Appalto o somministrazione di manodopera? Contano le mansioni svolte e l’esercizio del potere direttivo

Vi è mera interposizione di manodopera – e non appalto – se i soci lavoratori di una cooperativa svolgono le medesime mansioni dei dipendenti, svolgendo attività che rientrano nel normale processo produttivo e sottostanno al potere direttivo ed organizzativo della società presso cui sono impiegati.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 2334/13, depositata il 17 gennaio. Il caso. Il procedimento si generava a seguito delle attività ispettive svolte dalla direzione provinciale del lavoro, la quale si era mossa ad effettuare controlli sulla cooperativa che – in forza di vari contratti d’appalto – inviava lavoratori a diverse ditte, tra cui la società amministrata dall’imputato. L’imputato, quale amministratore unico della società, veniva condannato per avere stipulato con la cooperativa un contratto di appalto di servizi senza rispettare i requisiti previsti dal D. Lgs. numero 276/2003. Nessun vero appalto di servizi. I casi che rientrano in tale tipologia di impiego di lavoratori sono quelli in cui all’appaltatore siano riferibili l’organizzazione dei mezzi necessari per l’esecuzione dell’appalto, con assunzione del rischio di impresa attuale da parte dello stesso, così come l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori impiegati. Tali presupposti erano carenti secondo i giudici. L’accesso ispettivo L’accertamento svolto dalla direzione provinciale del lavoro mostrava l’insussistenza in concreto dei presupposti dell’appalto di servizi i lavoratori erano infatti impiegati indistintamente e sottostavano ai poteri di direzione disciplinare della società amministrata dall’imputato, che utilizzava i soci lavoratori della cooperativa in attività del normale processo produttivo e facendo loro svolgere le medesime mansioni dei propri dipendenti. rivelatore della sola interposizione nella prestazione di manodopera. Mancando i requisiti previsti per una lecita ipotesi di appalto di servizi, sussisteva il presupposto di fatto del reato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 novembre 2012 – 17 gennaio 2013, numero 2334 Presidente Franco – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. T.D. , nato a omissis , era imputato del reato p. e p. dall'articolo 18 comma 5 bis D.Lvo. 276/2003, come introdotto dall'articolo 4 comma quinto del D.L.vo numero 251/2004, per avere, quale amministratore unico della ditta FRESCO SERVICE S.r.l. , con sede legale e operativa in omissis , stipulato contratto di appalto di servizi, in assenza dei requisiti previsti dall'articolo 29 comma primo del citato decreto, con la società G.T.5. MAGAZINE a r.l. di , per il tramite della SOCIETÀ COOPERATIVA AGENZIA 1 a r.l. , con sede legale in e unità produttiva in omissis , utilizzando i soci-lavoratori di quest'ultima società in attività rientranti nel normale processo produttivo, facendo svolgere loro le medesime mansioni dei propri dipendenti acc. in omissis accertato il omissis . Il 26.5.2009 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pesaro condannava con decreto penale D T. per il reato punito dall'articolo 18 comma 5 bis del D. Lgs. numero 276 del 2003. A seguito di opposizione si celebrava il dibattimento nel corso del quale le parti producevano documentazione afferente i contratti intercorsi tra Fresco Service, GTS Magazine, Fresh Coop. Erano sentiti i testimoni C D. , C.L. , M.F. , P G. . La Dionisi, in servizio come ispettrice negli uffici della Direzione provinciale del lavoro di Pesaro, ha riferito che le indagini erano partite dai controlli sulla cooperativa di Pesaro Agenzia 1 che per effetto di vari contratti d'appalto inviava personale a diverse ditte pesaresi tra cui la Fresco Service amministrata da T.D. . Per verificare se si trattasse di appalto o somministrazione di manodopera era compiuto un accesso ispettivo presso la sede della Fresco Service con audizione di informatori ed acquisizione di documenti. All'esito dell'istruttoria dibattimentale il tribunale di Pesaro dichiarava l'imputato colpevole e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di 24.600 Euro di ammenda e al pagamento delle spese processuali con il beneficio della sospensione condizionale della pena. 2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con due motivi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è articolato in due motivi. Innanzitutto il ricorrente contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provata la sua responsabilità per aver posto in essere un appalto di lavoro non genuino. Nega che dall'istruttoria dibattimentale siano emersi elementi sufficienti per ritenere provati i presupposti di fatto dell'illecita somministrazione di lavoro. Inoltre lamenta la carenza dell'istruttoria e in particolare contesta la deposizione del teste G G. . 2. Il ricorso è inammissibile. L'articolo 18, comma 5-bis, del d.lgs. numero 276 del 2003, comma aggiunto dall'articolo 4, d.lgs. 6 ottobre 2004, numero 251, prevede che nei casi di appalto privo dei requisiti di cui al precedente articolo 29, comma 1, e di distacco privo dei requisiti di cui all'articolo 30, comma 1, l'utilizzatore e il somministratore sono puniti con la pena della ammenda di Euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione, salvo che vi sia sfruttamento dei minori, nel qual caso la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo. Il presupposto di fatto di tale reato consiste, con riferimento al caso di specie, nella mancanza dei requisiti previsti perché sia ravvisabile una effettiva ipotesi di appalto di servizi. In particolare deve essere riferibile all'appaltatore l'organizzazione dei mezzi necessari per l'esecuzione dell'appalto deve risultare il rischio di impresa attuale assunto dall'appaltatore deve essere l'appaltatore ad esercitare il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto. Con valutazione di merito, sorretta da adeguata motivazione, il tribunale di Pesaro, che ha fatto riferimento soprattutto alle risultanze della ispezione della locale direzione provinciale del lavoro, ha accertato la mancata sussistenza in concreto dei presupposti dell'appalto di servizio e quindi si ricade nell'ipotesi di appalto irregolare che costituisce l'elemento materiale del reato contestato. A fronte di questo accertamento di fatto il ricorrente muove soltanto inammissibili censure di merito. Il tribunale, sulla base delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, ha potuto accertare che, all'esito di un'ispezione della direzione provinciale del lavoro di Pesaro, era risultato che i lavoratori dell'Agenzia 1 erano impiegati indistintamente insieme a quelli della Fresco service e sottostavano ai poteri di direzione disciplinari di quest'ultima. Mancavano quindi i presupposti dell'appalto e vi era una mera interposizione nella prestazione di manodopera, consentita soltanto nei limiti della somministrazione lecita, nella specie non configurabile. 3. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 numero 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 cpp l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00. P.Q.M. la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.