In tema di servitù coattiva di passaggio a favore di un fondo non intercluso, di cui all’articolo 1052 c.c., è onere della parte provare e dimostrare, oltre all’insufficienza dell’accesso alla via pubblica già esistente e alla non modificabilità dello stato dei luoghi, l’impossibilità di ampliare l’accesso ritenuto inidoneo rispetto ai bisogni del fondo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 15023/13, depositata il 14 giugno scorso, ha altresì precisato che legittimati a proporre l’ actio negatoria servitutis sono, oltre al proprietario del fondo, i titolari di diritti reali di godimento. Accertamento negativo della servitù e costituzione coattiva della servitù di passaggio. Con la pronuncia in rassegna, la Corte di Cassazione interviene su una questione in tema di servitù ed afferma interessanti principi sia per quanto concerne la legittimazione attiva a proporre l’azione negatoria nei confronti del diritto reale in questione, sia per quanto concerne i presupposti per la costituzione della servitù coattiva di passaggio di un fondo non intercluso ai sensi dell’articolo 1052 c.c La legittimazione attiva all’actio negatoria servitutis sia del proprietario che dei titolari di diritti reali di godimento. La Corte in tema di legittimazione attiva ad esperire l’azione negatoria della servitù conferma la pronuncia impugnata che ha ritenuto legittimati attivamente, oltre che il proprietario, anche i titolari di diritti reali di godimento. Tale affermazione si pone il linea di continuità con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’azione negatoria servitutis tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell’attore, e dunque non soltanto all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù, ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo inoltre, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà - neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall’altra parte - essendo sufficiente la dimostrazione con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido l’azione, infatti non mira all’accertamento dell’esistenza della titolarità della proprietà, ma a chiedere la cessazione dell’attività lesiva, mentre al convenuto incombe l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere detta attività Cass. numero 24028/2004 . La servitù coattiva di passaggio nel fondo non intercluso. Altro aspetto per cui la sentenza in rassegna merita di essere segnalata riguarda la precisa presa di posizione con riguardo ai presupposti per la costituzione della servitù coattiva di passaggio di un fondo non intercluso, di cui all’articolo 1052 cod. civ. Secondo la pronuncia in commento, la parte che agisce per la costituzione di una servitù coattiva di passaggio con riguardo ad un fondo non intercluso, ha l’onere di provare, oltre all’insufficienza dell’accesso alla via pubblica già esistente e alla non modificabilità dello stato dei luoghi, anche «l’impossibilità di ampliare l’accesso ritenuto inidoneo rispetto ai bisogni del fondo». D’altronde, la giurisprudenza di legittimità in passato non ha mancato di rilevare che, a differenza dell’articolo 1051 c.c., che rileva nel caso in cui il fondo sia circondato da fondi altrui e non abbia uscita sulla pubblica via, l’articolo 1052 c.c. non contempla un’ipotesi di interclusione e quindi una vera e propria condizione di necessità del passaggio coattivo, ma consente di prendere in considerazione lo stato di un fondo, munito di accesso inadatto o insufficiente di ampliamento ai fini dell’impostazione coattiva di un altro passaggio, di guisa che tale imposizione deve essere giustificata dai bisogni del fondo, che non possono essere soddisfatti con l’utilizzazione dell’accesso in atto, e dalla rispondenza delle esigenze dell’agricoltura o dell’industria Cass. numero 6590/1986 .
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 26 febbraio – 14 giugno 2013, numero 15023 Presidente Piccialli – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 19 e 21 giugno 2000 M.S. , D.L.R. , B.V. , N.N. , D.M. , MO.St. , MO.Gi. , F.S.R. , G.G. , FA.Ma. ed il CONDOMINIO omissis evocavano, dinanzi al Tribunale di Torino, la GHISALBA s.p.a., BO.Ma. , m.s. e A.G.M. esponendo di essere comproprietari di un terreno sito in omissis , delimitato dalle lettere P W’ W’’ S e P nelle planimetrie allegate ai rogiti notarili 28.7.1965 notaio Crosio e 30.12.1966 notaio Olivero, gravato da servitù di passaggio carraio e pedonale in favore dell'adiacente CONDOMINIO, di cui il M. e gli eredi B. erano peraltro condomini, area sulla quale la società convenuta, proprietaria dell'adiacente sedime, esercitava dal 1990, senza titolo, passaggio carraio con mezzi pesanti, per cui - convenuti il BO. , il m. e la A. nella veste di condomini dissenzienti il primo anche quale comproprietario del terreno preteso servente -chiedevano venisse accertata l'inesistenza del diritto di passaggio della predetta società. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della società convenuta, la quale affermava che la servitù di passaggio era costituita con rogito Olivero del 30.12.1966 e, in subordine, spiegava riconvenzionale per ottenere dichiarazione di accertamento della servitù ex articolo 1159 c.c. ovvero di servitù coattiva, nonché il BO. , che affermava di non essere comproprietario dell'area in forza di rogito di permuta per notaio Silvestri del 18.5.1999 con il suo dante causa B.A. figlio di B.C. , che spiegava, altresì, riconvenzionale, il giudice adito, espletata istruttoria, rigettava le domande proposte da M. , D.L. e B. ritenendo che gli stessi non fossero proprietari dell'area in relazione alla quale era stata proposta actio negatoria servitutis dichiarava inammissibili quelle delle altre parti attrici rilevando la loro carenza di legittimazione attiva, avendo essi stessi dichiarato di non essere proprietari del terreno in questione dichiarava inammissibili le domande riconvenzionali del BO. perché tardive ex articolo 167 c.p.c In virtù di rituale appello interposto da M.S. , D.L.R. , B.V. , N.N. , D.M. , MO.St. , MO.Gi. , F.S.R. , G.G. , F.M. e dal CONDOMINIO omissis , con il quale lamentavano che il giudice di prime cure avesse ritenuto formulata una rituale contestazione dell'effettiva titolarità del diritto di proprietà in subordine, che non fossero stati valutati elementi di prova favorevoli agli appellanti , la Corte di appello di Torino, nella resistenza della appellata GHISALBA s.p.a., non costituiti il BO. , la m. e l'A. , accoglieva il gravame e in riforma della decisione di primo grado, respinte le domande riconvenzionali, dichiarava che sull'area in questione non esisteva la servitù di passaggio pedonale e carraio a favore del fondo acquistato dalla GHISALBA con rogito 30.7.1986 notaio Gamba ed inibiva alla predetta società di esercitare tale passaggio. A sostegno dell'adottata sentenza, la Corte territoriale evidenziava che dalle clausole dell'atto a rogito del notaio Olivero del 30.12.1966 il M. ed il B. , comproprietari dell'area in questione pro quota, avevano convenuto di annetterla quale pertinenza all'edificio B, per destinarla a passaggio privato e parcheggio, per cui avevano costituto un vincolo di destinazione tra i due beni, pattuizione che non aveva alcuna rilevanza circa la sorte del diritto di proprietà, anche perché da nessun atto o documento risultava che vi fossero state successive alienazioni. Aggiungeva che lo stesso Regolamento condominiale disciplinava la porzione di terreno quale pertinenza, senza annoverarla tra le cose comuni, non essendo mai stata ceduta al Condominio. Legittimati a proporre l'azione negatoria, inoltre, dovevano ritenersi oltre ai proprietari del fondo, i titolari di diritti reali di godimento, per cui era ammissibile anche la domanda proposta dai condomini. Né la servitù convenzionale - secondo la tesi di parte appellata - poteva ritenersi costituita sulla base di una lettura del rogito 30.12.1966 non essendosi verificata la condizione cui era subordinata, ossia la costruzione di autorimesse nel sottosuolo, essendo finalizzata - nelle intenzioni delle parti - a rendere agevole il passaggio alle autovetture dirette e provenienti dalle autorimesse su tutta la striscia di terreno che avrebbe dovuto mettere in comunicazione due vie. Del pari indimostrato appariva l'acquisto del diritto in questione per usucapione decennale, insussistenti i presupposti, riferendosi l'atto di acquisto della GHISALBA, rogito del 30.7.1986, agli atti del 28.7.1965 e 30.12.1966 difettavano pure i requisiti per la costituzione della servitù coattiva, giacché l'accesso dei mezzi articolati da via mancava dello spazio di manovra, necessario per gli automezzi di lunghezza superiore ai 12 mt. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione la GHISALBA s.p.a., articolato su quattro motivi, al quale hanno resistito con controricorso il M. , la D.L. , il B. , il N. , i MO. , la F. , la FA. ed il CONDOMINIO, i quali hanno anche presentato ricorso incidentale, affidato a tre motivi, non costituiti gli intimati BO. , m. , A. , D. e G. . Depositato controricorso dalla GHISALBA, veniva fissata pubblica udienza al 25.9.2012, nella quale la causa rinviata a nuovo ruolo per acquisire delibera assembleare di autorizzazione a stare in giudizio, prodotta il successivo 30.10.2012. I resistenti hanno presentato memoria illustrativa. Motivi della decisione Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti, a norma dell'articolo 335 c.p.c., concernendo la stessa sentenza. Ciò posto, con il primo motivo la ricorrente lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare la formale eccezione della stessa società in ordine alla mancanza di legittimazione degli attori M. ed eredi di B.C. , B.V. , D.L.R. erede di B.L. , Bo.Ma. avente causa di B.A. per essere lampante la prova dell'avvenuta perdita del cespite, in tal senso dovendosi interpretare il vincolo pertinenziale costituito dal M. e da B.C. , legittimazione che non sussisterebbe nemmeno quali condomini dello stabile proprietario del fondo servente, non avendo dato dimostrazione della loro qualità di condomini. La Corte di merito, richiamato il percorso logico che ha sorretto la decisione del primo giudice, ha ritenuto, diversamente da detto giudice per cui ne ha riformato le conclusioni , che la denuncia con cui gli appellanti, attuali resistenti, prospettavano una diversa interpretazione dell'atto negoziale del 30.12.1966, nel quale i comproprietari dell'area in questione avevano convenuto di annetterla quale pertinenza dell'edificio B, per destinarla a passaggio privato e parcheggio, oltre ad avere previsto una disciplina in tal senso del predetto bene nel Regolamento condominiale, poteva essere condivisa, giacché non essendo stata documentata in alcun modo la successiva alienazione della superficie, in ogni caso legittimati all'actio negatoria servitutis, oltre ai proprietari del fondo dominante, dovevano ritenersi anche i titolari di un diritto reale di godimento. Aggiungeva che non poteva essere dato spazio interpretativo di segno contrario ad asserita servitù convenzionale, che ad avviso della appellata sarebbe stata costituita dai contraenti proprio con il rogito del 30.12.1966, per non essersi avverata la condizione cui era subordinata la venuta ad esistenza del diritto reale, contemplata nella costruzione di autorimesse nel sottosuolo. Sulla scorta di tale impostazione, occorre osservare che era esatto ritenere che legittimato alla tutela reale fosse il Condominio. La società ricorrente muove la sua critica avverso questa soluzione in maniera generica. Nel corpo della critica mossa a questa decisione non si rinviene alcuna censura relativa ad un probabile errore d'interpretazione della disciplinare legale in cui sarebbe incorso il giudice del gravame, laddove ha escluso la costituzione di una servitù di passaggio, con conseguente legittimazione dei condomini il cui diritto deriva dal Regolamento condominiale, da valutare alla luce del tenore delle clausole di cui all'atto notarile del 30.12.1996, in quanto si deve rilevare che la ricorrente censura la decisione impugnata lamentando, al di là dell'enunciazione del vizio di motivazione rappresentato in rubrica, che vi era in atti la prova dell'avvenuta perdita della proprietà del cespite in capo al M. ed al B. , come emergeva delle dichiarazioni contrattuali in esame, non adeguatamente indagata dalla corte di merito la effettiva consapevolezza delle parti contraenti circa gli effetti di dismissione del bene. Siffatta denuncia non è da accogliere essendo rimasto accertato, a parere dagli organi di merito, con accertamento che non è sindacabile in questa chiave e in questa sede, in quanto suffragato da argomentazione logica ed adeguata, che le espressioni usate nell'atto pubblico condizionavano la costituzione della servitù di transito, pedonale e carraio, alla realizzazione di autorimesse nel sottosuolo, per cui non essendosi pacificamente avverata detta condizione, escludevano il sorgere dello stesso diritto reale. Questa ratio decidendi è rimasta praticamente priva di censura, poiché il ricorso si limita a ravvisare in questa conclusione una carenza motivazionale solo genericamente enunciata, proponendo in sostanza la sua lettura, in tesi più corretta, dalle risultanze probatorie, sollecitando un'indagine che esorbita però dagli stretti margini entro cui deve condursi la verifica della vicenda in questa sede. In tal modo rimane confermata la destinazione pertinenziale della zona in contesa in favore del Condominio, non essendo stata la ratio decidendi della statuizione relativa alla mancata costituzione della servitù volontaria giova ripeterlo, per mancato avveramento della condizione attaccata. Con il secondo motivo del ricorso principale viene denunciata la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c. in relazione all'articolo 360 numero 4 c.p.c., per avere la corte di merito, nel ricordare l'insegnamento in tema di legittimazione a proporre l'azione negaroria servitutis, non colto che ciò che chiedevano il CONDOMINIO ed i condomini, che atteneva ad area di terzi, essendo il sito de quo di pertinenza dell'edificio condominiale. Il motivo conclude con il seguente quesito Dica la Suprema corte se sussiste violazione del disposto di cui all'articolo 112 c.p.c. per mero errore materiale trascritto 'c.c.' nel caso in cui la Corte territoriale abbia accolto una domanda di negatoria servitutis allorquando le partì abbiano errato nell'indicare i titolari del diritto di proprietà del fondo servente . Anche il secondo motivo del ricorso principale non è accoglibile. Va in primo luogo rilevato che si tratta di quesito che non corrisponde a quanto ritenuto dalla sentenza, che, come si è detto, non si è limitata ad accertare che l'area in contestazione era in comproprietà del M. e di B.C. , come da rogito Olivero del 3012.1966, ma ha tenuto conto di tutti gli elementi utili secondo i quali i predetti quanto meno originari comproprietari del bene , nella loro qualità di condomini dello stabile di via erano comunque titolari di un diritto reale ove esistente, del diritto di godere del fondo di proprietà comune ex articolo 1102 c.c. per arrivare ad affermare, come ha fatto, che su detta area avevano titolo per esperire l'actio negatoria servitutis. Il quesito e conseguentemente tutto il motivo è quindi inappropriato, perché ipotizza che la sentenza abbia regolato la fattispecie in modo diverso da quello rilevabile dall'atto impugnato, senza tenere conto dell'eccezione di carenza di legittimazione della ricorrente principale, mentre sulla base di una ragionevole, e pertanto incensurabile, valutazione critica delle relative risultanze probatorie titoli di acquisto dei rispettivi immobili, regolamento condominiale , alla stregua della quale la tesi esposta dalla GHISALBA circa l'interpretazione dei titoli di provenienza era risultata in insanabile contrasto con le clausole del rogito Olivero, in particolare quella al punto 1, tanto da privarla di qualsiasi significato, di cui si è già riferito in narrativa, la corte distrettuale ha ritenuto di formulare un giudizio di sicura appartenenza dell'area ancora ai predetti, M.S. ed eredi di B.C. . Detto passaggio logico non è fatto segno di critica, non risultando il vizio denunciato, sostanzialmente da collegarsi al primo motivo, pertinente a tale articolato e puntualmente motivato passaggio argomentativo, che riconosce un diritto d'uso in capo ai condomini, rispetto al quale il quesito di diritto, peraltro astratto, risulta eccentrico e non pertinente. Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, giacché l'argomentazione utilizzata dalla corte di merito per ritenere insussistente la servitù di passaggio in favore della GHISALBA, ossia il non avveramento della condizione cui era subordinata la nascita del relativo diritto, non ha tenuto conto che il complesso delle clausole si riferivano alla costituzione di reciproche servitù. A sintesi della critica il motivo conclude il fatto controverso sarebbe la sussistenza di due diverse servitù previste nel rogito Olivero una sottoposta a condizione della costruzione di autorimesse insistenti sul sedime P-S-T-L-P e prevista al paragrafo 1 e l'altra insistente sul sedime N.C'-D-W'-W’’-Z-N prevista dal paragrafo 11 punto C . Non possono che essere confermate le considerazioni di cui al primo motivo, in quanto anche con detta censura la ricorrente pone una critica alla valutazione delle risultanze probatorie ed in specie, alla interpretazione dei titoli di acquisto, effettuata dalla corte di merito, irrilevante nel quadro interpretativo fornito dal giudice distrettuale della vicenda de qua la questione proposta in questa sede secondo cui l'atto pubblico contemplerebbe la costituzione di due diverse servitù. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. per avere rigettato la riconvenzionale volta ad ottenere la costituzione di servitù coattiva sul presupposto del difetto di prova - a carico della stessa ricorrente - dell'impossibilità di modificare lo stato dei luoghi, pur non avendo controparte nulla contestato al riguardo ed avendo fatto il c.t.u. detto accertamento. In ragione di ciò, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto “ Dica la Suprema Corte di Cassazione se chi richiede il passaggio coattivo ai sensi dell'articolo 1052 c.c. debba assolvere ad ulteriori oneri probatori circa il requisito della non ampliabilità del passaggio esistente qualora tal circostanza non sia contestata dalle controparti e la non ampliabilità risulti accertata dallo stato dei luoghi come descritto dal c.t.u. . Il motivo è infondato, in quanto frutto di evidente confusione tra i concetti di insufficienza dell'accesso alla via pubblica e di non modificabilità dello stato dei luoghi, il primo dei quali, come si desume dall'articolo 1052 c.c., è costituito dalla inadeguatezza in relazione ai bisogni propri del fondo preteso dominante per esigenze dell'agricoltura o dell'industria , mentre il secondo integra l'essenziale condizione perché possa, ai sensi dell'articolo 1051 c.c., richiedersi la costituzione di una servitù coattiva di passaggio. Il motivo si basa su di una contestazione del tutto generica delle valutazioni operate dal giudice di appello e si limita a postulare la non necessità di ulteriori approfondimenti istruttori su temi di prova che invece sarebbe stato onere della stessa parte allegare e provare, quale la impossibilità di ampliare l'accesso ritenuto inidoneo rispetto ai bisogni del fondo, non recando alcuna specifica indicazione su di un dato fatto sostanziale, la cui contestazione va ricompresa nelle difese esposte dalle controparti diversamente da quanto asserito dalla ricorrente e della sua attitudine, se altrimenti valutato, a condurre ad una decisione diversa e favorevole alla parte ricorrente. Passando al ricorso incidentale, affidato a tre motivi - con i quali viene denunciata la violazione o falsa applicazione degli articolo 112 e 115 c.p.c., nonché dell'articolo 2697 c.c., oltre a vizio di motivazione per non avere la corte di merito pronunciato alcunché sulla preliminare eccezione formulata dai ricorrenti incidentali, sin dall'atto introduttivo del giudizio, di estinzione della servitù per mancato esercizio ventennale ex articolo 1073 c.c. ovvero per avere dichiarato assorbite tutte le ulteriori domande attoree posizione del Condominio e degli altri condomini, intollerabilità delle immissioni sonore e di fumi, calcolo della indennità - considerato che le critiche appaiono subordinate all'accoglimento del ricorso principale, per cui nella sostanza è condizionato, resta assorbito. Conclusivamente, va rigettato l'appello principale, assorbito quello incidentale. Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.