Lotta in classe ma uno studente rimane ferito. Solo un gioco? No, è violenza

Confermata la contestazione del reato sotto accusa tre ragazzi che avevano preso di mira un compagno. Evidente, per i giudici, la coazione psichica esercitata sulla vittima, frutto di un gioco trasformatosi in azione violenza.

Lotta come gioco tra adolescenti, ma la ‘soglia limite’ della violenza è sottile e facilmente superabile. Da lì si cade nel bullismo e nell’abuso. Che comporta una legittima condanna, nonostante il contesto la classe scolastica e nonostante la presenza di compagni di classe e persino dell’insegnante Cassazione, sentenza numero 11620, Quinta sezione Penale, depositata oggi . Giochi con le mani È l’ennesimo, increscioso episodio di bullismo tra le mura di una scuola ad entrare ancora in un’aula di giustizia. A dare il ‘la’ una lotta dai caratteri ludici che, poi, però, si trasforma in una sottomissione per il ragazzo soccombente. E gli effetti sono evidenti le lesioni subite dalla vittima vengono accertate anche da un medico. A finire sotto accusa tre compagni di classe a questi vengono contestate lesioni personali e violenza privata, con l’aggravante della violenza sessuale. Solo lotta? A trascinare il caso sino in Cassazione è uno dei tre autori della violenza, riconosciuto colpevole sia in primo che in secondo grado per le azioni compiute nei confronti del compagno di classe. Secondo il legale che lo rappresenta in terzo grado, però, la valutazione complessiva dei giudici è stata eccessiva, perché, innanzitutto, nei confronti della vittima gli «atti sessuali» erano stati «solo simulati», e quindi si poteva ipotizzare soltanto «un comportamento ingiurioso», escludendo «la violenza fisica». All’interno del quadro difensivo, poi, si colloca anche il ‘peso’ dato al fatto che «l’episodio» si era verificato «in una situazione iniziale di gioco, ovvero di una lotta tra i protagonisti» è evidente, secondo il legale, che «la circostanza di restare soccombente era insita nel concetto di lotta», e, allora, come poteva «essere avvertito il dissenso del soggetto soccombente»? Per chiudere, infine, viene anche sottolineata la «modesta entità» delle lesioni, «normali conseguenze di un gioco, non volute dall’imputato», e «la mera occasionalità del comportamento e la particolare tenuità del fatto», anche tenendo presente che l’episodio incriminato era «sfociato in una esagerazione dei comportamenti ludici, in presenza di altri compagni di classe e dell’insegnante». Violenza. Ma la richiesta avanzata dal legale, ovvero l’annullamento della pronuncia di secondo grado, viene completamente respinta dai giudici della Cassazione. Per questi ultimi, difatti, è evidente, secondo quanto ricostruito in primo e in secondo grado, «la coazione psichica esercitata sul minore, vittima del reato», anche tenendo presente i paletti fissati, sul fronte della violenza privata, dalla giurisprudenza e avendo ben in mente il «dissenso palesato dal soggetto passivo del reato». Ciò che è evidente, complessivamente, per i giudici, alla luce della «condotta tenuta dai giovani protagonisti del grave episodio», è «la strumentalizzazione, in pregiudizio del minore persona offesa, del gioco iniziale» trasformatosi «con la partecipazione di più persone» in una «azione violenta». E rilevanti sono le «condizioni» della persona offesa, come emerso da «accertamento eseguito da un medico». Per questi motivi, le sanzioni comminate in Appello per l’episodio di bullismo vanno riconfermate in toto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 dicembre 2011 – 26 marzo 2012, numero 11620 Presidente marasca – Relatore De Berardinis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 3-11-2010 la Corte di Appello di Lecce-Sez. per i Minorenni riformava parzialmente la sentenza emessa dal Tribunale per i Minorenni in data 4-12-2009, appellata da C.A.-D.A.-M.A. - imputati di reato di violenza privata ai sensi dell’articolo 610 comma 2 CP. - così modificata l’originaria imputazione di cui al capo A - formulata ai sensi degli articolo 110-609 bis-609 ter numero 1 CP. nonchè il C. e il D. del reato di lesioni ex articolo 582 CP. ai danni di altro minorenne. Il Tribunale aveva dichiarano non doversi procedere a carico del C. del D. e del M., per il reato di violenza privata ascritto per concessione del perdono giudiziale, ed aveva assolto il C. da altro delitto sub C contestato ai sensi dell’articolo 610 CP. perché il fatto non sussiste. La Corte territoriale, aveva riformato la sentenza limitatamente alla posizione del M., in ordine alla determinazione di pena, confermando le ulteriori statuizioni della sentenza impugnata. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di D.A.,deducendo la nullità della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in riferimento all’articolo 610 CP., nonché la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 CPP. lettere B ed E - e articolo 546 comma I lettera e CPP. Con tale motivo evidenziava il concetto di violenza tipico della fattispecie astratta contemplata dall’articolo 610 CP. sostenendo che nella specie essendosi verificata una condotta con la quale si asseriva essere stati solo “simulati” atti sessuali, nei riguardi di un altro minore si trattava, al più, di un comportamento ingiurioso verso il soggetto passivo del reato, e avrebbe dovuto escludersi il requisito della violenza fisica, sufficiente ad integrare la limitazione dell’altrui libertà del volere. 2 - deduceva altresì la nullità della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione degli articolo 610-43-50-59 CP., e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi degli articolo 546-606 CPP. A riguardo evidenziava che la Corte, dopo aver ritenuto che l’episodio si fosse verificato in una situazione iniziale di gioco, ovvero di una lotta tra i protagonisti aveva d’altra parte rilevato che si era poi verificato uno snaturamento dell’attività ludica, che il soggetto passivo del reato aveva condiviso,e in tal momento sarebbe stato dissenziente. La difesa rilevava l’illogicità di tale percorso logico, osservando che la circostanza di restare soccombente era insita nel concetto di lotta. Peraltro il ricorrente rilevava che non si era data risposta alle censure difensive, con le quali ci si chiedeva come potesse essere avvertito il dissenso del soggetto soccombente, pur rilevandosi che, costui aveva chiesto ai compagni di interrompere l’attività. 3 - Con altro motivo censurava la sentenza per erronea applicazione degli articolo 582-43-50-59 CP. e articolo 546 CPP. rilevando che la Corte non aveva preso in considerazione l’applicabilità della esimente del consenso dell’avente diritto. Sul punto rilevava che le lesioni erano di modesta entità e tali da non precludere l’applicazione dell’esimente richiamata, ritenendo che esse fossero normali conseguenze di in gioco, non volute dall’imputato. 4 - Con ulteriore motivo la difesa deduceva la mancanza contraddittorietà, ed illogicità della motivazione, e l’inosservanza della legge penale,rilevando che la mera occasionalità del comportamento e la particolare tenuità del fatto erano elementi che avrebbero consentito di ritenere l’irrilevanza della condotta ai sensi dell’articolo 27 co. 1 DPR. numero 448/88. Evidenziava che si era verificato un episodio sfociato in una esagerazione dei comportamenti ludici, in presenza di altri compagni di classe e dell’insegnante. Per tali motivi chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata. Osserva in diritto Il ricorso risulta privo di fondamento. Le deduzioni difensive inerenti alla erronea applicazione della legge penale, in riferimento al delitto di cui all’articolo 610 CF., appaiono articolate senza individuare elementi di fatto, travisati dal Giudice di appello, tali da inficiare il quadro accusatorio. Nella specie, risulta correttamente applicata la disposizione dell’articolo 610 CP. evidenziandosi dalla motivazione, del tutto esauriente e logica, formulata dalla Corte territoriale, la coazione psichica, esercitata sul minore, vittima del reato. Al riguardo la sentenza impugnata si pone in sintonia con i canoni giurisprudenziali sanciti da questa Corte con sentenza - Sez. V del 7 maggio 1998, numero 1195, PG in proc. Piccinin ed altr. Conforme Sez. V - del 5-11-2008, numero 41311_R.V211230 - per cui “Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, ben potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima o di violenza impropria che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui impedendone la libera determinazione”. Nella specie la corte territoriale ha compiuto sull’argomento del dissenso palesato dal soggetto passivo del reato, un’analisi puntuale delle risultanze probatorie, che rende adeguata spiegazione della infondatezza della tesi difensiva, che si propone nel ricorso. Invero risulta “evidente” alla stregua della evoluzione della condotta tenuta dai giovani protagonisti del grave episodio delittuoso, la strumentalizzazione - in pregiudizio del minore persona offesa - del gioco iniziale, che la Corte dimostra essersi trasformato, con la partecipazione di più persone, nella azione violenta e la motivazione rende conto altresì delle condizioni in cui la persona offesa venne a trovarsi, desumendole da quanto emerso da accertamento eseguito da un medico . Le argomentazioni difensive inerenti alla simulazione degli atti sessuali, non valgono ad inficiare il tessuto argomentativo del tutto coerente e logico che caratterizza la motivazione della sentenza impugnata. D’altra parte si ritengono inammissibili le censure con le quali si prospetta l’applicabilità della esimente del consenso dell’avente diritto, in quanto formulate con argomentazioni in fatto tendenti a proporre la diversa interpretazione dei dati probatori, che con chiarezza e precisione emergono dalla sentenza impugnata. Devono ritenersi inoltre inammissibili i motivi inerenti alla contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in quanto ripetitivi delle tesi difensive, e fondati sul dato della pretesa tenuità ed occasionalità del fatto, non dimostrata da concreti elementi, e smentita dalla congrua motivazione della Corte territoriale, che sostanzialmente evidenzia le conseguenze della condotta delittuosa rilevate dal sanitario che aveva accertato lo state del minore. Alla stregua dei suddetti rilievi ritenuti, in tal senso superati tutti i rilievi del ricorrente, si osserva che la sentenza impugnata risulta immune dai richiamati vizi di legittimità onde va pronunziato il rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Dispone l’oscuramento dei dati.