L’elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità. Sicchè esso è configurabile nella condotta di chi si rifiuti di restituire la cosa dopo la scadenza del termine che ne legittimava il possesso, e quando vi sia stata la simulazione di un intento restitutorio mediante emissione di un assegno poi risultato privo di copertura.
E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 47121, depositata il 14 novembre 2014. Il caso. La Corte d’appello, confermando la sentenza di primo grado, dichiarava responsabile l’imputato del reato di appropriazione indebita aggravata. L’uomo era stato condannato in quanto si era appropriato di una somma di proprietà di una società, costituente i premi versati dai clienti e che l’uomo riscuoteva in forza del mandato di venditore. Ricorreva allora per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo inosservanza e erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 646 c.p. appropriazione indebita . Secondo il ricorrente era insussistente l’elemento soggettivo del reato contestato, elemento che la Corte territoriale avrebbe descritto esclusivamente attraverso il richiamo alla materialità dell’azione senza approfondire. L’elemento soggettivo La Cassazione nell’affrontare la questione in esame ricorda che l’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 646 c.p. afferma che esso è pienamente configurabile nelle condotte dell’imputato, ampiamente descritte dalla Corte di merito. Difatti, come affermato in sede di legittimità, «l’elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità» Cass., numero 27023/2012 . sussisteva. Esso quindi è configurabile nel caso di specie, dal momento che l’uomo si era rifiutato di restituire la cosa dopo la scadenza del termine che ne legittimava il possesso a maggior ragione perché l’uomo aveva simulato un intento restitutorio mediante emissione di un assegno poi risultato privo di copertura. Nella fattispecie quindi era manifesto sia l’elemento oggettivo , per il venir meno della legittimità del possesso, sia l’elemento soggettivo, evidenziando la volontà del possessore di invertire il titolo del possesso per trarre dalla cosa stessa un ingiusto profitto. Sulla base di tali argomenti, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 – 14 novembre 2014, numero 47121 Presidente Gentile – Relatore Alma Ritenuto in fatto Con sentenza del 12/11/2013 la Corte di Appello di Genova ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di La Spezia in data 29/4/2010 con la quale B.G. è stato dichiarato responsabile del reato di appropriazione indebita aggravata e, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, condannato alla pena condizionalmente sospesa di mesi 1 di reclusione ed € 200,00 di multa oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede ma con assegnazione alla stessa di una provvisionale di € 6.446,00. All'imputato si imputa di essersi appropriato della complessiva somma sopra indicata di proprietà della Sartori A. & amp P. Luca S.numero c. costituente i premi versati nelle date del 29, 30 e 31 ottobre 2007 dai clienti della Fondiaria Sai di cui la predetta società è agente che il B. riscuoteva in forza del mandato di venditore di III gruppo conferitogli nel giugno 2007. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell'imputato, deducendo l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 646 cod. penumero in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero Evidenzia in primo luogo il ricorrente l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato in contestazione, elemento che la Corte territoriale avrebbe descritto esclusivamente attraverso il richiamo alla materialità dell'azione senza addivenire ad un necessario approfondimento della problematica legata alla corretta interpretazione della norma di cui all'articolo 646 cod. penumero La mera ritenzione del bene nella specie il denaro non basta, rileva parte ricorrente, ad integrare l'appropriazione se non quando si ricollega ad un atto di disposizione uti dominus e, soggettivamente, all'intenzione di convertire il possesso in proprietà. Nel caso di specie la ritenzione del denaro era legata ad un comportamento della persona offesa l'adempimento di un'obbligazione contratta dalla parte civile del presente processo nei confronti dell'imputato . Da ultimo la sentenza impugnata non ha considerato che la ritenzione della somma, oltre a non essere legata all'intento doloso di appropriarsene definitivamente era motivata dalla sussistenza di un credito consistente nelle provvigioni per il lavoro svolto dall'odierno imputato. Si tratterebbe quindi di una semplice ritenzione di somme a garanzia dei crediti economici vantati dall'imputato per motivi di lavoro il che non consentirebbe di configurare il reato di appropriazione indebita così come ipotizzato. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. Le questioni oggetto del ricorso che in questa sede ci occupa risultano essere già state sottoposte in sede di gravame alla Corte di Appello che vi ha dato una risposta congrua, logica e corretta in punto di diritto. La Corte territoriale ha, infatti, osservato come la deduzione dei credito fatto valere in compensazione è circostanza emersa solo in sede di giudizio che si pone in netto contrasto con la condotta iniziale dell'imputato il quale è giunto finanche a versare quanto trattenuto con assegno, non onorato all'incasso, in riconoscimento della illegittimità delle somme di denaro trattenute e che, comunque non ha assolto, come gli si imponeva, all'onere di dimostrare, sia la esistenza del credito, sia la sua certezza, liquidità ed esigibilità, a nulla rilevando la mancanza di documentazione contabile su quanto dichiarato dal P., specie nella considerazione della sua natura di dichiarazione resa da soggetto rivestente il ruolo di testimone . Ciò corrisponde ad un consolidato principio di questa corte Suprema, che anche l'odierno Collegio ritiene di condividere, secondo il quale nel reato di appropriazione indebita non opera il principio della compensazione con credito preesistente, allorché si tratti di crediti non certi, né liquidi ed esigibili Cass. Sez. 2, sent. numero 293 del 04/12/2013, dep. 08/01/2014, Rv. 257317 Sez. 2, sent. numero 9225 del 06/07/1988, dep. 05/07/1989, Rv. 181740 Sez. 2, sent. numero 1746 dei 22/11/1985, dep. 26/02/1986, Rv. 171990 e numerose altre in precedenza e ciò in quanto un diritto di credito, eccepito in compensazione per la esclusione del dolo in tema di appropriazione indebita, in tanto può essere ritenuto efficace al fine anzidetto in quanto ne sia stata dimostrata non solo la esistenza in concreto, ma anche la esigibilità attuale Cass. Sez. 2, sent. numero 2466 del 12/12/1969, dep. 10/09/1970, Rv. 115257 , dimostrazione che, come evidenziato nella sentenza impugnata, non risulta fornita nel caso in esame. Quanto poi al più generale problema dell'elemento soggettivo del reato di cui all'articolo 646 cod. penumero - esclusa per le ragioni di cui si è detto la valenza di una azione legata ad intenti di compensazione economica - va detto che lo stesso è in re ipsa configurabile nelle condotte dell'imputato che la Corte territoriale ha nel dettaglio descritte nella sentenza che in questa sede ci occupa e che ha ritenuto configuranti il reato in esame anche attraverso il legittimo richiamo per relationem alla sentenza del Giudice di prime cure. Del resto l'elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità ex ceteris Cass. Sez. 2, sent. numero 27023 del 27/03/2012, dep. 10/07/2012, Rv. 253411 e lo stesso appare certamente configurabile nel momento in cui Il rifiuto ingiustificato della restituzione della cosa dopo la scadenza del termine che ne legittima il possesso e tanto più l'azione di simulare un intento restitutorio mediante emissione di una assegno poi risultato privo di copertura rende manifesta l'esistenza sia dell'elemento oggettivo, per il venir meno della legittimità dei possesso che l'imputato ha implicitamente quanto sostanzialmente riconosciuto anche alla luce del comportamento da ultimo descritto , sia di quello soggettivo, evidenziando la volontà del possessore di invertire il titolo del possesso per trarre dalla cosa stessa un ingiusto profitto. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di € 1.000,00 mille a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.