La Cassazione anticipa il legislatore … ecco i “paletti” al concorso del terzo nel delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Al fine di ritenere sussistente il contributo causale del terzo e quindi il concorso nel delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento del debito tributario occorre che il giudice, anche in sede di riesame avverso un provvedimento di sequestro e dunque di mera valutazione del fumus commissi delicti, assolva all’onere di una specifica motivazione sul punto e dimostri la sussistenza del dolo specifico, e dunque la consapevolezza del terzo di aiutare, con il proprio agire, i correi a sottrarsi al pagamento del debito verso il Fisco.

Questo il principio di diritto posto a fondamento della pronuncia numero 41216/15, depositata il 14 ottobre, della Terza Sezione Penale. Cenni sul delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. La fattispecie delittuosa di cui all’articolo 11 d.lgs. numero 74/2000, seppur presente nell’articolato originario della riforma del diritto penale tributario del 2000, è rimasta, per diversi anni, norma sostanzialmente sconosciuta o disapplicata. È sufficiente scorrere un massimario di giurisprudenza per verificare come, da diversi anni a questa parte, si sia verificata una totale inversione di tendenza con una sempre più frequente contestazione della fattispecie in esame. Giova osservare che l’esponenziale sviluppo della ricorrenza della contestazione di tale delitto è dovuta non solo alla proliferazione dei reati tributari, conseguente anche alla situazione di crisi economica e al sistematico ricorso, in ipotesi di reati fiscali, al sequestro per equivalente – misura che costituisce il presupposto della grandissima parte delle recenti pronunce della Cassazione sul punto –, ma anche alla interpretazione evolutiva di cui è stato protagonista proprio il dettato dell’articolo 11 d.lgs. numero 74/2000. Un’interpretazione estensiva. Come noto la fattispecie di cui all’articolo 11, d.lgs. numero 74/2000 è integrata dalla condotta di chi «aliena simulatamente» ovvero «compie altri atti fraudolenti» sui propri o su altri beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. È dunque proprio la condotta tipica, in uno con il dolo specifico di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, a caratterizzare il disvalore del fatto, sanzionato penalmente. Negli ultimi anni, tuttavia, si è assistito, da parte della giurisprudenza di legittimità, ad un sempre maggiore svilimento del concetto di «atti fraudolenti», sì da ritenere quasi in re ipsa la fraudolenza in qualunque condotta che, in concreto, potesse rendere meno agevole la riscossione del debito tributario. Compiuto questo passo, la obbiettiva natura di reato di pericolo della fattispecie in esame rende effettivamente possibile un amplissimo ricorso a detta norma incriminatrice. Così, in tempi recentissimi, sempre la III Sezione Cass. penumero , sez. III, sentenza numero 36907/15, depositata il 14 settembre, in Diritto e Giustizia, 15 settembre 2015 non aveva esitato a ritenere sussistente il delitto de quo nella condotta di un uomo che, oggetto di verifiche fiscali, aveva donato alla figlia una parte del proprio patrimonio immobiliare, senza spogliarsi, dunque, integralmente dei propri beni, né compiere alcun atto, all’evidenza, simulato. L’intervento della novella legislativa. Con l’articolo 1 d.lgs. numero 24 settembre 2015, numero 158, pubblicato sulla G.U. numero 233 del 07 ottobre 2015, è stata introdotta una lettera g-ter all’articolo 1, d.lgs. numero 74/2000, secondo la quale «per “mezzi fraudolenti” si intendono condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà». Da più parti, l’efficacia innovativa di detta definizione terminologica è stata ravvisata proprio in relazione al dettato dell’articolo 11, nell’auspicio che la nuova normativa possa favorire il superamento di quella recente giurisprudenza che, di fatto, ha condotto ad una interpretatio abrogans della tipizzazione della condotta rinvenibile nell’espressione «atti fraudolenti» all’interno dell’articolo 11 d.lgs. numero 74/2000. È tuttavia opportuno evidenziare che il caso in esame non è certo frutto della applicazione della novella legislativa da parte degli Ermellini, atteso che, come evidente, la stessa non è ancora entrata in vigore, trovandoci, ancora oggi, nel seppur breve itinere della vacatio legis . Il “front running” degli Ermellini. Chiunque opera con assiduità sui mercati finanziari ben sa che con il termine di front running ci si riferisce ad una pratica, invero illegale, con cui un intermediario finanziario sfrutta la conoscenza di un ordine, che egli sta per attuare sul mercato per conto di un cliente, capace di influenzare l’andamento dello strumento finanziario interessato, per vendere o acquistare – immediatamente prima – egli stesso il titolo in questione e beneficiare così della variazione del prezzo che si verificherà quando, nel momento immediatamente successivo, darà corso all’ordine del proprio cliente. In modo non dissimile, seppur nel pieno rispetto della legalità e senza sfruttare alcuna asimmetria informativa, ha operato la Cassazione nel caso in esame, in quanto, consapevole della prossima entrata in vigore della novella legislativa d.lgs. numero 158/2015 , pare averne, in qualche modo, anticipato gli effetti sulla interpretazione dell’articolo 11 d.lgs. numero 74/2000, aprendo la via ad un possibile ed auspicabile revirement giurisprudenziale. Il volto garantista della Terza Sezione Penale. Pur muovendosi nel limitato spazio concessole in tema di ricorso per cassazione avverso un provvedimento del Tribunale del Riesame di conferma di una misura cautelare reale, ricorda la Cassazione che nella valutazione del fumus commissi delicti , quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice deve tener conto, in modo puntuale e coerente delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, non potendosi limitare alla verifica della sola astratta configurabilità del reato, ma dovendo, sia pure sommariamente, vagliare ed indicare le ragioni che sostengono l’impostazione accusatoria e rendono plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato. Sulla base di tali premesse, poiché nel caso in esame all’indagato era contestato il concorso quale terzo nel delitto di cui all’articolo 11, d.lgs. numero 74/2000, osserva la Corte che i giudici di merito avrebbero dovuto dare precisa contezza, da un lato, della sussistenza del contributo causale fornito dall’indagato nella realizzazione della fattispecie e, dall’altro, del dolo specifico e, dunque, della consapevolezza da parte di costui di agevolare con la propria condotta l’altrui finalità di sottrarsi al pagamento del debito di imposta. Poiché, invece, tale onere motivazionale non era stato assolto l’impugnata ordinanza viene annullata con rinvio. Rigore sanzionatorio e rigore di accertamento. La svolta garantista – se mai tale sarà – della Terza Sezione penale pare assolutamente significativa alla luce della prossima entrata in vigore del d.lgs. numero 158/2015, che, come noto, ha, altresì, introdotto una nuova circostanza aggravante, che comporta un aumento della pena sino alla metà, qualora il reato sia commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale, svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale. Ben venga, dunque, il rigore sanzionatorio nel caso di concorso del professionista nel delitto fiscale, come introdotto dalla novella, altrettanto indispensabile, tuttavia, che un non minor rigore di accertamento della penale responsabilità sia adottato dalla giurisprudenza nell’individuare i presupposti per cui possa ritenersi sussistente il concorso del terzo in siffatti delitti.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 settembre – 14 ottobre 2015, numero 41216 Presidente Franco – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza in data 19/02/2015 rigettava la richiesta di riesame, proposta nell'interesse di A. A.F., avverso il decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, emesso dal G.i.p. dl Tribunale di Reggio Calabria ed avente ad oggetto beni dei predetto A., indagato per i reati di cui agli artt.416 cod.penumero , 81 cpv., 110 cod.penumero , 11 D.L.vo 74/2000 per aver costituito un'associazione per delinquere, finalizzata alla consumazione di plurimi reati in particolare di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, al fine di garantire la conservazione dei patrimonio personale e della società di fatto operante sotto varie e diverse denominazioni, in realtà tutte rispondenti ad un unico centro di interessi , dei coniugi F.C.C. e S.M.A., frodando i creditori, distraendo i beni strumentali, quelli immobiliari e l'avviamento delle imprese in decozione da loro gestite, a vantaggio di altre di nuova costituzione di cui i predetti coniugi mantenevano il controllo . Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in ordine ai poteri dei riesame, nonché la sentenza del G.u.p. dei Tribunale di Reggio Calabria, confermata in appello e richiamata nella informativa della G.d.F. del 14/07/2014 , riteneva il Tribunale sussistente il fumus dei delitti ipotizzati dal P.M. Evidenziava il Tribunale che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art.11 D.L.vo 74/2000, sia necessario, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico finalità di sottrarsi al pagamento del debito tributario e, sotto il profilo materiale, una condotta fraudolenta idonea a vanificare l'esito della eventuale esecuzione tributaria coattiva. Non è necessario però che la procedura di riscossione coattiva abbia avuto inizio e neppure che l'accertamento tributario sia già intervenuto la norma infatti mira a salvaguardare l'intangibilità della garanzia patrimoniale . Trattasi quindi dì un reato di pericolo, eventualmente permanente quando ci si trovi in presenza di plurime condotte simulatorie e fraudolente , la cui consumazione si protrae per tutto il tempo in cui vengano posti in essere gli atti idonei a pregiudicare l'adempimento dell'obbligazione tributaria. Tanto premesso, riteneva il Tribunale che al meccanismo fraudolento posto in essere dai coniugi F.-S.M. avesse contribuito il ricorrente, prestandosi alla fittizia attribuzione della titolarità delle quote sociali della società Filtrans Trasporti s,a.s., senza alcun Interesse economico da parte dei medesimo neppure peraltro prospettato e quindi al solo scopo di sottrarre al fisco la garanzia patrimoniale generica. Il dolo specifico richiesto dalla norma di cui all'art.11 D.L.vo 74/2000 era facilmente desumibile dal fatto che il predetto aveva schermato la responsabilità solidale ed illimitata del F., assumendo in alternanza con A.G. la qualifica di socio accomandatario, per poi disporre la cancellazione per scioglimento dal registro delle imprese della società ìn questione. Secondo il Tribunale sussisteva, quindi, il fumus dei reati ipotizzati. Destituita di fondamento doveva ritenersi la tesi difensiva, prospettata con la memoria depositata in data 26/01/2015. Legittimo era poi il disposto sequestro per equivalente rapportato al profitto dei reato corrispondente al risparmio di spesa, derivante dal mancato pagamento dei tributo, interessi sanzioni e pari ad euro 1.258.980,30 sommatoria delle voci di debito riferibili a ciascuna persona fisica e giuridica indicate nell'imputazione . E, come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza numero 18374/2013, Rv.255034, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente del profitto o dei prezzo del reato, può incidere contemporaneamente ed indifferentemente sui beni di ciascuno dei concorrenti nel reato con il solo limite di non poter eccedere l'ammontare dei prezzo o del profitto conseguiti. E, nel caso di specie, le somme complessivamente sequestrate non eccedevano la somma confiscabile. 2. Ricorre per cassazione A. A.F., a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge in relazione agli artt.321 cod.proc. pen, 240, 416 cod.penumero , 11 D.L.vo 74/2000, nonché in relazione agli artt.2245, 2269, 2275, 2290, 2324 cod.civ. Secondo la prospettazione accusatoria il ricorrente avrebbe partecipato ad una condotta di intestazione fittizia, attraverso l'intestazione formale di una società nella effettiva disponibilità dei coniugi F.-S., al fine di sottrarre i beni ad una possibile esecuzione da parte dell'Amministrazione finanziaria per debiti tributari. Dopo un lunghissimo e peraltro superfluo excursus ricostruttivo, l'ordinanza impugnata soltanto nella parte finale individua il fumus dei reati ipotizzati a nelle dichiarazioni dei titolari, secondo cui la società Fìltrans Trasporti s.a.s. sarebbe stata alienata per sottrarla alla garanzia dei creditori tra cui Equitalia b nella circostanza che la società in questione, una volta passata nella titolarità formale del ricorrente, sarebbe stata cancellata per scioglimento dal Registro delle imprese, senza avviare le procedure dì liquidazione. Le dichiarazioni rese da S.M.A. in data 12/03/2011 avrebbero al più potuto dimostrare che la cessione della società fosse finalizzata a sottrarla all'aggressione degli enti creditori, ma non certo che detta cessione fosse fittizia. In ogni caso. risultava indimostrata l'idoneità della condotta di cessione ad eludere il pagamento dei creditori attraverso atti simulati o fraudolenti idonei. Unitamente al socio accomandante, nella seduta assembleare del 21/11/2011, veniva deliberato lo scioglimento della società per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale e in data 17/05/2012 i soci provvedevano alla registrazione dello scioglimento. L'assunto accusatorio non tiene conto che, per le società di persone, il procedimento di liquidazione possa essere definito direttamente dai soci la ratio giustificatrice è rappresentata dalla responsabilità solidale ed illimitata dei soci . I creditori infatti possono ottenere il pagamento dei propri crediti anche dopo la cancellazione della società la garanzia è rappresentata invero dal patrimonio personale dei singolo socio, su cui gravano quindi le obbligazioni societarie. Le sezioni unite con la sentenza 6070/2013 hanno affermato il principio che i soci succedono in tutti i rapporti ancora pendenti della società estinta. Il socio di società di persone è, quindi, responsabile per tutte le obbligazioni sociali e perciò anche tributarie, esistenti al momento dello scioglimento della società. Difetta pertanto il fumus commissi delicti sia sotto Il profilo soggettivo che oggettivo. Sotto il primo profilo il Tribunale non ha individuato alcun elemento da cui desumere che il ricorrente si sia deliberatamente sottratto o abbia consentito ad altri di sottrarsi al pagamento dei debito tributario dolo specifico , avendo piuttosto il ricorrente posto in essere tutte le procedure previste dalla normativa societaria. Sotto il secondo profilo, non sono state índivìduate condotte fraudolente idonee a vanificare l'esito della esecuzione tributaria, sussistendo, comunque, la responsabilità solidale del socio accomandatario cedente. Il Tribunale ha inoltre errato nell'applicazione dell'art.11 D.L.vo 74/2000. Tale delitto è un reato di pericolo concreto che si consuma attraverso atti simulati o fraudolenti, idonei ad impedire, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva. La condotta posta in essere dal ricorrente palesemente non può rientrare nel paradigma normativo, essendo egli titolare dì beni sottoposti infatti a sequestro che possono soddisfare la pretesa tributaria. 2.1.Con memoria, depositata in cancelleria in data 09/09/2015, si deduce che la condotta, anche a voler seguire la prospettazione accusatoria, sarebbe stata posta in essere dal 10 agosto 2007 fino al 17 maggio 2012 quando la società venne posta in liquidazione . Solo con la L.6/11/2012 risalente quindi ad epoca successiva è stata estesa la confisca por equivalente anche al profitto del reato la norma di cui all'art.322 ter cod.penumero nella configurazione originaria faceva riferimento solo al prezzo del reato . Ed è pacifico che, nel caso di specie, il provvedimento ablativo riguardi esclusivamente il profitto. Sicchè, essendo stato applicata retroattivamente una norma afflìttiva, la misura cautelare è illegittima. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini e nei limiti di seguito indicati. 2.Va premesso che, a norma dell'art.325 cod.proc.penumero , il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge Secondo le sezioni unite di questa Corte sentenza numero 5876 del 28/1/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv.226710 , nella nozione di violazione di legge rientrano, però, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio I'art.125 cod.proc.penumero , che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso dall'art.606 lett.e c.p.p Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza numero 25932 del 29/5/2008-Ivanov, Rv. 25932, secondo cui nella violazione dì legge debbono intendersi compresi sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno dei provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. 3. Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, secondo la giurisprudenza di questa Corte cfr.in particolare Sez.unite 29.1.1997, ric. P.M. in proc.Bassi , nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una plena cognitio del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice dei procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all'esigenza di far fronte ai pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul meritum causae , così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell'ambito di un medesimo procedimento. L'accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono in una prospettiva di ragionevole probabilità di sussumere l'ipotesi formulata 4n quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro ex multis Cass.penumero sez.,3 numero 40189 del 2006 ric.Di Luggo . Il controllo non può, pertanto, limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto dei fatto indicato dall'accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell'antigiuridicità penale del fatto come contestato, tenendo conto, nell'accertamento dei fumus commissi delicti , degli elementi dedotti dall'accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive. Secondo anche la già citata sentenza sez. unumero numero 23/1997 , non sempre correttamente richiamata, al giudice dei riesame spetta quindi il dovere di accertare la sussistenza dei cd.fumus commissi delicti che, pur se ricondotto nel campo dell'astrattezza, va sempre riferito ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtuale principi affermati più volte da questa sezione 3, 29.11.1996, Carli 1.7.1996, Chiatellino 30.11.199, Russo 2.4.2000, P.M.c.Cavagnoli numero 5145/2006 . In conclusione la verifica da parte dei giudice del riesame dei fumus commissi delicti , ancorché limitata all'astratta configurabilità del reato ipotizzato dal P.M., importa che lo stesso giudice, lungi dall'essere tenuto ad accettare comunque la prospettazione dell'accusa, abbia il potere-dovere di escluderla, quando essa appaia giuridicamente infondata cfr.Cass.penumero sez.1 numero 15914 del 16.2.2007-Borgonovo . L'unica differenza che corre tra giudice cautelare e giudice di merito è che il primo non ha poteri di istruzione e di valutazione probatoria, che sono incompatibili con la natura cautelare dei giudizio, ma tuttavia conserva in pieno il potere di valutare in punto di diritto se sulla base delle prospettazioni hic et inde dedotte ricorra il reato contestato cfr. Cass.penumero sez.3 numero 33873 dei 7.4.2006-Moroni conf. Sez.1 numero 21736 del 11.5.2007 sez.5 numero 24589 dei 18.4.2011 . Anche più di recente è stato ribadito che, nella valutazione dei fumus commissi delicti, quale presupposto dei sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l'impostazione accusatoria e plausible un giudizio prognostico negativo per l'indagato Cass. sez.5 numero 49596 del 16.9.2014 conf. sez. 5 numero 28515 dei 21.5.2014 sez. 4 numero 15448 del 14.3.2012 sez. 5 numero 49596 del 16.9.2014 sez. 3 numero 26197 dei 5.5.2010 . 3.1. II Tribunale non ha fatto corretta applicazione di tali principi. Ha, invero, motivato diffusamente sulla struttura del reato di cui all'art.11 D.L.vo 74/2000, ed in ordine ai meccanismo fraudolento, posto in essere dai coniugi F.-S.M. per sottrarre i propri beni alla garanzia patrimoniale nei confronti dei creditori ed in particolare dell'Erario in ordine al pagamento delle imposte . Ha liquidato, invece, in poche righe la posizione dei singolo indagato, e, con motivazione sostanzialmente apodittica, ha ritenuto sussistente il contributo causale fornito dal ricorrente nella realizzazione della fattispecie e, soprattutto, il dolo specifico richiesto dalla norma finalità di sottrarsi al pagamento del debito tributario . Non ha spiegato, invero, da quali elementi abbia tratto il convincimento che l'indagato abbia, consapevolmente, consentito ai coniugi F.-S.M. di sottrarsi al pagamento del debito verso il fisco. Nè ha tenuto conto dei rilievi difensivi in ordine alla legittimità della procedura di deliberazione di scioglimento della società Filtrans Traporti s.a.s. Si è limitato, in proposito, a richiamare la memoria depositata in data 26/01/2015 presso la cancelleria del G.i.p. peraltro all'udienza camerale del 18/02/ 2015 era stata depositata altra memoria , senza argomentare specificamente in ordine all'assunto difensivo. 3.2. L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria, rimanendo assorbito ogni altro rilievo. Va, però, rilevata la infondatezza della eccezione sollevata con la memoria depositata in cancelleria in data 09/09/2015. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, invero, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, poteva essere disposto anche prima dell'entrata in vigore della L.numero 190 del 6/11/2012 non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto dei reato, dal momento che l'integrale rinvio alle disposizioni di cui all'art.322 ter del codice penale , contenuto nell'art.l, comma 143, L.numero 244 dei 2007, rendeva applicabile, in relazione ai reati tributari, non solo il primo ma anche il secondo comma del predetto articolo cfr. ex multis Cass. sez. 3 numero 35807 del 07/07/2010, Bellonzi ed altri Sez. 3 numero 25890 dei 26/05/2010, Molon . Né a diverse conclusioni può pervenirsi alla luce delle modifiche, introdotte all'art.322 ter cod.penumero con l'art.1 comma 75 letto della L.6/11/2012 numero 190 secondo cui, per i delitti previsti dagli artt. da 314 a 320 cod.penumero , la confisca è consentita per un valore corrispondente non più solo al prezzo del reato, ma anche al profitto . Tale modifica è, infatti, con ogni evidenza, stata introdotta proprio per consentire l'operatività del sequestro per equivalente dei profitto in relazione a quelle ipotesi per le quali l'esclusivo riferimento al prezzo non consentiva di estendere al di là di esso l'oggetto della misura reale cfr. Cass. penumero sez. 3 numero 23108 dei 23/04/2013, Nacci . Alle medesime conclusioni, dei resto, si è pervenuti anche in relazione all'art.640 quater cod.penumero , in quanto il richiamo, contenuto nella norma, all'art.322 ter cod.penumero , nella sua interezza, consentiva di applicare la misura ablatoria non soltanto con riferimento al prezzo, ma anche al profitto dei reato conseguentemente le modifiche introdotte dalla legge numero 190 del 2012 non hanno alcun carattere innovativo cfr. Cass. sez. 2 numero 30050 dei 11/06/2014, Lanzilli Cass. sez. 2 numero 31229 dei 26/06/2014 . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Reggio Calabria.