufficio in ordine alle spese di ristrutturazione, sostenute per l'immobile locato alla società, e portate in deduzione da quest'ultima. Tra i motivi del ricorso, la società ha eccepito il vizio di motivazione della sentenza di appello, da cui non risultava sufficientemente spiegato l'iter logico posto in essere dal giudice ai fini della determinazione della percentuale di ricarico e dell'accertamento dei ricavi conseguiti dalla società.Omessa o insufficiente motivazione deducibile in Cassazione. La Corte ha ritenuto che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'articolo 360. numero 5, c.p.c., sussiste solo nel caso in cui nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte . Infatti detta norma non consente al giudice di legittimità di riesaminare il merito della causa ma solo di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito Cfr. Cass. numero 27162/2009 numero 6288/2011 . Soltanto il giudice di merito, infatti, può valutare le prove che sono alla base dei fatti esposti, verificarne l'attendibilità e la concludenza, nonché scegliere tra le prove quelle ritenute idonee a supportare i fatti in discussione.Le spese di ristrutturazione per l'immobile locato sono detraibili. Circa la tesi difensiva dell'ufficio, illustrata nel ricorso incidentale, riguardante l'ammissione della detraibilità dei costi sostenuti dalla società per la ristrutturazione dell'immobile in cui era svolta l'attività d'impresa, la Suprema Corte ha ritenuto che le spese di manutenzione straordinaria sono a carico del locatore che, in quanto tale è il beneficiario delle opere eseguite. Atteso che la deducibilità di tali costi non può essere subordinata al diritto di proprietà dell'immobile, deve risultare che gli stessi siano sostenuti nell'esercizio dell'impresa, al fine di poter realizzare il miglior esercizio dell'attività imprenditoriale e dell'aumento della redditività della stessa. Quello che rileva, pertanto, è la strumentalità dell'immobile sui cui vengono eseguiti i lavori di ristrutturazione, a prescindere dalla proprietà del bene da parte del soggetto che segue il lavori. In materia di Iva, l'affittuario di fondi rustici è ammesso alla detrazione di imposta delle spese di ristrutturazione degli edifici rurali compresi nell'azienda agricola detenuta in locazione, non rilevando che egli non ne sia il proprietario Cass. 30 aprile 2009, numero 10079 . L'affittuario è legittimato ad eseguire le opere di miglioramento che gli consentano il miglior esercizio dell'attività imprenditoriale ma è anche il destinatario della norma agevolativa fiscale avente per oggetto le spese che incrementano il valore del bene, risultano ammesso alla detraibilità di tali spese. Cass. 16 febbraio 2010, numero 3544 .* Esperto tributario

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 21 aprile - 17 giugno 2011, numero 13327Presidente Parmeggiani - Relatore VirgilioRitenuto in fatto1. La Z.G.O. s.numero c., esercente attività di commercio al dettaglio di capi di abbigliamento, cessata nel 2006, ed i soci, G.B., Z.F. e O.Z. propongono ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto indicata in epigrafe, con la quale è stato parzialmente accolto l'appello dell'Ufficio in relazione all'avviso di accertamento notificato alla società, ai fini IVA ed IRAP, ed ai soci, ai fini 1RPEF, per l'anno 1998.In particolare, il giudice d'appello, da un lato, ha determinato i ricavi della società in L. 1.071.000.000, rispetto ad un dichiarato di circa L. 949.500.000, e, dall'altro, ha ritenuto infondata la ripresa dell'Ufficio in ordine alle spese, sostenute dalla società e portate in deduzione, per la ristrutturazione dell'immobile, condotto in locazione, in cui svolgeva l'attività.2. Il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle entrate resistono con controricorso e propongono anche ricorso incidentale basato su un unico motivo.3. I contribuenti ricorrenti hanno depositato memoria.Considerato in diritto1. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell'articolo 335 c.p.c 2. Con il primo motivo del ricorso principale, è denunciata la violazione del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 32 e 42, D.P.R. numero 633 del 1972, articolo 51 e 56, L. numero 241 del 1990, articolo 3, e L. numero 212 del 2000, articolo 7.I ricorrenti lamentano che il giudice d'appello, ai fini della valutazione della percentuale di ricarico applicata dall'Ufficio, ha tenuto conto dell'esito di un'attività istruttoria espletata da quest'ultimo nel corso del giudizio di primo grado, attraverso la notifica alla società di un secondo questionario oltre a quello già inviato prima della notifica dell'avviso di accertamento , in violazione del principio in virtù del quale l'amministrazione non potrebbe più esercitare i propri poteri istruttori, ai fini dell'assolvimento dell'onere della prova in sede contenziosa, dopo l'emissione dell'atto impositivo e nel corso del giudizio.Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano nuovamente la violazione del D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 42, e D.P.R. numero 63 del 1972, articolo 56, sotto il profilo della illegittima integrazione, in grado di appello, sempre in merito alla quantificazione della percentuale di ricarico, della motivazione dell'avviso di accertamento.I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, si rivelano inammissibili per difetto di autosufficienza.Non è, infatti, dimostrato nel ricorso, attraverso la riproduzione del contenuto degli atti richiamati nè risulta alcunchè dalla sentenza impugnata , che la documentazione acquisita dall'Ufficio mediante il secondo questionario contenesse effettivamente elementi nuovi e diversi rispetto a quelli già raccolti in precedenza, e tali da rivestire efficacia decisiva ai fini dell'iter logico della pronuncia impugnata.3. Con il terzo ed il quarto motivo, i ricorrenti denunciano violazione degli articolo 2697, 2727 e 2729 c.c. anche in combinato disposto con il D.P.R. numero 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lett. d , deducendo che il giudice d'appello ha ritenuto corretto l'avviso di accertamento, pur essendo questo basato unicamente sulla circostanza che il reddito dichiarato era inferiore alla media del settore di riferimento lamentano che in tal modo è stato violato il divieto di praesumptio de praesumpto e il principio secondo cui le medie di settore non possono, di per sè sole, costituire presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.I motivi, da esaminare anch'essi congiuntamente, sono chiaramente infondati, poichè la circostanza che l'accertamento fosse basato esclusivamente sullo scostamento del reddito dichiarato dalla media di settore è smentita dalla sentenza impugnata, nella quale si legge che la ragione dell'accertamento induttivo conseguiva dal contrasto emergente tra le scritture contabili, le risposte ai questionari inviati alla parte e l'incongruenza rispetto ai ricavi medi delle imprese del settore , e che, anzi, l'aspetto più rilevante è rappresentato dalla risposta fornita dalla società al questionario .4. Infine, con il quinto motivo, viene denunciato il vizio di motivazione della sentenza, dalla quale non risulterebbe sufficientemente rappresentato il procedimento logico seguito dal giudice nel pervenire sia alla determinazione della percentuale di ricarico nella misura del 180 per cento sulla base di quella indicata dall'Ufficio nella misura del 199 per cento , sia all'accertamento dei ricavi conseguiti dalla contribuente dalla svendita di liquidazione del magazzino.Il motivo è inammissibile.Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex articolo 360 c.p.c., numero 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione ex plurimis, da ult. Cass. nnumero 27162/2009, 6288/2011 .Nella specie, si è in presenza di un'ampia ed articolata motivazione fornita dalla Commissione tributaria regionale - in cui si espone, senza incorrere in evidenti vizi logici, l'iter argomentativo in base al quale il giudice è pervenuto alla formazione del proprio convincimento sotto entrambi i profili sopra indicati -, a fronte della quale i ricorrenti pretendono, in definitiva, un non consentito riesame del merito.5. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, l'Amministrazione, denunciando violazione dell'articolo 109 del nuovo TUIR e articolo 1576, 1609 e 1621 c.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice a quo ha ritenuto detraibili i costi sostenuti dalla società contribuente per la ristrutturazione dell'immobile in cui era svolta l'attività d'impresa, posseduto in locazione, osservando in contrario che, secondo la citata disciplina civilistica, le spese di manutenzione straordinaria sono poste a carico del locatore e ciò sarebbe stato confermato anche nel contratto di locazione , che resta il beneficiario delle opere eseguite.Il motivo è infondato.Premesso che nella sentenza è accertato in fatto che le spese di cui trattasi sono state sostenute per il riordino e la ristrutturazione del locale e che esse erano certamente collegabili allo svolgimento dell'attività imprenditoriale , deve ritenersi che la deducibilità di detti costi non possa essere subordinata al diritto di proprietà dell'immobile, essendo sufficiente che gli stessi siano sostenuti nell'esercizio dell'impresa, al fine della realizzazione del miglior esercizio dell'attività imprenditoriale e dell'aumento della redditività della stessa, e che, ovviamente, risultino dalla documentazione contabile cfr., in casi analoghi concernenti la detraibilità dell'IVA, Cass. nnumero 10079/2009, 3544/2010 .Ciò che rileva, in definitiva, è la strumentalità dell'immobile, sul quale vengono eseguiti i lavori di ristrutturazione o miglioramento, all'attività dell'impresa, a prescindere dalla proprietà del bene da parte del soggetto che esegue i lavori, restando, quindi, irrilevante, di per sè, la disciplina civilistica in tema di locazione e gli stessi accordi contrattuali intercorsi tra le parti fermo rimanendo ovviamente la configurabilità di fattispecie fraudolente - e cioè in definitiva di ipotesi di fittizietà dei costi -, che l'Amministrazione non ha, nel caso in esame, contestato, salvo farne un generico accenno solo in questa sede peraltro, va in aggiunta rilevato che il giudice d'appello, in ordine alla tesi dell'Ufficio secondo cui le spese erano state contrattualmente poste a carico del proprietario, ha affermato, senza che ciò sia stato oggetto di censura, che essa era basata su una interpretazione del contratto di locazione discutibile .6. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati.7. In considerazione della reciproca soccombenza, va disposta la compensazione delle spese del presente giudizio.P.Q.M.La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.