L’immobile locato fa parte di un edificio storico di pregio, ma versa in uno stato di degrado? Si applica l’equo canone

La classificazione dell'immobile, quale risulta dal catasto, è effetto di un atto amministrativo disapplicabile dal giudice il quale, nel decidere dell'equo canone di locazione, deve considerare l'immobile secondo la categoria corrispondente alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche che esso effettivamente presenta. L’applicazione dell'equo canone riguarda ogni unità abitativa che, se pur compresa in un palazzo che nel suo insieme sia qualificato di pregio artistico o storico, di fatto versi in condizioni di innegabile degrado.

La Cassazione, con la sentenza numero 14867/13 depositata il 13 giugno scorso, affronta il tema dell’equo canone. Come noto, con tale espressione si designava l’ammontare massimo del corrispettivo che il conduttore di immobile urbano adibito ad uso di abitazione poteva versare al locatore articolo 12 ss. l. numero 392/1978 . La ratio della normativa in questione era quella di assicurare agli inquilini il pagamento di una pigione tendenzialmente stabile e proporzionata al reddito e ai locatori una congrua rimunerazione per il capitale investito nell’immobile locato. In base all’articolo 12 l. numero 392/78 il canone di locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazione non poteva superare il 3,85 % del valore locativo dell’immobile. Il valore locativo era costituito dal prodotto della superficie convenzionale dell'immobile moltiplicato per il costo unitario di produzione del medesimo. Ulteriore parametro di riferimento era la categoria catastale dell’immobile, anche questa presa quale punto di riferimento sulla base di determinati coefficienti articolo 16, l. numero 392/78 . Gli articolo 12 ss. sono stati poi abrogati dalla l. numero 431/1998. Il fatto. Nel 1994 un conduttore citava in giudizio il locatore per vedersi restituire, previa determinazione dell’equo canone, le somme corrisposte in eccedenza a titolo di pigione. Assumeva parte attrice di aver concluso un contratto di locazione avente ad oggetto un appartamento costituito da due camere, bagno e cucina per un canone di lire 140.000 al mese e di aver poi sottoscritto un secondo accordo per un’altra stanza pattuendo una pigione mensile di lire 14.000. Eccepiva parte convenuta che la normativa sull’equo canone non fosse applicabile al caso di specie, in quanto gli immobili si trovavano all’interno di un edificio di pregio storico ed artistico categoria catastale A/9 . Contestava altresì la fondatezza della vertenza per aver già concluso con la controparte, in altro giudizio, una transazione tombale. Il Pretore rigettava la domanda. Adita la Corte d’Appello, si addiveniva ad una riforma dell’impugnata sentenza. La cennata transazione veniva ritenuta priva di effetti, mentre, sulla scorta di una CTU, il locatore-appellato veniva condannato a ripetere in favore di parte attrice la somma di lire 6.433.714, oltre interessi. La decisione veniva impugnata per la prima volta dinanzi alla Corte di Cassazione che con sentenza numero 14426/2004, statuiva che la sanzione della nullità prevista all’articolo 79, l. numero 392/1978 è riferibile solo alle clausole del contratto locativo, mentre non è estensibile anche agli accordi transattivi. Cassata la sentenza, questa era rimessa nuovamente dinanzi alla Corte d’appello per la decisione sulla questione se l’accordo fosse riferibile anche alla restituzione dei canoni corrisposti in misura superiore all’equo canone, con diritto di parte conduttrice di vedersi rimborsare le somme erogate in più. La Corte d’Appello condannava il locatore a pagare la somma di euro 3.322,74, oltre interessi legali. I giudici di seconde cure avevano modo di stabilire che la transazione non avesse avuto ad oggetto la questione sull’eccedenza dei canoni. La circostanza poi che si trattasse di palazzo storico non escludeva che la categoria catastale dell’appartamento dovesse essere individuata sulla base del suo effettivo stato d’uso. Evidenziavano, infine, che già l’Ufficio tecnico erariale aveva classato l’immobile in parola come categoria A/4 abitazione di tipo popolare . Avverso tale decisione viene spiegato ricorso per cassazione. È una questione di categoria. Il locatore si lamenta per aver la sentenza impugnata ritenuto la transazione intercorsa tra le parti di natura speciale e non generale. Sotto tale prospettiva sarebbe stata integrata la violazione dei principi ermeneutici di cui agli articolo 1362 e segg. c.c Il ricorrente si duole, altresì, per aver ritenuto il giudice d’appello l’immobile locato afferente alla categoria catastale A/4, pur costituendo parte di un fabbricato storico di pregio cat. A/9 , con violazione dell’articolo 26, lett. d , l. numero 392/1978. Il legislatore, infatti, nel disciplinare le locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, ha determinato i criteri di applicazione della disciplina limitativa della libera contrattazione tra le parti, ma ha escluso da tale disciplina gli immobili di eminente pregio artistico o storico. I palazzi di interesse storico ed artistico vanno classati nella categoria A/9, se destinati ad abitazione. La Suprema corte ritiene inammissibile il primo motivo di doglianza in quanto il ricorrente non ha formulato chiaramente il quesito di diritto da porre all’attenzione degli Ermellini articolo 366 bis , c.p.c. . Invero, non può ritenersi idonea allo scopo la mera sintesi delle conclusioni riportate nel ricorso, che peraltro si è limitato a sostenere la carenza e la contraddittorietà motivazionale senza specificare la parte destinata alla sintesi del fatto controverso e le ragioni che rendono inidonea la motivazione a giustificare la decisione c.d. momento di sintesi o quesito di fatto . Il secondo motivo, invece, è infondato. Secondo la Corte di Cassazione, in tema di locazioni di immobili urbani per uso di abitazione, ai fini della determinazione dell’equo canone, i palazzi di interesse storico ed artistico vanno classati nella categoria A/9 solo se destinati ad abitazione. Concludendo. Nel caso di specie, invece, dall’avvenuto frazionamento del palazzo in due distinte unità immobiliari, non consegue automaticamente la medesima tipologia di classamento per ogni singola unità immobiliare che ne faccia parte. D’altra parte, ben può il magistrato adito disapplicare il classamento effettuato dall’Ufficio tecnico erariale ed attribuire a ciascuna unità una diversa categoria catastale, con applicazione dell’equo canone. Ciò che rileva a tal fine sono le condizioni concrete le caratteristiche interne ed esterne dell’immobile. L’appartamento in questione va sicuramente ricondotto alla categoria A/4 e non a quella A/9 perché il palazzo di cui fa parte non presenta alcun pregio storico ed artistico, ma anzi versa in un innegabile stato di degrado.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 maggio – 13 giugno 2013, numero 14867 Presidente Trifone – Relatore Segreto Svolgimento del processo Con ricorso 18.7.1994 S.M. , premesso di essere stata conduttrice di un appartamento posto in OMISSIS , di proprietà di C.S. , convenne questa davanti al Pretore di Forlì, chiedendo che previa determinazione dell'equo canone, fosse condannata a restituirle le somme ricevute in eccedenza. Espose l'attrice che esse parti avevano sottoscritto un contratto di locazione avente ad oggetto l'appartamento detto di 2 camere, bagno e cucina per un canone di £. 140.000 mensili, ed il successivo 7 maggio avevano sottoscritto un secondo contratto per altra stanza separata, per un canone di L. 14.000 mensili. Assumeva la convenuta che la normativa dell'equo canone era inapplicabile perché gli immobili si trovavano in un edificio di pregio storico-artistico, di categoria A/9 che in ogni caso ogni vertenza tra le parti era stata risolta con una transazione avvenuta in altro giudizio. Il Pretore rigettò la domanda. La corte di appello di Bologna, adita dall'attrice riteneva priva di effetti la detta transazione e, sulla base di una consulenza tecnica, condannava la C. a restituire all'attrice la somma di L. 6.433.714, oltre interessi legali. La Corte di Cassazione, adita dalle parti, con sentenza numero 14226 del 2004, ribadiva il principio secondo cui la sanzione di nullità di cui all'articolo 79 L. numero 392/1978 si riferisce solo alle clausole del contratto di locazione e non può essere estesa agli accordi transattivi cassava la sentenza e rimetteva la causa alla corte territoriale per la decisione sulla questione se l'accordo si riferiva anche alla restituzione dei canoni corrisposti in misura ultralegale e se la S. avesse diritto alla restituzione con relativa condanna. La Corte di appello di Bologna, adita in riassunzione, con sentenza depositata il 16.1.2007 condannava C.S. a pagare all'attrice la somma di Euro 3.322,74, oltre interessi e spese legali. Riteneva la corte che la transazione invocata non investisse anche la questione dell'eccedenza dei canoni rispetto alla misura legale che il fatto che si trattasse d palazzo storico non escludeva che la categoria dell'appartamento andasse individuata sulla base dell'effettivo suo stato che l'Ute competente aveva già classato l'appartamento in questione, come di cat. A/4. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.S. . Resiste con controricorso S.M. , che ha anche proposto ricorso incidentale. Motivi della decisione 1.Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, a norma dell'articolo 335 c.p.c Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio motivazionale dell'impugnata sentenza, per aver ritenuto che la transazione avvenuta tra le parti sia una transazione speciale e non una transazione generale. Ritiene la ricorrente che la corte di merito ha violato le norme di ermeneutica di cui agli articolo 1362 e segg. c.c, non risultando la sentenza sorretta da motivazione congrua, logica e corretta, pag. 10 del ric. . 2. Il motivo è inammissibile per mancato rispetto del dettato di cui all'articolo 366 bis c.p.c Ai ricorsi proposti contro sentenze pubblicate a partire dal 2.3.2006, data di entrata in vigore del d. lgs. numero 40/2006, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al capo I. Secondo l'articolo 366 bis c.p.c. - introdotto dall'articolo 6 del decreto - i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo descritto e, in particolare, nei casi previsti dall'articolo 360, numero 1, 2, 3, 4, l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre nel caso previsto dall'articolo 360, 1 c., numero 5, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea giustificare la decisione. Segnatamente nel caso previsto dall'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ., l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi omologo del quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità Cass. S.U. 1.10.2007, numero 20603 Cass. 18.7.2007, numero 16002 . 2.2.Nella fattispecie la formulazione dei motivi per cui è chiesta la cassazione della sentenza non soddisfa i requisiti stabiliti dall'articolo 366 bis, c.p.c., poiché non sono stati formulati i quesiti di diritto con riferimento alla lamentata violazione delle regole ermeneutiche di cui agli articolo 1362 e segg., c.c Quanto alle censure motivazionali, l'inammissibilità ex articolo 366 bis c.p.c. del motivo consegue alla mancanza di una specifica parte destinata alla sintesi del fatto controverso e delle ragioni che rendono inidonea la motivazione in quanto insufficiente, contraddittoria o omessa a giustificare la decisione c.d. momento di sintesi o quesito di fatto . Segnatamente non può ritenersi momento di sintesi la conclusione sopra riportata del ricorso principale, che si limita a sostenere la carenza e contraddittorietà motivazionale e la violazione di legge. 3. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 26 lett. d L. numero 392/1978, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c, per aver ritenuto che l'appartamento in questione rientrasse nella categoria catastale A/4 e quindi fosse soggetto alla disciplina dell'equo canone di cui agli articolo 12 e segg. L. numero 392/1978, pur costituendo parte di un fabbricato storico di pregio, costituente categoria A/9, non sottoposta ad equo canone. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto Poiché nella fattispecie la determinazione dell'equo canone è avvenuta con riferimento ad un'unità immobiliare, classificata in A/4, inserita in un palazzo di pregio storico ed artistico, classificato in A/9, il riferimento alle categorie catastali A/8 ed A/9, contenuto nell'articolo 26 lett. d L. numero 392/1978, è esplicativo in generale della categoria delle abitazioni in ville, castelli e palazzi di pregio artistico e storico, per nulla rilevando ai fini ai fini dell'applicabilità dell'articolo citato il declassamento catastale, esistente o per decisione del giudice, della porzione immobiliare derivata dal loro frazionamento, dovendosi ravvisare la ratio della norma di cui all'articolo 26 lett. d nel particolare pregio storico ed artistico rappresentato dall'immobile nel suo insieme, per nulla inficiato dalla diversa categoria catastale in cui l'unità immobiliare derivata dal suo frazionamento sia stata inserita e dalle sue condizioni concrete di manutenzione nonché dalle sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche? . 4.1. Il motivo è infondato. Come questa Corte ha già rilevato, in tema di locazioni di immobili urbani per uso di abitazione ed ai fini della determinazione dell'equo canone ai sensi della legge numero 392 del 1978, i palazzi di interesse storico od artistico vanno classati nella categoria A/9 solo se destinati ad abitazione. Con specifico riferimento all'ipotesi di frazionamento di un immobile in distinte unità immobiliari, la tipologia catastale di un edificio non determina automaticamente la medesima tipologia per ogni singola unità immobiliare che ne faccia parte, ben potendo il giudice - disapplicando il classamento effettuato dall'U.T.E. ai sensi dell'articolo 5 della legge 20 marzo 1865, numero 2248, All. E - attribuire a tali unità una diversa categoria catastale legittimante l'applicazione dell'equo canone, avuto riguardo alle relative condizioni concrete ed alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche Cass. numero 10013 del 24/06/2003 4922 del 17/04/2000 . 4.2.Ritiene questa Corte che non vi siano ragioni per discostarsi da tale orientamento. Nella fattispecie il giudice di merito ha accertato che già l’UTE competente ha ricompreso il bene nella categoria A/4. Inoltre la sentenza impugnata osserva che la qualità dell'alloggio, quale risulta dalle fotografie allegate alla c.t.u., sono quelle di un appartamento che non solo non presenta alcun pregio storico ed artistico del palazzo, ma versa altresì in uno stato di degrado. Correttamente, quindi, la corte di merito ha ritenuto, ai fini della vertenza in questione, che il classamento in A/4 fosse esatto e che dovesse applicarsi la disciplina dell'equo canone. 5. Con l'unico motivo del ricorso incidentale la S.M. lamenta il vizio motivazionale dell'impugnata sentenza per aver ritenuto, sulla base della c.t.u., che l'appartamento in questione non fosse particolarmente degradato, con applicazione del coefficiente 0,90, mentre ciò risultava dalla delibera consiliare del Comune di Cesena numero 558 del 1978, prodotta in appello, che aveva inserito tale edifico tra quelli particolarmente degradati. 6. Il motivo è inammissibile. L'articolo 18, ultimo comma, della legge numero 392 del 1978, conferendo ai comuni con più di 20 mila abitanti la facoltà di individuare all'interno delle zone b - zona edificata periferica - C zona tra periferia e centro storico - e - centro storico, edifici e comparti di edifici particolarmente degradati ai quali va applicato il coefficiente 0,90 in luogo di quelli pertinenti alle zone stesse, si riferisce al particolare stato di degradazione relativo ad uno stabile isolato ovvero ad un complesso di stabili costituenti un corpo di fabbricati non attraversato da strade pubbliche Cass. 6459 del 25/07/1987 . Quindi la censura, sebbene erroneamente prospettata come vizio di motivazione, si risolve in una pretesa violazione del suddetto articolo 18, L. numero 392/1978, poiché la ricorrente lamenta proprio che il giudice non ha tenuto conto della suddetta delibera consiliare del Comune di Cesena, emessa ai fini di cui all'articolo 18 cit Sennonché, così qualificata la censura, essa doveva presentare il quesito di diritto a norma dell'articolo 366 bis c.p.c. applicabile alla fattispecie ratione temporis , non senza considerare che, ove anche si considerasse la censura come attinente a vizio motivazionale, egualmente sussiste l'inammissibilità per la mancanza del c.d. quesito di fatto o momento di sintesi . La mancanza del quesito di diritto comporta l'inammissibilità del motivo. 7. Conseguentemente va rigettato il ricorso principale e dichiarato inammissibile l'incidentale. Stante la reciproca soccombenza, vanno compensate le spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M. Riunisce i ricorsi rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l'incidentale. Compensa le spese di questo giudizio di cassazione.