Coniugi che abitano in parti autonome e diverse del medesimo immobile: non c’è abbandono del tetto coniugale

Non è addebitabile l’abbandono del tetto coniugale al consorte che risieda in parte autonoma e diversa del medesimo immobile, se questo è interamente imputato a dimora familiare.

Così la Cassazione, sezione VI Civile – 1, numero 20469/2015, depositata il 12 ottobre. Il caso. Il procedimento aveva ad oggetto un caso di separazione giudiziale. Il marito proponeva ricorso avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello competente, rilevando la violazione di quanto disposto dagli articolo 143, comma 2, 156, 2043 e 2059 c.c. . In particolare contestava il mancato riconoscimento, in sede di giudizio, dell’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie, oltre alla cifra stabilita per il mantenimento della stessa lamentava, inoltre, che la scelta della consorte di addivenire ad una separazione giudiziale, avesse comportato conseguenze dannose a suo carico. Se il consorte dimora in una parte autonoma dell’immobile imputato a residenza familiare, non c’è abbandono del tetto coniugale Gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento giurisprudenziale per cui, nell’ambito dei doveri matrimoniali, integra un abbandono del tetto coniugale il comportamento del coniuge che esprima la volontà di terminare la convivenza e di abbandonare la residenza familiare per non farvi più ritorno. La Corte di legittimità ha escluso che, nel caso di specie, tale ipotesi non si sia configurata, dal momento che la resistente aveva soggiornato per un periodo all’estero ed aveva poi fatto ritorno presso la residenza familiare, seppur soggiornando in una parte diversa dell’immobile rispetto all’altro coniuge. L’immobile di cui al ricorso è, secondo la Suprema Corte, «catastalmente un unicum, anche se si assume che esso risulterebbe costituito da due immobili autonomi, indipendenti e separati, in tal modo confermando però la volontà, tacita, dei coniugi di mantenere una doppia allocazione dello stesso, abilitando ciascuno di essi e quindi anche l’odierna intimata a vivere in altro settore sia pure separato dell’unico immobile, anche grazie alla relativa autonomia domestica, senza così porre in essere il comportamento censurato». La Cassazione ha precisato, inoltre, che il mantenimento indirizzato al coniuge meno abbiente deve essere finalizzato a garantire allo stesso il medesimo tenore di vita goduto in regime di matrimonio ai fini di tale valutazione, rileva, senza dubbio, la disparità tra le posizioni economiche delle parti. Nello specifico, la Corte d’Appello aveva ampiamente chiarito la sussistenza di una disparità di posizioni economiche in favore del marito, costatando una sostanziale equivalenza dei redditi immobiliari. La Cassazione ha, infine, precisato come l’esercizio di un diritto di rango costituzionale non possa costituire un danno ingiusto pertanto, la decisione della moglie di non addivenire a separazione consensuale, prediligendo una separazione giudiziale, è un corollario dell’esercizio di azione di cui all’articolo 24 Cost. , diritto costituzionalmente garantito a tutti ed insuscettibile di cagionare un danno ai sensi dell’articolo 2043 c.c. . La Suprema Corte ha rilevato come il ricorrente abbia riproposto fatti e situazioni già affrontati con adeguata e non illogica motivazione resa in sede di giudizio di merito. Per tutto quanto sopra esposto, gli Ermellini hanno rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1 - , ordinanza 14 luglio – 12 ottobre 2015, numero 20469 Presidente Ragonesi – Relatore Genovese In fatto e in diritto Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 28 maggio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ. «Con sentenza in data 29 gennaio 2014, la Corte d'Appello di Roma, respinta la principale, ha parzialmente accolto l'impugnazione incidentale proposta dalla signora C. contro la sentenza del Tribunale di Velletri, riconoscendo alla predetta un contributo di mantenimento pari ad € 700,00 mensili e compensando per la metà le spese di lite. Avverso la sentenza della Corte d'Appello ha proposto ricorso il sig. F., con atto notificato il 5 luglio 2014, sulla base di tre motivi, con cui denuncia a violazione e falsa applicazione di varie norme di legge sostanziale articolo 143,11 c 156, II c., c.c. e omesso esame di fatto decisivo b violazione e falsa applicazione di norma sostanziale articolo 156, I c., c.c. e omesso esame di fatto decisivo c violazione e falsa applicazione di varie norme di legge sostanziale articolo 2043 e 2059 c.c. . Il coniuge non ha svolto difese. Il ricorso appare complessivamente infondato. Così il primo mezzo, che lamenta la mancata considerazione dell'abbandono della casa coniugale da parte del coniuge, in quanto, la sentenza ha correttamente affermato la regula íuris secondo cui, in tema di doveri matrimoniali, integra l'«abbandono del tetto coniugale» il comportamento di uno dei coniugi che esprima la volontà di porre fine alla convivenza e di non fare ritorno nel luogo della residenza coniugale nella specie, il coniuge presunto inadempiente, dopo un breve periodo trascorso presso il fratello all'estero, aveva fatto ritorno nella casa coniugale, sia pure dimorando in una parte diversa dello stesso immobile . Così il secondo motivo, che si duole del riconoscimento di un contributo di mantenimento, negato dal primo giudice, atteso che, per giurisprudenza ampiamente consolidata, l'assegno riconosciuto al coniuge meno abbiente deve tendere al mantenimento del tenore di vita da questo goduto durante la convivenza matrimoniale e che indice di tale tenore di vita può essere l'attuale disparità di posizioni economiche tra i coniugi Cass. numero 2156 del 2010 . In sostanza il ricorrente propone profili e situazioni di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede, a fronte di una sentenza caratterizzata da motivazione adeguata e non illogica. Il giudice a quo, infatti, ha chiarito che sussiste una disparità di posizioni economiche, a favore del marito, il cui reddito annuo da lavoro di circa 65.000,00 si contrappone a un reddito nullo o saltuario da attività di parrucchiera, già interrotto per molti anni, per ragioni familiari , mentre i redditi immobiliari si compensano tra di loro. Dunque il giudice, a differenza di quanto afferma il ricorrente, ha tenuto conto della situazione immobiliare dei due coniugi che hanno diviso il patrimonio comune, frutto di cospicui acquisti compiuti in costanza di matrimonio come afferma lo stesso ricorrente nel suo ricorso ove elenca i beni attribuiti alla moglie . Così, infine, il terzo mezzo, con il quale il ricorrente si duole del mancato riconoscimento del danno cagionatogli dal procedimento di separazione giudiziale, avendo egli intenzione di pervenire - contro l'ostinato contrario comportamento del coniuge - ad una separazione consensuale che - come rivela ancora l'attuale contenzioso - era solo una speranza illusoria, vista la contrapposizione esistente sui termini del regolamento. In ogni caso, giammai l'avere il coniuge fatto valere il suo diritto a conseguire una corretta regolamentazione delle condizioni della propria separazione personale, avvalendosi del diritto di azione, che l'articolo 24 Cost. garantisce a tutti, può costituire causa di danno ingiusto, difettando proprio l'ingiustizia di esso in ragione dell'esercizio di un diritto di rango costituzionale. In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi degli articolo 380-bis e 375 numero 5 c.p.c.». Letta la memoria di parte ricorrente. Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra che le osservazioni critiche contenute nella memoria di parte ricorrente non colgono nel segno che, secondo tale memoria, con riferimento al primo motivo di ricorso, sulla premessa in fatto secondo cui l'immobile adibito ad abitazione familiare, seppure catastalmente un unicum, si assume, che esso risulterebbe «costituito da due immobili autonomi, indipendenti e separati» onde l'applicabilità del principio già affermato dalla Corte circa l'esclusione dell'estensione di casa coniugale a quelle presso località di villeggiatura o usate per soggiorni temporanei o stagionali Cass. numero 3934 del 1980 che, con riferimento al secondo si insiste nel suo accoglimento in ragione dello stesso provvedimento reso in sede divorzile ove il GI ha ridotto l'assegno ad € 300,00 mensili. Considerato che con la prima osservazione,lungi dal porsi in contrasto con il principio enunciato nella proposta di definizione della controversia, il ricorrente tende ad applicarne al caso un altro, del tutto ellittico e distante da quello sopra puntualizzato, tanto più che lo stesso ricorrente allega che l'immobile adibito ad abitazione familiare, è catastalmente un unicum, anche se si assume, che esso risulterebbe «costituito da due immobili autonomi, indipendenti e separati» in verticale , in tal modo confermando però la volontà, tacita, dei coniugi di mantenere una doppia allocazione dello stesso, abilitando ciascuno di essi e quindi anche l'odierna intimata a vivere in altro settore sia pure separato dell'unico immobile, anche grazie alla relativa autonomia di vita domestica, senza così porre in essere il comportamento censurato, per essersi verificata una separazione di fatto, prima ancora che di diritto, tra i due litiganti che la seconda osservazione non ha pregio in quanto il ricorrente allega un accertamento giudiziale successivo, compiuto in sede divorzile e come risulta dal provvedimento allegato frutto dell'accertamento compiuto in un momento successivo dal giudice del diverso procedimento, introducendo considerazioni del tutto inammissibili in questa sede che, in conclusione, il ricorso deve essere respinto che non vi è luogo a provvedere sulle spese, non avendo l'intimata svolto difese in questa fase che poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater all'articolo 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater,del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17, della legge numero 228 del 2012,dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. Dispone che in caso di diffusione dei presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo numero 196/2003.