In due pronunce, una del 2013 e l’altra recentissima, la Corte di Cassazione ha attribuito pregnante rilevanza, ai fini dell’accertamento del reato di riciclaggio, a qualificate ipotesi di omesse segnalazione sospette da parte di dirigenti di banche presso le quali le operazioni erano state effettuate. Le due decisioni, di notevole importanza, segnano un passo avanti nel contrasto al riciclaggio, al contempo sollevando alcune questioni problematiche.
Le segnalazioni di operazioni sospette. Le segnalazioni di operazioni sospette sono un efficace strumento di prevenzione e contrasto al riciclaggio, esteso dopo l’11 settembre anche al contrasto finanziario al terrorismo. Di derivazione anglosassone, non costituiscono una notitia criminis ma rientrano nella “collaborazione attiva” richiesta a tutte le categorie di intermediari finanziari e di altri operatori che dispongano di punti di osservazione privilegiati per valutare la coerenza tra il profilo economico e gli effettivi comportamenti della clientela. Per indirizzare tale collaborazione sono stati emanati specifici indicatori di anomalìa da parte di a Banca d’Italia per le banche e gli altri intermediari finanziari b Ministero di Giustizia per i professionisti c Ministero dell’Interno per gli intermediari non finanziari es. case d’aste e per la Pubblica Amministrazione. Le segnalazioni vengono trasmesse all’Unità di Informazione Finanziaria-UIF della Banca d’Italia, che le approfondisce sotto l’aspetto finanziario e le invia agli Organi Investigativi. Nel 2014 la UIF ne ha ricevute 71.700 di cui oltre l’82% da Banche e Poste. Secondo dati del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, sempre nel 2014, quasi 28.000 segnalazioni di operazioni sospette hanno innescato approfondimenti investigativi e sono state circa 8.400 le segnalazioni che, in seguito alle indagini della Guardia di Finanza, hanno dato luogo a, o sono confluite in, procedimenti penali. L’omessa segnalazione di operazioni sospette è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dall’1% al 40% dell’importo non segnalato articolo 57, comma 4, d.lgs numero 231/07 . Più di recente, due sentenze della Cassazione, la 1334/2013 e la 9472/2016, hanno valutato qualificate, omesse segnalazioni – del funzionario o del direttore di banca - ai fini del reato di riciclaggio. La sentenza numero 29452 del 17 maggio 2013. La decisione ha posto fine al procedimento penale detto “Ortomercato” chiamato così per via del luogo di commercio di Milano che era stato infiltrato dalla criminalità organizzata. Con essa la Cassazione, confermando la sentenza di Appello, condannava per riciclaggio un funzionario di banca che aveva gestito gli affidamenti erogati in favore di una serie di cooperative di logistica e facchinaggio, ivi operanti. Secondo la Procura le cosche avevano utilizzato strutture ed uffici dell’Ortomercato come basi logistiche per la gestione di partite di stupefacenti. La Corte confermava la condanna in Appello, sulla base delle consulenze tecniche Mainieri, Bellavia che avevano ricostruito i seguenti principali indici sintomatici dell’elemento soggettivo dolo eventuale dell’imputato - non aver valutato, come invece dovuto, l’unico gruppo economico, trattenendo così presso di sé le pratiche che altrimenti avrebbero dovuto essere attribuite ai superiori per competenza di valore e non censendo conseguentemente il vero dominus delle operazioni - aver concesso affidamenti senza garanzie, in un caso perfino a società in liquidazione - aver consentito erogazioni a fronte di documentazione così scarna da non fornirne giustificazione - aver portato gli affidati al proprio seguito quando trasferito da una filiale ad altra - aver consentito — tramite sigle di autorizzazione su assegni di traenza — assai consistenti ed anomali prelievi di contante sui conti in questione, senza procedere alle dovute segnalazioni antiriciclaggio, malgrado l’entità delle somme. Sempre secondo la Cassazione, le operazioni di prelievo dei fondi, in presenza di fatture per operazioni inesistenti, avevano consentito di sostituire con denaro documenti fiscali provenienti dal delitto di cui all’articolo 8 del d.lgs. numero 74/2000, permettendo così l’occultamento posto a base dell’articolo 648-bis. La sentenza numero 9472 del 14 gennaio 2016. Con tale decisione la Cassazione ha confermato la sentenza di Appello che condannava un direttore di banca per concorso in riciclaggio. Il contesto è quello conseguente ad una truffa ai danni di un primario emittente di carte di credito. Nella specie, un direttore di banca aveva consentito ad altro soggetto, poi condannato, di aprire un conto corrente su cui – in un breve lasso di tempo - erano state trasferiti in più tranche ampi proventi della truffa, ed erano poi stati autorizzati cospicui prelevamenti di contante, nonché un giro parziale su un conto di una sedicente cittadina inglese. La Cassazione ha riconosciuto in capo al direttore della filiale i seguenti indici sintomatici di una componente volontaristica - l’anomalia delle operazioni connotate “da qualcosa in più del mero sospetto” - la posizione ricoperta - le competenze in materia bancaria - la specificità della normativa violata, diretta ad evitare il riciclaggio di denaro. Queste circostanze, secondo la decisione “imponevano all’imputato, riconosciute le operazioni come anomale, di astenersi dal compierle, sicché la scelta attiva di autorizzarle, omettendo le segnalazioni, ha costituito l’esito di un processo decisionale autonomo con accettazione del rischio”. Anche questa recente sentenza mette alla base dell’elemento soggettivo del riciclaggio il dolo eventuale, oggetto di ormai pacifica configurabilità da parte della Cassazione vedi infra . Si specifica altresì che «le caratteristiche delle operazioni bancarie non segnalate, la loro consistenza [avrebbero fornito] sicuri indici di anomalia che nonostante tutto non hanno dissuaso l’agente dall’autorizzarle accettando così consapevolmente il rischio della consumazione del riciclaggio». Il dolo eventuale nel reato di riciclaggio. In entrambe le decisioni esaminate, che tra l’altro confermano altrettante sentenze di condanna in Appello, la configurabilità del “dolo eventuale” nel reato di riciclaggio, senza alcun riferimento a scopi di lucro, sembra oramai essere diventata pacifica in giurisprudenza. Da un punto di vista dottrinale, il dolo eventuale o indiretto, è una figura di dolo la cui problematicità deriva dal suo collocamento in una zona limite con la c.d. colpa cosciente, con previsione, da cui il codice penale, all’articolo 61 numero 3, fa discendere un’aggravante di pena. In sostanza, si configura il dolo eventuale quando il soggetto agisca “senza” il fine di commettere il reato, rappresentandosi la commissione dello stesso come una conseguenza “possibile” di una condotta diretta ad altro scopo. La dottrina ricollega questo atteggiamento interiore alla “teoria dell’accettazione del rischio” non basterebbe, pertanto, che il soggetto si rappresenti mentalmente la concreta possibilità della verificabilità dell’evento, occorre altresì che egli “accetti” questa possibilità, decidendo di correre il rischio. Dapprima la Cassazione, Sezioni Unite numero 12433 del 26 novembre 2009, ha ammesso la punibilità a titolo di dolo eventuale nella ricettazione, articolo 648 c.p., fattispecie simile e comunque legata da un rapporto di specialità al riciclaggio, articolo 648-bis. In seguito la Suprema Corte ha direttamente più volte riconosciuto la compatibilità tra dolo eventuale e riciclaggio tra le altre cfr. Cass. sez. II 30 settembre 2014 numero 43348 . Ne bis in idem. Per completezza, è bene esaminare la questione anche sotto l’aspetto del ne bis in idem, ossia di una possibile duplicazione di sanzioni per lo stesso fatto. L’articolo 50 della Carta di Nizza o Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce il diritto di non essere due volte giudicato o punito per lo stesso reato. Nei casi in esame non si è trattato, anzitutto, di un doppio binario sanzionatorio, non risultando esser stata attivata anche una procedura di carattere amministrativo. Resta il fatto che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo - Cedu ha chiarito che la qualificazione della procedura data dall’ordinamento nazionale non può considerarsi l’unico elemento rilevante a meno di non voler affidare l’applicazione della garanzia alla discrezionalità degli Stati contraenti, discrezionalità che rischia di condurre a risultati incompatibili con l’oggetto e lo scopo della Cedu. Come autorevolmente affermato «una persona non può essere sanzionata per lo stesso comportamento con il pretesto che si tratti di una misura amministrativa o disciplinare». Non risultano, ad oggi, decisioni della CEDU sulla natura della sanzione per l’operazione non segnalata come sospetta e perciò se essa possa presentare quel carattere di afflittività tale da essere considerata equiparabile alla sanzione penale per tipologia, severità ed idoneità ad incidere sulla sfera patrimoniale e personale. Recentemente la Corte di Cassazione, sezione II Civile, sentenza 24 febbraio 2016, numero 3656 ha stabilito che le sanzioni pecuniarie previste dall’articolo 144 Testo Unico Bancario per carenze nei controlli interni da parte dei componenti del Consiglio di Amministrazione, proposte dalla Banca d’Italia al Ministero dell’Economia e da questi irrogate, non sono equiparabili alla sanzione penale alla stregua della giurisprudenza della CEDU. Non si accompagnano, infatti, a sanzioni accessorie, non è prevista la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito, la pena edittale ha un importo ben inferiore a quello previsto per le “manipolazioni di mercato” per cui l’Italia è sta invece condannata dalla CEDU caso Grande Stevens . Nei casi in esame sembra, in realtà, che più di una possibile doppia procedura sanzionatoria, si debba parlare di un’asserita violazione di un obbligo segnaletico, che la giurisprudenza – in presenza di qualificati indici di violazione - assume quale importante indizio a fini di valutazione di un’attività riciclatoria. Principio di specialità e concorso tra norme. Le citate pronunce pongono, nondimeno, il problema se il funzionario di banca possa essere contestualmente sanzionato sia per il reato di riciclaggio che per l’illecito amministrativo di omessa segnalazione di operazioni sospette. In proposito, non si può ravvisare nelle decisioni in questione una presunta violazione della norma penale sul principio di specialità, articolo 15 del codice penale, per l’ovvia considerazione che qui non ci si trova in presenza di più norme – penali – che regolino la stessa materia. Più complessa la questione del principio di specialità di cui alla l. numero 689/1981 Legge di depenalizzazione articolo 9, che recita «quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa si applica la disposizione speciale». Nell’ipotesi in cui più disposizioni in questo caso penali ed amministrative convergano sulla medesima situazione di fatto realizzando un concorso apparente di norme, nel nostro ordinamento, in ossequio al principio per cui un soggetto non può essere punito due volte per lo stesso fatto, è prevista la disciplina del principio di specialità. Tale principio, che opera quando tra le due norme concorrenti sussiste un rapporto di genere a specie, trova applicazione mediante la fattispecie con elementi costitutivi specializzanti così da evitare la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Tuttavia, poiché l’illecito amministrativo per lo più costituisce una forma di disciplina settoriale “specializzata” rispetto ad una certa materia, potrebbe spesso verificarsi la sua prevalenza su norme penali più ad ampio spettro applicativo, finendo con l’indebolire la tutela anziché integrarla. Per evitare ciò, la prassi legislativa, seguita anche dal legislatore dell’antiriciclaggio con il decreto numero 231/07, si orienta verso l’inserimento – nella violazione amministrativa – di una clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”. Così è stato anche per la norma sanzionatoria del mancato invio delle segnalazioni sospette articolo 57 comma 4 . Senza contare, da ultimo, che le sentenze esaminate non affrontano a rigore la stessa situazione di fatto del sottostante, presunto illecito amministrativo, ma basano la valutazione dell’elemento soggettivo sui forti indici di anomalia delle operazioni autorizzate che - nonostante la consapevolezza professionale - non hanno dissuaso l’agente dall’eseguirle o dal non segnalarle, accettando così consapevolmente il rischio della consumazione del riciclaggio. Conclusioni. Nell'individuazione del dolo da parte della Cassazione è stato dato particolare risalto a gravi inadempimenti dell’obbligo antiriciclaggio previsto dalla collaborazione attiva, che gli imputati dei due procedimenti non hanno posto in essere, prestando anzi la loro autorizzazione ad operazioni bancarie non in linea con la disciplina del settore. Si è tenuta in considerazione la specifica professionalità degli agenti, che – anche alla luce degli indicatori di sospetto forniti dalla Banca d'Italia – avrebbe dovuto facilmente individuare le qualificate anomalie. Le motivazioni addotte per la condanna ex articolo 648-bis appaiono frutto di una sempre maggiore considerazione da parte della Cassazione su temi di carattere bancario e di prevenzione del riciclaggio, in passato forse non sufficientemente presi nella dovuta considerazione dalle corti ma oggi sempre più rilevanti, anche in linea con i sempre più stringenti orientamenti internazionali. In campi quali il contrasto al riciclaggio e agli illeciti finanziari che ne sono il presupposto, l’ingresso di questa disciplina amministrativa e bancaria nelle aule di tribunale – pur con le difficoltà poste dai settori a forte vocazione tecnica – evidenzia che le esigenze di giustizia sono sempre più ispirate ai crescenti interessi della collettività sulla correttezza dei comportamenti bancari e finanziari.