L’accertamento tecnico preventivo stragiudiziale: spunti per l’introduzione di un nuovo modello di mediazione ex d.lgs. n. 28/2010

L’esperienza maturata in materia di mediazione civile e commerciale suggerisce di promuovere vivacemente il compimento, ad opera del mediatore, di attività istruttorie, che permettono alle parti di effettuare una prognosi sui verosimili esiti del giudizio e comunque di approfondire sul piano fattuale eventuali aspetti tecnici della vicenda. Appare opportuna, pertanto, la tipizzazione di una nuova forma di mediazione, che postuli la necessaria designazione di un esperto, incaricato di emettere valutazioni e stime da valorizzarsi nel contesto delle trattative.

La proliferazione, nell’ordinamento italiano, dei mezzi di Alternative Dispute Resolution è avvenuta sulla base di una politica del diritto che, mossa dall’impellente esigenza di ridurre l’eccessivo carico di contenziosi gravante su pressoché tutti gli uffici giudiziari della penisola, si è sviluppata in maniera frammentaria, disorganica e, spesso, ripetitiva. Si pensi, a titolo di esempio, alla duplicazione delle condizioni di procedibilità della domanda giudiziale che si verificherebbero qualora si interpretassero letteralmente le discipline sui casi di obbligatorietà della mediazione articolo 5 del D.lgs., 4 marzo 2010, numero 28 e della negoziazione assistita articolo 3 del D.L., 12 settembre 2014, numero 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, numero 162 . Verosimilmente, l’auspicio del legislatore italiano è stato quello di dirottare l’attenzione dei consociati e, in modo particolare, degli operatori giuridici sulle potenzialità offerte dai vari procedimenti di carattere conciliativo, confidando che, in tal modo, il grado di litigiosità potesse spontaneamente affievolirsi. Tuttavia, i vari mezzi di composizione delle controversie, specialmente se singolarmente considerati, non hanno immediatamente riscosso il plauso dei potenziali beneficiari e, non di rado, si sono rivelati inadeguati al conseguimento del traguardo agognato. Tra i vari procedimenti si sono distinti, soprattutto, la consulenza tecnica preventiva ai fini della conciliazione della lite, ex articolo 696-bis c.p.c., e la mediazione civile e commerciale, ex D.lgs. numero 28/2010. La Consulenza Tecnica Preventiva ex articolo 696 bis c.p.c., infatti, consente alle parti di anticipare il contraddittorio sugli aspetti della controversia che presentano natura tecnica e/o scientifica e di ricevere delle risposte motivate ai quesiti di maggiore rilevanza da parte di un soggetto fisiologicamente terzo ed imparziale, quale, è, appunto, il C.T.U I “giudizi” da quest’ultimo espressi, ove congruamente ed esaustivamente argomentati, sono sovente percepiti dai contendenti come difficilmente modificabili in un’eventuale sede giudiziale e, dunque, rappresentano, il più delle volte, la piattaforma per la costruzione ed il raggiungimento di intese conciliative di converso, l’azione giudiziale tende ad essere esperita nei soli casi in cui, nell’economia della lite, le questioni giuridiche siano preponderanti rispetto alle problematiche di carattere tecnico. Il limite di tale procedimento è rappresentato dall’assenza di una figura professionale specificamente preposta a promuovere la composizione bonaria fra le parti. È vero sì che, secondo quanto espressamente disposto dall’articolo 696-bis c.p.c., a dover esperire, ove possibile, il tentativo di conciliazione è proprio il C.T.U., ma è altrettanto palese che quest’ultimo, nella maggior parte dei casi, non possiede adeguata preparazione e sufficiente esperienza per l’espletamento di simile incombente e, comunque, tende ad essere fortemente condizionato da quanto accertato nel corso delle indagini tecniche. In altre parole, il C.T.U., nella dialettica fra le parti, riveste principalmente il ruolo di decisore delle controversie di natura scientifica e, proprio in quanto tale, è inconsciamente dissuaso dal formulare proposte conciliative che si distanzino sensibilmente dai risultati degli accertamenti compiuti. Tant’è vero che, anche laddove la conciliazione riesce, essa viene spesso conclusa successivamente al completamento della C.T.P. e con il coinvolgimento delle sole parti e dei rispettivi difensori, senza l’intervento dell’Ausiliario del Giudice. La prassi della mediazione civile e commerciale, invece, evidenzia delle criticità di segno sostanzialmente inverso. In tale procedimento, infatti, lo spazio dedicato alla negoziazione pura è nettamente prevalente ed il mediatore tende a consigliare delle soluzioni basate sulla sola convenienza, non disponendo di strumenti così efficaci per prevedere i probabili esiti del giudizio, salvo, s’intende, la propria preparazione giuridica, ove sufficiente per quale sia, tra quelle proposte dalle parti, la migliore interpretazione del diritto. Infatti, laddove le tesi sostenute dalle parti divergano nelle valutazioni di natura tecnica o, addirittura, nella ricostruzione del fatto storico, il mediatore è sostanzialmente impossibilitato a distinguere, anche a livello di mera percezione, il torto dalla ragione e, pertanto, a predisporre proposte facilitative corrispondenti alla verosimile decisione giudiziale. In tali evenienze, le trattative rischiano di arenarsi, in quanto, se le parti non hanno ragione di allontanarsi, se non marginalmente, dalle posizioni assunte, il mediatore non dispone di grandi strumenti di persuasione e, talvolta, si limita a formulare proposte conciliative che costituiscano la media aritmetica fra le opposte pretese e contestazioni. Uno dei pochi strumenti che il mediatore può impiegare per il superamento della situazione di stallo è rappresentato dalla facoltà, stabilita dall’articolo 8, 4° comma, del D.lgs. numero 28/2010, di nominare un esperto, incaricandolo di fornire delucidazioni su interrogativi di spessore scientifico tale potere, tuttavia, pur potendo astrattamente esperirsi d’ufficio, è sostanzialmente rimesso all’autorizzazione dei litiganti che, se dissenzienti, possono semplicemente abbandonare il tavolo delle trattative, rendendo inutile lo svolgimento delle indagini peritali. Al contempo, però, quando l’esperto sia stato nominato d’intesa fra le parti, la mediazione esprime le sue massime potenzialità, concludendosi, molto frequentemente, con la stipulazione di un accordo amichevole incidente su tutte le questioni controverse. In questo caso, infatti, ed al pari di quanto avviene nella C.T.P. ex articolo 696-bis c.p.c., i litiganti muovono dal presupposto che l’esperto abbia espresso dei giudizi conformi alle odierne conoscenze scientifiche e che, in ipotesi di fallimento del tentativo di mediazione, il Giudice si atterrà ad esse per la risoluzione della lite. L’esempio classico è costituito dalle controversie in materia di divisione immobiliari, nelle quali le parti litighino sul valore economico da assegnarsi ai singoli cespiti che compongono il compendio patrimoniale su cui insiste la comunione la designazione, ad opera del mediatore, di un esperto la cui posizione di terzietà non sia né formalmente, né sostanzialmente, revocata in dubbio dai soggetti coinvolti ha spesso carattere risolutivo, inducendo le parti a siglare un accordo amichevole dal contenuto sostanzialmente coincidente con quanto accertato in perizia. Alla luce di tali considerazioni, mutuate dall’esperienza sul campo, ma, d’altro canto, conformi alla logica degli affari ed allo spirito del processo, è ragionevole segnalare, de iure condendo, l’opportunità di creare un nuovo prototipo di mediazione che, quantomeno con riferimento a determinate controversie, assorba, al proprio interno, taluni degli elementi caratterizzanti la C.T.P. ex articolo 696-bis c.p.c Si tratterebbe di un procedimento, sempre da annoverarsi tra gli strumenti di alternative dispute resolution, attivabile dalla sola parte e, dunque, non delegabile dal Giudice, fatta salva l’ipotesi di cui parleremo in un successivo intervento , che, diversamente dalla mediazione ordinaria, obblighi il mediatore a designare, sin da subito, un esperto per fornire risposte agli interrogativi propedeutici alla risoluzione della controversia. Il principio dispositivo, pertanto, abbraccerebbe sia la proposizione dell’istanza, sia la scelta di nominare un consulente per la pronunzia di opinioni sulle tematiche di ordine eminentemente tecnico. I giudizi espressi dall’esperto, poi, non sarebbero vincolanti per le parti, ma sarebbero impiegati dal mediatore per favorire il raggiungimento della mediazione e, in caso di fallimento del tentativo, potrebbero essere spesi nell’eventuale successivo processo di cognizione, quale indizio liberamente valutabile dal Giudice. Si verrebbe a creare, pertanto, una scissione fra il ruolo dell’esperto, chiamato unicamente ad esprimere valutazioni scientifiche, ed il ruolo del mediatore, deputato ad agevolare l’amichevole composizione della controversia. Dovrebbe altresì ammettersi che, ad integrazione di quanto asserito dall’esperto, il mediatore, su istanza di parte o anche d’ufficio, possa ascoltare, nel contraddittorio fra le parti, persone informate sui fatti, trascrivendone le dichiarazioni in separato verbale. Il verbale dovrebbe potersi produrre in sede giudiziale, affinché il Giudice possa liberamente valutare le dichiarazioni in esso contenute, ovviamente non con il valore di prova. L’esperimento ante causam di tale tipologia di procedimento dovrebbe altresì impedire al Giudice di disporre nuovamente la mediazione, che, diversamente, si rivelerebbe un’inutile dispersione di tempi processuali e di risorse economiche. Alla luce delle superiori considerazioni, sia consentito ripercorrere, in estrema sintesi, le ragioni per cui simile formula di A.D.R., che potrebbe denominarsi accertamento tecnico preventivo stragiudiziale, possa considerarsi preferibile rispetto alle analoghe procedure di conciliazione già tipizzate nell’ordinamento. Essa, infatti a rispetto alla C.T.P. ex articolo 696-bis c.p.c., radica il dovere di tentare la conciliazione fra le parti in capo ad un soggetto differente dal professionista deputato ad esprimere apprezzamenti di natura tecnica e scientifica, con tutti i vantaggi che ne conseguono con riferimento alla maggiore elasticità nella formulazione delle proposte conciliative. Inoltre, sottrae l’istante a qualunque rischio di essere condannato al rimborso delle spese di lite sostenute dalla controparte, come avverrebbe, invece, laddove l’istanza ex articolo 696-bis c.p.c. sia dichiarata inammissibile b rispetto alla mediazione tradizionale, postula necessariamente la designazione dell’esperto e consente al mediatore di acquisire sommarie informazione per colmare le eventuali lacune istruttorie che l’elaborato dell’esperto non sia riuscito a rimuovere. Si evita, da un’altra prospettiva, l’apertura di procedimenti che, in ragione dell’incolpevole ignoranza del mediatore sulle tematiche scientifiche e del dissenso della parte invitata circa la nomina dell’Ausiliario, si traducano in una gratuita dispersione di tempi processuali e di risorse economiche. Viene qui di seguito suggerita una possibile codificazione dell’istituto che potrebbe essere inserita nella disciplina della mediazione di cui al D.lgs. 4 marzo 2010 numero 28, che, in ragione della sua relativamente ampia estensione e della numerosa giurisprudenza che si è cimentata nella sua interpretazione, costituirebbe la preferibile base normativa per il superamento delle lacune che, inevitabilmente, affiorerebbero nella prassi applicativa. La C.T.P. ex articolo 696-bis c.p.c., invece, pur presentando delle generiche affinità con l’accertamento tecnico preventivo stragiudiziale, si differenzia radicalmente da esso, se non altro perché è necessariamente inserito in un contesto giudiziale, a cui la mediazione civile e commerciale, invece, ben può rimanere estranea.

PP_CIV_mediazione_DiMarco_s