Le opere murarie non sono ultimate, il muratore deve poter finire il lavoro

Il licenziamento per fine lavori edili non è valido se le opere cui il lavoratore è addetto non sono ancora terminate.

Questo il contenuto essenziale della sentenza numero 20033/12 della sezione Lavoro della Cassazione. Lavori terminati? Un lavoratore impugna il licenziamento intimatogli per fine lavori edili dal, ottenendo in secondo grado l’accertamento dell’assenza dell’effettiva ultimazione dei lavori cui l’uomo era addetto, con conseguente violazione da part della società datore di lavoro della procedura prevista dagli articolo 4 e 5 della l. numero 223/91. Concordato e processo. La società ricorre per cassazione sostenendo che l’intervento del concordato preventivo avrebbe dovuto causare l’interruzione del processo, allora in fase d’appello. La Suprema Corte disattende tale argomentazione, rilevando che in base alla giurisprudenza di legittimità l’ammissione alla procedura di concordato preventivo non determina l’interruzione del processo «poiché il debitore conserva intatta la sua capacità di agire, restando unicamente soggetto al potere di vigilanza del Commissario giudiziale» in questo senso la sent. numero 12422/11 . Validità del licenziamento. Ugualmente infondato è il motivo di ricorso inerente la validità del licenziamento per fine lavori. Trattandosi di lavori edili, infatti, la società avrebbe dovuto rispettare l’iter previsto dalla legge citata, che contempla anche una comunicazione formale alle Organizzazioni sindacali. Se a ciò si aggiunge che in effetti le opere murarie cui era addetto il lavoratore non sono, in base alle risultanze istruttorie, ultimate, allora il licenziamento non è valido e il ricorso è rigettato con condanna alle spese.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 ottobre – 15 novembre 2012, numero 20033 Presidente Vidiri – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Bari, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di L.G. , proposta nei confronti della società in epigrafe, avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento intimatogli per fine lavori edili dalla predetta società. La Corte del merito, premesso che la disciplina dei licenziamenti collettivi non trovava applicazione nel solo caso che la fase lavorativa fosse del tutto ultimata e non quando fosse in via di ultimazione, accertava che non risultava dimostrata l'effettiva ultimazione della fase lavorativa cui era addetto il L. essendovi ancora opere murarie da eseguire. Pertanto, riteneva illegittimo il licenziamento impugnato in quanto intimato in violazione della procedura prevista dagli articolo 4 e 5 della legge numero 223 del 1991. Avverso questa sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di due censure. Resiste con controricorso la parte intimata. Motivi della decisione Con la prima censura la società, deducendo violazione dell'articolo 300 cpc, assume che la Corte del merito non ha interrotto il processo in relazione all'intervenuto concordato preventivo, come dal proprio difensore dichiarato in primo grado all'udienza del 20 giugno 2005. La censura non è accoglibile. Invero, come la stessa società riconosce pag. 6 del ricorso , il giudice di primo grado già ebbe a pronunciarsi sulla richiesta d'interruzione del processo ritenendo non ricorrere i relativi presupposti. Pertanto a fronte dell'appello proposto dal lavoratore la società ricorrente avrebbe dovuto investire il giudice dell'impugnazione della questione concernente la statuizione del giudice di primo grado relativa al ritenuto difetto dei presupposti per l'interruzione del processo. A tanto aggiungasi che, comunque, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte l'ammissione alla procedura di concordato preventivo non determina l'interruzione del processo, poiché il debitore conserva intatta la sua capacita di agire, restando unicamente soggetto al potere di vigilanza del Commissario giudiziale Cfr. per tutte Cass. 11 ottobre 1978 numero 4551 e Cass. 8 giugno 2011 numero 12422 nella quale si sancisce che il debitore ammesso al concordato preventivo prosegue nell'esercizio dell'impresa e conserva la sua capacità processuale . Con la seconda censura la società, denunciando violazione degli articolo 4, 5 e 24, 4 comma, della legge numero 223 del 1991, assume di aver rispettato i criteri di scelta di cui ai richiamati articoli della denunciata legge avendo proceduto al licenziamento dei muratori in base ad esigenze tecniche produttive e all'anzianità come avallato dalle OO.SS. e dalle RSU. La censura è infondata. L'assunto della società, sviluppato nel motivo in esame, infatti, non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata secondo la quale trattandosi di fase di lavori edili non ancora del tutto ultimati andava applicata la procedura prevista dagli articolo 4 e 5 della legge numero 223 del 1991 caratterizzata da un complesso iter che inizia con formali comunicazioni alle 00.SS e prosegue secondo fasi normativamente predeterminate il cui mancato rispetto comporta l'invalidità del licenziamento. Non è quindi, sufficiente, ai fini di cui trattasi, il mero rispetto dei criteri di scelta previsti dalla legge, ma è altresì necessaria l'osservanza di tutta la prevista procedura. Perdi più, non può sottacersi, che,come risulta dalla impugnata sentenza - a seguito di una valutazione delle risultanze istruttorie non censurabile in questa sede di legittimità -, la scelta del L. tra i dipendenti da licenziare non trova giustificazione per essere il Lorusso operaio muratore specializzato e per essere addetto alle opere murarie che, in ragione delle dichiarazioni dei testi escussi, non si erano ancora completate. Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va, in conclusione, rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge attribuite all'avv.to Leonardo Goffredo anticipatario.