Gli addetti agli impianti, in ragione della peculiarità del lavoro, in realtà, godevano di pause lavorative ben più lunghe di mezzora nell’arco delle 8 ore del turno lavorativo.
Per questo, secondo la Cassazione, i lavoratori non hanno nulla da recriminare sentenza numero 9070/2013, depositata il 15 aprile , almeno fino a quando il giudice del rinvio non accerti che essi non potevano fruire della pausa pranzo. Il caso. 5 dipendenti di una società che gestiva gli impianti di riscaldamento del Policlinico di Milano convenivano in giudizio la stessa società datrice di lavoro, in quanto non avevano usufruito della mezzora continuativa, e retribuita, prevista per la pausa pranzo. Domanda accolta in appello, ma si tratta di una prestazione di tipo indennitario e non retributivo. Nello specifico, il Policlinico, pur non richiedendo una ininterrotta presenza nella sala macchine, esigeva un continuo controllo degli impianti, con eventuale immediato intervento. Tale situazione, a dire dei lavoratori, e secondo quanto affermato dalla Corte di appello che aveva riformato la decisione di primo grado, «non consentiva loro di programmare, nell’ambito della giornata, una pausa ad orario fisso e continuativo, da dedicare esclusivamente alla pausa pranzo di mezzora». I lavoratori svolgevano un compito di «attesa» agli impianti. Al contrario, in base a quanto affermato nel ricorso per cassazione presentato dalla società, pare che i lavoratori svolgessero un compito prevalentemente di «attesa» agli impianti. Essi, infatti, stazionavano normalmente, non nei locali dove si trovavano le caldaie, ma in quelli vicini, muniti di televisore, attrezzati al riposo, la conservazione, la preparazione dei cibi e la consumazione dei pasti e, inoltre, «in ragione della peculiarità del lavoro, godevano di pause lavorative ben più lunghe di mezzora nell’arco delle 8 ore del turno lavorativo». «Tutti i lavoratori addetti a turni avvicendati beneficiano di mezzora retribuita per la refezione nelle ore di presenza in azienda». La S.C., dunque, decide di cassare la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di appello, che dovrà accertare le effettive modalità della prestazione lavorativa in relazione alle pause per la refezione.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 gennaio – 15 aprile 2013, numero 9070 Presidente Canevari – Relatore Venuti Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Milano, Di.Pa.Mi. , D.P.V. , M.A. , P.R. e V.A. , convenivano in giudizio la S.p.A. Sirca, poi incorporata per fusione dalla Elyo Italia s.r.l., e, premesso che non avevano usufruito di mezzora continuativa di pausa retribuita per il pranzo, chiedevano accertarsi tale diritto ai sensi dell'articolo 5 CCNL Metalmeccanici del 1999 e la condanna della società convenuta al pagamento dei relativi importi, con il computo degli stessi negli istituti contrattuali indiretti. Il Tribunale adito rigettava il ricorso, ma tale decisione veniva riformata dalla Corte d'appello di Milano con sentenza del 26 ottobre 2006, che accoglieva la domanda. Osservava la Corte di merito che l'attività svolta dai lavoratori, addetti agli impianti di riscaldamento che la società Sirca gestiva per il Policlinico di , pur non richiedendo una ininterrotta presenza nella sala macchine, esigeva tuttavia un continuo controllo degli impianti, con eventuale immediato intervento, situazione questa che non consentiva loro di programmare, nell'ambito della giornata, una pausa ad orario fisso e continuativo, da dedicare esclusivamente alla pausa pranzo di mezzora. La domanda doveva dunque essere accolta, con esclusione però delle chieste incidenze sugli istituti indiretti, trattandosi di una prestazione di tipo indennitario e non retributivo. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la s.r.l. Elyo Italia, sulla base di due motivi. I lavoratori Di.Pa. , D.P. e V. hanno resistito con controricorso, depositando successivamente memoria ex articolo 378 c.p.c M. e P. sono rimasti intimati. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, cui fa seguito il relativo quesito di diritto ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., allora in vigore, la ricorrente, denunziando violazione dell'articolo 5, comma 8, CCNL 8 giugno 1999 per i lavoratori addetti all'industria metalmeccanica privata e all'installazione impianti, deduce che una corretta interpretazione di tale clausola porta a ritenere che il beneficio della mezzora di pausa retribuita spetti solo quando, richiedendosi ai lavoratori per la particolarità del lavoro una prestazione necessariamente continuativa, sia loro impedito di effettuare, nell'arco del turno di lavoro, una o più pause per la consumazione del pasto. Diversamente, in tutti i casi in cui ai lavoratori sia di fatto possibile fruire di pause, una o più, in misura complessivamente non inferiore ai trenta minuti nell'arco del turno di lavoro, il beneficio non dovrà essere accordato, a nulla rilevando che il singolo lavoratore consumi il pasto o, pur potendolo fare, se ne astenga. Aggiunge la società che la norma contrattuale non richiede affatto che la pausa per il pasto debba o possa essere programmata in anticipo né che debba essere una sola e continuativa per mezzora e senza interruzione. Prevede invece che debba trattarsi di pause retribuite complessivamente non inferiori a trenta minuti che consentano il consumo dei pasti. Rileva che la Corte di merito ha del tutto omesso di interpretare la clausola in questione nonché di accertare se i lavoratori, in ragione della particolare tipologia del lavoro, potessero o meno godere nell'arco del turno lavorativo di otto ore, di una o più pause, per un tempo complessivamente superiore alla mezzora da dedicare alla consumazione del pasto. 2. Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deduce che la Corte territoriale ha erroneamente desunto dalle dichiarazioni rese dai testi - il cui contenuto trascrive - che i lavoratori non riescono normalmente a fermarsi continuativamente per mezzora senza alcuna interruzione . In realtà dalla prova testimoniale è emerso il contrario, e cioè che i lavoratori svolgevano un compito prevalentemente di attesa agli impianti che essi normalmente stazionavano non nei locali in cui si trovavano le caldaie, ma in quelli vicini, muniti di televisore, attrezzati per il riposo, la conservazione, la preparazione dei cibi e la consumazione dei pasti che, in ragione della peculiarità del lavoro, godevano di pause lavorative ben più lunghe di mezzora nell'arco delle otto ore del turno lavorativo. 3. Il ricorso, i cui motivi vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, è fondato. La Corte territoriale ha del tutto omesso di interpretare la clausola contrattuale in questione articolo 5 CCNL 8 giugno 1999 per i lavoratori addetti all'industria metalmeccanica privata e all'installazione di impianti , la quale prevede che tutti i lavoratori addetti a turni avvicendati beneficiano di mezzora retribuita per la refezione nelle ore di presenza in azienda . Ha ritenuto che l'attività svolta dai lavoratori, anche se non richiedeva una ininterrotta presenza nella sala macchine, esigeva un continuo controllo sugli impianti di riscaldamento e nel locale attiguo dove erano collocati i quadri e le spie , al fine di un eventuale pronto intervento. Ha aggiunto che i lavoratori potevano godere di momenti per la consumazione del pasto o lettura di giornali e simili, ma poiché, secondo quanto era emerso dalla prova testimoniale, essi non riuscivano normalmente a fermarsi continuativamente per mezzora senza alcuna interruzione , doveva essere accolta la loro pretesa, tenuto conto della situazione di non programmabilità della pausa e del relativo disagio di non potere contare su di una pausa ad orario fisso e continuativo . La ricorrente ha criticato tale motivazione, rilevando, da un lato, che la norma collettiva non prevede che la pausa per il pasto debba o possa essere programmata in anticipo né che debba essere una sola e continuativa dall'altro che la sentenza impugnata, nell'affermare che normalmente i lavoratori non usufruivano di una pausa continuativa di trenta minuti, non solo ha fatto generico riferimento alle risultanze della prova testimoniale, motivando così in maniera del tutto insufficiente sul punto, ma non ha tenuto conto che da tali deposizioni risulta il contrario, come è possibile evincere dal contenuto delle dichiarazioni. In effetti, la motivazione della sentenza impugnata è inficiata da tali lacune. Ed infatti, con riguardo alla prima censura, la Corte di merito non ha fatto ricorso ad alcun criterio interpretativo ai sensi degli articolo 1362 e segg. cod. civ. criterio letterario, criterio interpretativo, criterio interpretativo-integrativo , elementi questi che, secondo quanto affermato da questa Corte cfr., per tutte, Cass. numero 9553/o6 Cass. numero 15339/08 , devono orientare l'operazione ermeneutica al fine di accertare l'effettiva volontà delle parti. Deve al riguardo ricordarsi che è principio consolidato che l'interpretazione di una norma di un contratto collettivo di diritto comune è operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito e pertanto incensurabile in cassazione se non per vizi attinenti ai criteri legali di ermeneutica o ad una motivazione carente o contraddittoria cfr., ex plurimis, Cass. numero 4851/09 Cass. numero 3187/09 Cass. numero 15339/o8 . Quanto alla seconda censura, dalle dichiarazioni testimoniali trascritte in ricorso, non risulta che i lavoratori non potessero fruire, in ragione della tipologia del lavoro espletato, di pause di lavoro tali da consentire loro di consumare la refezione. Anzi, in qualche caso risulta il contrario. La stessa sentenza da atto che i lavoratori potevano complessivamente godere di momenti per la consumazione del pasto o lettura di giornali e simili, normalmente non continuativi e non programmabili nel tempo , dando però rilievo a tali ultime circostanze per affermare la fondatezza delle pretese dei ricorrenti. Anche qui la motivazione della sentenza appare incongrua e/o insufficiente, avendo la Corte di merito omesso ogni valutazione sul contenuto delle dichiarazioni rese dai testi e di dare compiutamente conto delle ragioni del proprio convincimento, facendo esclusivo riferimento alle complessive risultanze della prova testimoniale , elemento questo del tutto generico ed inidoneo a sorreggere la motivazione. Consegue da tutto quanto precede che la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale dovrà interpretare la clausola in esame secondo i criteri ermeneutici sopra indicati, accertando le effettive modalità della prestazione lavorativa in relazione alle pause per la refezione. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.