Soccombenza virtuale, ente impositore condannato alle spese del giudizio tributario

di Antonio Terlizzi

di Antonio Terlizzi *A seguito della sentenza della Corte Costituzionale numero 274 del 2005, il principio della responsabilità della parte soccombente per le spese di giudizio trova piena applicazione anche nel processo tributario. E, dunque, il giudice di merito che prende atto del venir meno della materia del contendere per autotutela dell'ufficio sgravio della cartella deve procedere ad una valutazione dell'esito virtuale della controversia e ben può accollare le spese alla parte virtualmente soccombente. Tale assunto è stato statuito dalla recente sentenza numero 58 del 7 febbraio 2011 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma.Il principio della soccombenza virtuale. Orbene nel caso di estinzione per cessata materia del contendere trova, alla luce della sentenza numero 274/2005, applicazione il principio della soccombenza virtuale , elaborazione di natura giurisprudenziale, ovvero la prosecuzione della causa allo scopo di accertare a quale delle parti imputare la responsabilità del procedimento ovvero chi è tenuto a sopportare le spese di giudizio. Il tabù della peculiarità del processo tributario nei confronti di quello amministrativo e di quello civile, in cui è applicabile la cd. soccombenza virtuale, è abbandonato o disconosciuto dal giudice delle leggi per ricondurre, alla luce del principio di ragionevolezza, la cessata materia del contendere nel processo tributario nel diritto comune. La cessazione della materia del contendere che sopravviene nel corso del processo tributario non esime il giudice tributario a provvedere sulle spese dell'intero giudizio, anche in difetto di istanza di parte, valutando al riguardo se sussistono giusti motivi di totale o parziale compensazione, ovvero addossando dette spese all'una o all'altra secondo il criterio della soccombenza virtuale. A seguito della sentenza numero 274 del 2005 della Corte costituzionale, il totale annullamento d'ufficio dell'atto impugnato non determina, di per sé, l'integrale cessazione della materia del contendere, dovendosi procedere al regolamento delle spese di lite in base alla cosiddetta soccombenza virtuale, che presuppone un esame della fondatezza delle questioni introdotte nel giudizio e, quindi, l'individuazione dell'ipotetico soccombente, anche per ragioni di natura solo processuale. Per ciò che riguarda la ripartizione delle spese è necessario che il giudice tributario accerti a quale delle parti del giudizio deve imputarsi la responsabilità di aver causato lo stesso. Via libera alla valutazione caso per caso. Il giudice tributario effettua, caso per caso, una valutazione sul regime processuale delle spese da applicare senza essere vincolato ad operare la compensazione automatica nell'ipotesi di cessata materia del contendere. La compensazione ope legis delle spese nel caso di cessazione della materia del contendere, rendendo inoperante il principio generale di responsabilità per le spese di giudizio, si traduce, ormai, in un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento il ritiro dell'atto, nel caso dell'amministrazione, o l'acquiescenza alla pretesa tributaria, nel caso del contribuente di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni, e, corrispondentemente, in un del pari ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo tributario, dell'assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta a ricorrere alla mediazione onerosa di un professionista abilitato alla difesa in giudizio .Il malgoverno del potere di autotutela comporta la condanna alla rifusione delle spese di giudizio in danno del Fisco. Alla cessazione della materia del contendere, a seguito di annullamento dell'atto impugnato, in sede di autotutela, dopo la definizione del giudizio di merito, non può meccanicamente correlarsi la compensazione delle spese, non essendo improntata una siffatta soluzione esegetica, che riserva alla parte pubblica un trattamento privilegiato privo di obbiettiva giustificazione, ad un'ottica rispettosa dei principi costituzionali di ragionevolezza, di parità delle parti e del giusto processo . Pertanto, in una prospettiva di equiparazione del processo tributario a quello civile ordinario, deve farsi ricorso alla regola, propria del secondo, della soccombenza virtuale , la cui applicazione nel primo è stata in passato esclusa proprio per essere stata ritenuta, in modo non convincente, di ostacolo all'esercizio dell'autotutela, cui possa seguire la condanna dell'amministrazione alle spese Cass. civ., sez. V, 19 gennaio 2007, numero 1230 . Qualora l'Amministrazione finanziaria, a seguito dell'impugnazione dell'atto impositivo, in quanto viziato sul piano formale nella specie, per la mancata indicazione delle aliquote applicate al maggior reddito d'impresa accertato in sede di rettifica della dichiarazione , abbia provveduto alla sua sostituzione con altro atto idoneo a sanare il vizio tempestivamente fatto valere dal contribuente, l'intervenuta cessazione della materia del contendere, dichiarata ai sensi dell'articolo 46 del D.lgs. 31 dicembre 1992, numero 546, non esclude la soccombenza virtuale dell'Amministrazione, onde la motivazione del giudice di merito, che legittimamente, sia pure in base al comma terzo di detta disposizione come successivamente riformulato a seguito della parziale dichiarazione d'illegittimità costituzionale pronunciata con sentenza numero 274 del 2005 della Corte costituzionale, abbia condannato l'Ufficio a rifondere le spese sostenute dal contribuente, non è contraddittoria, ma pienamente coerente con la ratio della previsione legislativa, in tali sensi resa conforme a Costituzione Cass. civ., sez. V, 4 ottobre 2006, numero 21380 . Laddove il Fisco annulli il provvedimento impugnato dal contribuente davanti al giudice tributario si determina la cessazione della materia del contendere. Peraltro, poiché il potere di autotutela deve essere esercitato al fine di assicurare l'imparzialità ed il buon andamento della Pubblica Amministrazione, esso non può costituire strumento utilizzabile per vanificare l'azione del contribuente limitandone l'efficacia. Conseguentemente, il malgoverno del potere di autotutela comporta la condanna alla rifusione delle spese di giudizio in danno del fisco Sent. numero 21530 del 27 giugno 2007 dep. il 15 ottobre 2007 della Corte Cass. sez. tributaria . La tardività nell'esercizio dei poteri di autotutela es. sgravio della cartella che non consente di evitare l'impugnazione dell'atto impositivo permette al giudice tributario la condanna alle spese processuali dell'ente impositore infatti, dopo la sentenza della Corte Costituzionale numero 274/2005, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 46 del D.Lgs. numero 546/1992 nella parte in cui esclude la possibilità di condannare alle spese una delle parti in caso di dichiarazione di cessazione della materia del contendere, non vi è alcun ostacolo a porre a carico del ritardatario ente impositore il rimborso delle spese di giudizio a favore del contribuente. Da parte del Fisco, alla luce della sentenza citata della Consulta, si richiede una più oculata attenzione alla fondatezza della pretesa fiscale evidenziata negli atti impositivi, un sicuro impulso all'istituto deflattivo dell'accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale e soprattutto l'annullamento in autotutela degli atti impositivi infondati o illegittimi prima della notifica del ricorso del contribuente e comunque prima del deposito dello stesso ricorso, ciò al fine di evitare ulteriori aggravi di oneri a carico dell'erario. Al Fisco l'onere di dimostrare che il fatto estintivo si sia verificato prima della notifica del ricorso. Occorre distinguere l'ipotesi in cui l'annullamento del fisco intervenga prima del deposito del ricorso in tal caso è giustificata la non condanna del fisco alle spese poiché il contribuente potrebbe non esperire la tutela giurisdizionale. La decisione sull'an debeatur delle spese a carico del fisco appare giustificata laddove la determinazione in autotutela è stata comunicata al contribuente tardivamente es. solo in sede di udienza costringendo il ricorrente ad espletare attività difensiva ed a sostenere spese ingiustificate dinanzi ad un evidente errore del Fisco in tal senso CTR Roma 8 sentenza numero 77 del 23/05/2006 . Spetta al Fisco l'onere di dimostrare che il fatto estintivo del diritto azionato dal ricorrente era avvenuto prima della notifica del ricorso. Il Fisco in relazione all'esercizio della potestà di annullamento in via di autotutela ,deve procedere, alla luce del principio di economicità e di efficienza dell'azione amministrativa ed in una prospettiva di analisi costi benefici senza alcun indugio alla valutazione delle istante di autotutela prodotte dai contribuenti, provvedendo a dare risposta in senso positivo per le pretese erariali infondate o illegittime, al fine di evitare l'instaurazione di un dannoso ed inutile contenzioso tributario, anche sotto il profilo della condanna alle spese processuali. L'inerzia può comportare per l'Amministrazione maggiori oneri patrimoniali e la conseguente responsabilità amministrativa per danno indiretto del funzionario preposto all'autotutela ovvero al rimborso a favore del contribuente.* Esperto tributario

Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sez. IXX, sentenza 12 gennaio 2011 - 7 febbraio 2011, numero 58Presidente Rinaldi - Relatore SorrentinoFatto e diritto1. Con ricorso depositato in data 24/03/2010 Z. N. ha chiesto l'annullamento della cartella di pagamento indicata in epigrafe, concernente l'IRPEF, le relative addizionali, oltre a interessi e sanzioni per l'anno 2005, emessa a seguito di controllo formale ex articolo 36-ter d.P.R. numero 600 del 1973 sul modello 730/2006 per complessivi Euro 21.009,60.In particolare la ricorrente ha dedotto che, per un errore formale da parte del sostituto di imposta Z. O. s.r.l., le ritenute subite e certificate nel CUD pari a Euro 13.852,00 non sono state regolarmente riportate nel Mod. 770/2006 presentato in data 29/09/2006, dalla società, che ha provveduto ad una dichiarazione integrativa in data 04/02/2010.2. L'agenzia delle entrate, costituendosi in giudizio, ha concluso per il rigetto del ricorso. In data 11/01/2010 la ricorrente ha con una memoria formulato richiesta di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. In data odierna la Commissione ha trattenuto la controversia in decisione.3. La impugnazione della cartella è limitata al mancato riconoscimento da parte dell'Ufficio delle ritenute di imposta pari a Euro 13.852,00 che figurano nel CUD e quindi nel 730 relativi alla contribuente. Così circoscritta la materia del contendere, deve dichiarasi l'estinzione del relativo giudizio, posto che come sopra accennato l'Agenzia delle Entrate ha proceduto allo sgravio delle somme relative alle suddette ritenute cfr. atto di sgravio dell'Agenzia delle Entrate in data 27/10/2010, in atti .In ordine alle spese, dovendosi fare ricorso alla regola della soccombenza virtuale , applicabile anche in caso di annullamento in sede di autotutela da parte dell'Amministrazione cfr. Cass. 2007/1230 Cass. 2006/21380, in linea del resto con la sentenza numero 274 del 2005 della Corte Costituzionale , questa Commissione ritiene di dover disporre il rimborso delle spese sostenute dalla parte ricorrente liquidate come da dispositivo in considerazione dell'insussistenza dell'obbligazione tributaria in contestazione.Per questi motiviLa Commissione Tributaria Provinciale di Roma - sezione numero 19 - dichiara l'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere nei sensi di cui in motivazione condanna l'Agenzia delle Entrate al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 520,00, comprensivi del rimborso forfettario delle spese generali, oltre a Euro 50,00 per spese.