Nel caso in cui una norma penale venga dichiarata incostituzionale è necessario che il giudice dell’esecuzione riesamini le sentenze passate in giudicato, affinché possa valutare se la pena rientri o meno nella cornice edittale.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 3279/16, depositata il 25 gennaio. Il caso. Il ricorrente promuove il giudizio in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, deducendo la violazione di legge e vizi di motivazione relativamente alla mancata rideterminazione della pena in base al criterio di proporzionalità della sanzione, come stabilito dal recente orientamento della Corte Costituzionale nella sentenza numero 32/2014. Mutamento d’orientamento. La Corte di Cassazione inizia la sua disamina proprio dalla sentenza della Consulta, affermando che in quella pronuncia la Corte Costituzionale aveva eliminato, con efficacia ex tunc, la disciplina che introduceva un trattamento più severo per lo spaccio delle droghe leggere e ripristinato il sistema sanzionatorio previgente. Questo nuovo indirizzo determinava un contrasto giurisprudenziale con gli orientamenti cassazionisti, risolti in seguito da una pronuncia dalle S.U Infatti, le Sezioni Unite, adeguandosi, affermavano che in caso d’incostituzionalità della fattispecie criminosa l’esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sotto il profilo oggettivo, poiché deriva dall'applicazione di una norma di diritto penale sostanziale dichiarata incostituzionale dopo il passaggio in giudicato della sentenza, sotto il profilo soggettivo, in quanto non può essere finalizzata alla rieducazione del condannato. In tale occasione le S.U. affermavano il principio secondo il quale «successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell'esecuzione» Cass. S.U. numero 42858/2014 . Conseguentemente a questo orientamento, la Corte Suprema ha ritenuto che anche nel caso in esame si rendeva necessario il riesame della questione. Rideterminazione pena. Si pone come obbligo che il giudice dell’esecuzione, sempre che il trattamento sanzionatorio non sia stato ancora interamente eseguito, rideterminare attraverso i suoi poteri di accertamento e di valutazione la pena in favore del condannato, fermo restando il divieto di modifica di norme applicate diverse da quelle dichiarate incostituzionali. Secondo la Cassazione, nel caso concreto, il giudice dell’esecuzione era tenuto a compiere una verifica preliminare sulla rilevanza della sentenza emessa dal giudice di prime cure, come effettivamente ha fatto, valutando l’incidenza del mutamento d’orientamento sul trattamento sanzionatorio. Il giudice dell’esecuzione, attenendosi ai principi richiamati e considerando che nel giudizio originario la pena era stata determinata entro i limiti edittali conseguenti alla pronuncia della Corte Costituzionale, ha giustamente ritenuto che non fosse necessario un ulteriore riesame. Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 dicembre 2015 – 25 gennaio 2016, numero 3279 Presidente Siotto – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con emesse il 13/05/2015 la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, quale giudice dell'esecuzione, dichiarava inammissibile l'istanza formulata nell'interesse di M.C., ai sensi degli articolo 666 e 673 cod. proc. penumero , finalizzata a ottenere la rideterminazione della pena irrogata dallo stesso organo giurisdizionale con sentenza irrevocabile dei 23/04/2010, con cui l'imputato, all'epoca minorenne, era stato condannato alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione e 20.000,00 euro di multa, per la commissione dei reato di cui agli articolo 73 e 80 del d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, accertato a Taranto fino al 17/05/2005. Si riteneva, in particolare, che i fatti delittuosi originariamente contestati al C. non potevano essere riqualificati, ai sensi dell'articolo 73, comma 5, del d.P.R. numero 309 del 1990, atteso che una tale possibilità fuoriusciva dai parametri ermeneutici affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2014, numero 32, con la conseguenza che la pena che stata originariamente irrogata all'imputato doveva essere ritenuta legale. , 2. Avverso tale decreto veniva proposto ricorso per cassazione, deducendosi la nullità del impugnate per violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'articolo 73 del d.P.R. numero 309 del 1990. Si deduceva, in particolare, che il giudice dell'esecuzione non doveva rideterminare la pena sulla base degli attuali parametri edittali, ma applicare un criterio di proporzionalità della sanzione irrogata al C., tenendo conto dei fatto che, pur non potendo entrare nel merito della vicenda processuale, non poteva non ricalcolare la pena sulla base della normativa vigente a seguito della sentenza della Corte costituzionale numero 32 del 2014. Si deduceva, inoltre, che, per i medesimi fatti delittuosi, i coindagati del C., all'epoca maggiorenni, venivano giudicati con il rito alternativo di cui all'articolo 444 cod. proc. penumero , beneficiando dell'attenuante prevista dall'articolo 73, comma 5, del d.P.R. numero 309. Per queste ragioni, ' 4 emesso dal giudice dell'esecuzione doveva essere annullate. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato. In via preliminare, deve rilevarsi che l'incidente di esecuzione proposto dal C. pone il problema della disciplina applicabile nelle ipotesi in cui si procede per il reato di cui all'articolo 73 del d.P.R. numero 309 del 1990, dopo la sentenza della Corte costituzionale numero 32 del 2014, con cui veniva dichiarata l'incostituzionalità degli articolo 4 bis e 4 vicies del d.l. 30 dicembre 2005, numero 272, in quanto ritenuti in contrasto con i principi di ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalità della pena. Com'è noto, questa pronunzia della Corte costituzionale aveva eliminato con efficacia ex tunc la disciplina che aveva introdotto un trattamento più severo per lo spaccio delle cosiddette droghe leggere, ripristinando il più mite trattamento sanzionatorio previgente. Sulla portata sistematica e sulle conseguenze applicative di questa pronunzia si determinava un contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte, che imponeva l'intervento delle Sezioni unite cfr. Sez. U, numero 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260700 . La questione ermeneutica che era stata demandata alle Sezioni unite, originariamente, scaturiva dall'interpretazione della sentenza della Corte costituzionale 5 novembre 2012, numero 251, con cui era stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 69 cod. penumero , nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza dell'attenuante di cui al comma 5 dell'articolo 73 del d.P.R. numero 309 del 1990. In tale ambito, compulsate sulle conseguenze dei suddetto intervento della Corte costituzionale in sede esecutiva, le Sezioni unite si pronunciavano anche sulle conseguenze della sentenza numero 32 del 2014, nel frattempo sopravvenuta, affermando i principi di diritto, qui di seguito, richiamati Le Sezioni unite, innanzitutto, sulle conseguenze sistematiche prodotte dalla sentenza della Corte costituzionale numero 32 del 2014, affermavano che, in questo caso, l'esecuzione della pena deve ritenersi illegittima, sia sotto il profilo oggettivo, in quanto derivante dall'applicazione di una norma di diritto penale sostanziale dichiarata incostituzionale dopo il passaggio in giudicato della sentenza, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non può essere finalizzata alla rieducazione del condannato imposta dall'articolo 27, comma 3, Cost. cfr. Sez. U, numero 42858 del 29/05/2014, Gatto, cit. . Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, qui sinteticamente richiamata, le Sezioni unite affermavano il seguente principio di diritto «Successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell'esecuzione» cfr. Sez. U, numero 42858 del 29/05/2014, Gatto, cit. . 2. In questa cornice ermeneutica, deve rilevarsi che il giudice dell'esecuzione era tenuto a compiere una verifica preliminare sulla rilevanza della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, il 23/04/2010, all'atto della domanda, sulla libertà personale del C., per essere in corso di esecuzione la pena derivante da una norma incostituzionale, verificandone l'incidenza sul trattamento sanzionatorio. A tale operazione preliminare, in caso di esito positivo dell'accertamento, occorreva fare seguire la rideterminazione del trattamento sanzionatorio irrogato, tenendo conto della compiuta ricostruzione del fatto - così come accertato nella sentenza presupposta, su cui si era formato il titolo esecutivo di cui si controverte - e delle norme applicabili al momento della decisione sotto il profilo della commisurazione della sanzione penale. Tra queste disposizioni andavano valutate, in rapporto alla tipologia della sostanza stupefacente considerata con riferimento alla posizione del C., quelle interessate dalla sentenza della Corte costituzionale numero 32 del 2014, che ha fatto riespandere la previgente disciplina incriminatrice e le correlate disposizioni sanzionatorie. Ne consegue che laddove, come nel caso di specie, il soggetto era stato condannato per un fatto rientrante nel predetto ambito criminoso, doveva ritenersi esportabile il contenuto delle affermazioni delle Sezioni unite relative all'abrogazione del trattamento sanzionatorio vigente all'epoca della sentenza, in quanto contrario a norme costituzionali. Tale operazione comportava una rivalutazione complessiva del fatto di reato contestato, correttamente effettuata dal giudice dell'esecuzione impugnata, tenendo conto dell'originaria verifica giurisdizionale, rispetto alla quale il richiamo alla definizione delle posizioni processuali degli originari coindagati dei C. in altro procedimento è irrilevante. In questo contesto processuale, nel cui ambito il giudice dell'esecuzione si muoveva in termini certamente congrui, in linea con la giurisprudenza delle Sezioni unite che si è richiamata nel paragrafo precedente, occorre ribadire il seguente principio di diritto «Per effetto delle sentenze della Corte costituzionale nnumero 251 del 2012 e 32 del 2014, il giudice dell'esecuzione, ove il trattamento sanzionatorio non sia stato ancora interamente eseguito, deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento correttivo da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali» cfr. Sez. 1, numero 53019 del 04/12/2014, Schettino, Rv. 261581 . Nel caso di specie, dunque, il giudice dell'esecuzione ha fatto buon governo dei principi richiamati, atteso che, nell'originario giudizio, la pena era stata determinata in misura contenuta entro i limiti edittali conseguenti alla pronuncia della Corte costituzionale, essendo stata quantificata in anni quattro e mesi otto di reclusione e 20.000,00 euro di multa, sulla base di una verifica dei disvalore penale del fatto contestato ineccepibile. Per converso, le censure mosse dal ricorrente nei confronti dei provvedimento impugnato, oltre che infondate sul piano dosimetrico, si limitano a criticare genericamente la declaratoria adottata dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, senza soffermarsi sul disvalore della condotta delittuosa contestata al C. e postulando una riqualificazione giuridica sul fatto, ai sensi dell'articolo 73, comma 5, del d.P.R. numero 309 del 1990, sulla cui inammissibilità ci si soffermava in termini argomentativi congrui. 3. Per questi motivi, il ricorso proposto nell'interesse di M.C. deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deve, infine, rilevarsi che la condizione minorile del C., all'epoca dei fatti in esame, impone, in caso di diffusione del presente provvedimento penale, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 32 del d.lgs. 30 giugno 2003, numero 196, in quanto disposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 32 del d.lgs. 30 giugno 2003, numero 196, in quanto disposto dalla legge.