Illegittimità della distrazione dei beni mobili della società e dei pagamenti preferenziali per i creditori

Non può invocare a proprio discarico la buona fede e, quindi, l’assenza di dolo l’imprenditore che, in presenza di una situazione societaria di dissesto, in epoca immediatamente prossima alla dichiarazione di fallimento, occulti gli arredi d’ufficio della società ed effettui pagamenti specificamente orientati in favore di un solo creditore ed in danno degli altri.

Il caso. La Corte di Appello di Genova confermava in toto la sentenza con cui il Tribunale di La Spezia aveva condannato tale F.A. per i reati di cui agli articolo 216, 219 e 223 della Legge Fallimentare. In particolare, l’imputato, amministratore unico di una s.r.l., avrebbe realizzato plurime condotte di bancarotta, sia occultando beni mobili soggetti a pignoramento, che distraendo somme di denaro finalizzate al pagamento di solo uno dei plurimi creditori. Avverso tale pronuncia, F.A. proponeva ricorso per Cassazione, deducendo carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in primis, con riferimento all’elemento psicologico del delitto di bancarotta, attesa la asserita inconsapevolezza da parte dell’imputato dello stato di insolvenza della società. In secundis, i vizi in questione sarebbero afferenti la contestazione della c.d. bancarotta preferenziale, atteso che, secondo la difesa, i pagamenti incriminati, comunque relativi a lavori realmente eseguiti, sarebbero stati effettuati prima della assunzione, da parte dello stesso F.A., del ruolo di amministratore della società beneficiaria degli stessi. Infine, la difesa censurava la sentenza impugnata sia con riferimento alla contestata aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta, che al trattamento sanzionatorio. L’occultamento dei beni mobili e la consapevolezza dello stato di insolvenza della società. La Quinta Sezione della Corte di Legittimità, nel rigettare il primo motivo di ricorso – afferente la ritenuta mancanza di dolo nella condotta di occultamento posta in essere da F.A. – ha precisato che, avendo l’imputato realizzato le irregolarità nella gestione della s.r.l. in epoca immediatamente prossima alla dichiarazione di fallimento – e, dunque, in un momento in cui le condizioni economiche della società erano pacificamente ed oggettivamente caratterizzate dalla esistenza di rilevanti ed evidenti passività – di certo lo stesso, nella sua qualità di amministratore unico, non poteva non essere consapevole della esistenza di tale condizione di dissesto societario. Conseguentemente, la realizzazione delle condotte di occultamento in un simile contesto, rientra a pieno titolo nell’alveo degli elementi tipici della fattispecie delittuosa contestata, non potendo pertanto l’imputato invocare a propria discolpa la inconsapevolezza dello stato di insolvenza. Tra l’altro, con precipuo riferimento all’occultamento di beni mobili, i Supremi Giudici hanno chiarito che, in ossequio al consolidato orientamento giurisprudenziale sul punto, l’occultamento consiste in ogni manovra dell’imprenditore diretta a far credere non esistenti, in tutto o in parte, i beni che, invece, esistono. Donde, l’ipotesi di reato contestata deve ritenersi pienamente integrata – ed il relativo motivo di ricorso deve essere rigettato – sulla scorta del ritrovamento, presso l’abitazione del ricorrente, di beni mobili della società – nella specie, arredi d’ufficio – sui quali era intervenuto il pignoramento. La bancarotta preferenziale e l’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta. La Corte Regolatrice, nel rigettare anche il secondo motivo di ricorso, ha affermato la correttezza della contestazione accusatoria, atteso che la fattispecie di reato in questione risulta ictu oculi integrata sulla scorta del rapporto esistente tra la ditta fallita e quella beneficiaria dei pagamenti. In particolare, l’imputato, nonostante fosse consapevole della situazione di difficoltà in cui versava la società, invece di formulare rituale richiesta di fallimento, ha deciso di saldare solo alcuni debiti, favorendo in ciò esclusivamente la s.r.l. di cui era – o, comunque, sarebbe diventato di li a breve – amministratore unico, con ciò integrando gli elementi tipici del delitto di bancarotta preferenziale. In effetti, il ricorrente – e ciò indipendentemente dal ruolo dallo stesso ricoperto all’interno della società beneficiaria dei pagamenti in questione – nella sua qualità di amministratore unico della s.r.l. gravata da rilevanti passività che di li a poco ne avrebbero, chiaramente, determinato il fallimento, ha immotivatamente agevolato un creditore rispetto ad altri e, pertanto, ha pacificamente realizzato una violazione della par condicio creditorum ex lege tutelata. Tutto quanto sopra, fermo restando che – secondo la Corte di Cassazione – la presente condotta illecita, unitamente alle altre più specificamente afferenti l’occultamento dei beni mobili, per quanto tutte formalmente contestate unitariamente all’imputato, danno ugualmente luogo all’aggravante di cui all’articolo 219 della Legge Fallimentare, dovendo le stesse essere valutate quali condotte plurime e dovendo, pertanto, essere rigettato anche il relativo motivo di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 aprile – 24 luglio 2012, numero 30308 Presidente Ferrua – Relatore De Berardinis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 1-2-2011 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza emessa in data 7.12.2007 dal Tribunale di La Spezia con la quale F.A. era stato dichiarato responsabile dei reati di cui agli articolo 216, co.1 numero 1 e 223 - 219 L.F., per avere realizzato condotte di bancarotta, occultando beni mobili soggetti a pignoramento, nonché distraendo la somma di lire 140.600.000, per pagamenti in danno dei creditori, nel periodo tra il 30.12.2000 e la dichiarazione di fallimento, dela società Nuova Ferroviaria s.r.l. della quale egli era amministratore unico - fatti acc.in omissis - con aggravante di cui all’articolo 219 LF. e recidiva, ex articolo 99 comma IV CP Per tali reati era stata inflitta all'imputato la pena di anni cinque di reclusione oltre le pene accessorie della inabilitazione dall’esercizio di imprese, e della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Avverso tale sentenza proponeva ricorso il difensore, deducendo 1 - carenza, contraddittorietà, illogicità della motivazione. Al riguardo evidenziava che non era stata dimostrata l'esistenza dell'elemento psicologico del delitto di bancarotta atteso che la Corte si era limitata ad illustrare schematicamente le condotte incriminate, ricostruite in base alle dichiarazioni del curatore e su quelle del perito designato dal PM., in assenza di prove certe della responsabilità dell'imputato. Diversamente la difesa sosteneva che il F. non era consapevole dello stato di insolvenza della società. D'altra parte rilevava che non era dotata di fondamento l'accusa di avere occultato dei beni mobili - arredi di ufficio - tanto che l'imputato allorché era stato convocato dal curatore aveva riferito che gli arredi si trovavano nella propria abitazione, e che erano a disposizione del fallimento. Rilevava in tal senso che l'imputato si era prodigato per preservare gli arredi dalla dispersione. Su tali aspetti la difesa riteneva che la ricostruzione della vicenda di cui ali1 imputazione fosse stata resa dalla Corte di Appello senza specificità e precisione-anche nel definire l'imputato come reo confesso. Diversamente il ricorrente addebitava al curatore fallimentare l'omessa utilizzazione degli arredi al fine di produrre una somma destinata al compendio del fallimento. In secondo luogo il ricorrente censurava la contestazione dell'aggravante ex articolo 219 - LF. 2 - Quanto alla bancarotta preferenziale, ascritta all'imputato per avere eseguito i pagamenti a favore della ditta COES s.r.l. , la difesa contrastava l'accusa rilevando che tutte le fatture emesse riguardavano il pagamento di lavori realmente eseguiti dalla società fallitale che detti pagamenti erano stati regolarmente registrati, risultando eseguiti in epoca anteriore alla assunzione da parte dell'imputato F. del ruolo di amministratore della COES s.r.l. citando il verbale di assemblea del 15.1.2001, che era stato allegato all'atto di appello - v.fl8-9 del ricorso . Precisava altresì che in data 25-1-2001 gli altri soci della Coes avevano ceduto le proprie quote al predetto imputato, ed il capitale era stato suddiviso tra il F. e l'A. . In tal senso il ricorrente riteneva che fosse dimostrata l'assenza di responsabilità dell'imputato in riferimento alla bancarotta preferenziale, evidenziando che le fatture delle quali era avvenuto il pagamento enumerate a sostegno dell'accusa erano in realtà relative ad alcuni lavori che effettivamente erano stati svolti dalla Nuova Ferroviaria S.r.l., ritenendo che le date di emissione delle fatture dimostravano la assenza di responsabilità del ricorrente. Il difensore illustrava altresì le tappe dell'attività di impresa svolta da A.F. , dichiarato fallito in proprio per la ditta Artpell, nel 1983, poi cancellato dal registro delle imprese artigiane nello stesso anno. Successivamente l'A. aveva intrapreso attività come cottimista di lavori edili non specializzati, nel 2000. In tale veste il predetto aveva collaborato con la Nuova Ferroviaria. Il ricorrente evidenziava peraltro che il suddetto A. era titolare di una partita I.V.A. e dunque non avrebbe avuto rilevanza il dato che egli non risultasse iscritto alla C.C.I.A.A Da tali elementi il difensore riteneva di desumere la regolarità dei pagamenti effettuati dall’imputato. D'altra parte la difesa rilevava che la collaborazione di A. con la società fallita era iniziata dopo sei mesi dal pignoramento e che il credito sul quale il pignoramento si basava era di entità non rilevante lire 12.531.081 . Inoltre evidenziava che l'istanza di fallimento era stata presentata da una ditta - società 3 ELLE - il cui credito era stato contestato nella sua essenza. 3 - Quanto al dolo evidenziava che il F. non aveva ricevuto notifica della procedura fallimentare in corso, essendo carente la prova della notifica ordinata dal Giudice delegato. Peraltro rilevava che il F. aveva una partita IVA realmente esistente, pur avendo seguito la procedura di condono, per effetto della quale risultava estinta la posizione fiscale dal 1991 , ed era iscritto alla Camera di Commercio in qualità di imprenditore artigiano nel settore edile . Rilevava altresì che il 31-7-2003 l'imputato aveva provveduto alla cancellazione della partita IVA seguendo la procedura del condono, e la cancellazione era stata eseguita a cura della Agenzia delle Entrate, in tale procedura a far data dal 4-4-1991. Al riguardo il difensore contrastava l'assunto accusatorio espresso dalla Corte di Appello, rilevando che - diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, il F. non aveva utilizzato una partita IVA inesistente, essendo avvenuta la cancellazione retrodatata secondo quanto descritto. Pertanto rilevava che l'imputato aveva agito in buona fede. - Con l'ultimo motivo il ricorrente censurava la sentenza impugnata per carenza della motivazione, e manifesta illogicità della stessa, in riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio, e concludeva chiedendo l'annullamento del provvedimento di cui si tratta. Osserva in diritto La Corte rileva che il ricorso deve ritenersi privo di fondamento. 1 - Per quanto riguarda le deduzioni afferenti la pretesa configurabilità di vizi della motivazione, ritenuta carente, contraddittoria ed illogica, in ordine alla pretesa insussistenza, a carico dell'imputato ricorrente dei presupposti che integrano la fattispecie di cui agli articolo 216 – 223 - 219 L.F. - deve evidenziarsi l'infondatezza delle censure difensive. Invero dal testo del provvedimento impugnato si desume che la Corte territoriale ha offerto adeguata motivazione soffermando l'attenzione sulle risultanze oggetto di verifica da parte del curatore fallimentare, specificando analiticamente le irregolarità riscontrate nella gestione della società fallita amministrata dall'imputato, in epoca prossima alla dichiarazione di fallimento, onde resta esclusa comunque la possibilità di ipotizzare la pretesa buona fede del ricorrente, consapevole della esistenza delle passività che determinarono il dissesto. In ordine alla configurabilità del comportamento idoneo ad integrare le ipotesi di reato di cui si discute vale evidenziare la specificità e coerenza della motivazione resa dai giudici di appello, che non può ritenersi inficiata dalle censure articolate dalla difesa del ricorrente, che hanno trovato adeguata e logica risposta in sede di merito, in riferimento a ciascuna delle questioni prospettate in difesa dell'imputato. Va rilevato in tal senso, che ai fini della condotta di bancarotta realizzata con occultamento dei beni, essa risulta correttamente applicata a carico dell'imputato, rilevandosi che secondo quanto stabilito da questa Corte, con sentenza Sez. V, del 12.11.1974 - l’occultamento consiste in ogni manovra dell'imprenditore diretta a far credere non esistenti, in tutto o in parte, i suoi beni, che invece esistono. Pertanto ove l'imputato sia stato trovato in possesso dei beni di pertinenza della ditta fallita, come nel caso di arredi che si trovavano presso l'abitazione del predetto, pur essendo intervenuto il pignoramento, deve ritenersi integrata l'ipotesi di reato di cui si tratta, in presenza di consapevole occultamento dei beni in pregiudizio dei creditori. Deve ritenersi correttamente applicata altresì la fattispecie della bancarotta preferenziale, alla stregua del rapporto esistente tra la ditta fallita e quella del beneficiario dei pagamenti, menzionato nei motivi di ricorso. Al riguardo è sufficiente ad integrare la fattispecie delittuosa la condotta tenuta dall'imputato per saldare debiti di lavori esistenti, essendo egli consapevole della situazione di difficoltà in cui versava la società fallita, come si evince dal particolare indicato nella sentenza evidenziando che il predetto ricorrente aveva la possibilità di chiedere la dichiarazione di fallimento e ciò non ostante, non aveva dato corso a tale iniziativa. Al cospetto delle risultanze vagliate correttamente dai giudici di merito, che dimostrano, in ossequio al dettato giurisprudenziale di questa Corte puntualmente richiamato a fl.4 del provvedimento impugnato , la sussistenza delle condotte tipiche della bancarotta fraudolenta, sia per occultamento che nelle forme distruttive e preferenziali, restano ininfluenti le ripetitive argomentazioni della difesa, al limite della inammissibilità, ove tendono a riproporre la diversa interpretazione dei dati processuali, pur senza smentire - al di là delle ripetitive questioni della assenza di dolo e della esecuzione di pagamenti per lavori realmente eseguiti, ovvero in riferimento alla esistenza di regolare attività di impresa per il beneficiario dei pagamenti resi in base alle fatture contestate, elementi già valutati correttamente in sentenza - le articolate argomentazioni della sentenza sui punti incontrovertibili delle risultanze acquisite, che valgono, nel loro insieme, a dimostrare coerentemente l'assunto accusatorio. Né può ritenersi violato l'articolo 219 LF. Per la ritenuta configurabilità della aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, stante le diverse condotte addebitate all'imputato, che ben possono coesistere nell'ambito di una contestazione formalmente unitaria. Il reato non risulta estinto per prescrizione, stante il rinvio della trattazione a seguito di astensione degli avvocati, per cui risulta la sospensione del termine di prescrizione dal 15.11.2011 al 17.4.2012. Alla stregua di tali rilievi la Corte deve pronunziare il rigetto del ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.