In presenza di un’auto posta di traverso sulla sede stradale, già fonte di pericolo per gli utenti della strada, non costituisce fattore interferente eccezionale o addizione anomala e atipica – perciò capace di recidere il nesso eziologico con la prima condotta – il comportamento colposo di altro utente della strada che impatti contro l’autovettura procurando la morte del proprio passeggero.
E’ quanto emerge dalla sentenza numero 41777/2014 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 7 ottobre. Il caso. L’imputato, giudicato con rito abbreviato, era ritenuto responsabile dal giudice dell’udienza preliminare, per il reato di omicidio colposo per violazione delle regole sulla circolazione stradale. Secondo la ricostruzione della dinamica del sinistro, l’imputato, alla guida di una Renault Clio, mentre percorreva la strada statale, a causa dell’eccessiva velocità e delle condizioni psicofisiche alterate dall’uso di sostanze stupefacenti, perdeva il controllo dell’autovettura che andava prima ad urtare contro il guardrail posto sul lato destro rispetto al senso di marcia percorso per poi arrestarsi di traverso sulla corsia opposta. Fin qui, i reati ipotizzabili sarebbero stati solo quelli connessi alla circolazione stradale. Ad aggravare la situazione, però, accadeva che il conducente di una Ford Fiesta che precedeva l’autovettura dell’imputato e sopraggiungeva dall’opposta direzione di marcia di una terza auto – una Opel Corsa – andava in soccorso dell’imputato e lasciava la propria auto correttamente a bordo strada. Il conducente della terza auto, tuttavia, investiva in pieno sia la Renault Clio dell’imputato – posta di traverso sulla sede stradale – sia la Ford Fiesta. A causa del duplice impatto il passeggero della Opel rimaneva ferito e decedeva. Di qui l’accusa di omicidio colposo anche per il conducente della Renault Clio. L’imputato ha realizzato una condizione di pericolo. La tesi accusatoria è stata confermata in appello dove la difesa aveva sostenuto che il sopraggiungere della Ford Fiesta avesse realizzato una conditio sine qua non del sinistro stradale. Tesi, come detto, che è stata rigettata dalla Corte territoriale che ha valorizzato come sia stato il comportamento dell’imputato ad aver concretizzato una condizione di pericolo e, soltanto a causa di questo, il conducente della terza auto aveva perso il controllo, compiuto una roto-traslazione oraria e invaso la corsia opposta. Non applicabile l’articolo 2054, comma 2, c.c La Corte d’appello aveva anche escluso l’applicabilità della presunzione contenuta nell’articolo 2054, comma 2, c.c. evidenziando che la norma trova applicazione solo quando rimanga incerto il comportamento specifico che ha causato il danno o quando si ignora il fattore genetico del sinistro. Si tratta di un principio distributore di responsabilità che rimane escluso quando la responsabilità delle parti coinvolte è compiutamente accertata. Efficacia concausale. La condotta dell’imputato aveva – secondo i giudici di merito – svolto una efficacia concausale nella produzione dell’evento infausto, quantificabile nella misura del 30% per questi motivi, l’imputato era condannato alla pena di giustizia con esclusione del beneficio della concessione delle circostanze attenuanti generiche in ragione dei ben tre precedenti penali per stato d’ebbrezza che gravavano sull’imputato. In particolare, il primo giudice aveva concluso per il concorso di fattori causali diversi precisando che la condotta – gravemente colposa – del conducente della terza auto, a bordo del quale vi era la vittima, non avrebbe determinato l’evento senza la preesistente situazione di pericolo creata dall’imputato. La Corte territoriale, poi, aveva ribadito che, soltanto a causa della condotta dell’imputato, il terzo protagonista sulla scena aveva perso il controllo della guida, andando ad impattare sulle auto ferme. Causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento. In tema di sinistri stradali, la Cassazione ha fotografato la causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento, in quel fattore eccezionale ed imprevedibile che assume su di sé l’intera efficienza eziologica dei molteplici fattori, che si pongono su un piano naturalistico quali antecedenti dell’evento. Come noto, infatti, allo scopo di attenuare il rigore del principio di equivalenza delle cause produttive dell’evento – accolto dall’articolo 41, comma 1, c.p. – il legislatore stesso ha dato rilievo a cause sopravvenute, dal carattere peculiare, che conservano un’attitudine eziologica. Quando il nesso condizionalistico è interrotto? Secondo la Cassazione, tra la condotta del trasgressore e l’evento deve interferire un fattore – di per sé eccezionale ed – assorbente dell’intera sequenza causale. In altre parole, la condotta del trasgressore degrada da causa ad occasione dell’evento. Nel caso di specie, per le ragioni che seguono, la Corte ha giudicato che il fatto sopravvenuto non abbia interrotto il nesso causale rispetto alla condotta ascritta all’imputato. Qual è il significato della qualifica di “sufficiente” riferita alla causa sopravvenuta? Lo snodo da illuminare, come evidenzia la sentenza della Cassazione, è proprio quello di definire il concetto giuridico di “causa sufficiente”, alla luce non già delle leggi fisiche bensì sulla base delle ragioni dell’imputazione giuridica. Secondo la teoria della causalità umana il potere di signoria dell’essere umano può essere a questo attribuito solo quando è da lui dominabile con esclusione di quanto esula dalla possibilità di controllo, quale il fatto che ha una probabilità minima, insignificante, trascurabile di verificarsi in altri termini, devono essere esclusi dal dominio dell’essere umano quei fattori caratterizzati da eccezionalità. Le puntualizzazioni della giurisprudenza. In proposito, la giurisprudenza ha fissato alcuni criteri. Per attribuire il fatto all’agente è necessario che quest’ultimo abbia realizzato un fattore causale dell’evento, senza il quale il risultato non si sarebbe avverato e che l’evento non dipenda dal concorso di fattori eccezionali. Esclude il nesso eziologico o lo interrompe la causa sopravvenuta che si pone, rispetto ad un percorso causale ricollegato all’azione od omissione dell’agente, quale “addizione” del tutto atipica, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale. La spiegazione rileva sia quando il fattore interferente abbia concorso nella determinazione dell’evento che si sarebbe prodotto anche nell’ipotesi in cui non fosse intervenuto quell’ulteriore addizione causale sia nell’ipotesi in cui il fattore interferente – che si innesta nel percorso causale già innescato – aggrava l’evento. Ad ogni modo, anche in siffatta ipotesi, il nesso causale non è reciso e la concorrenza di altre condotte causali, realizzate da soggetti diversi dal reo, rileva solo sul piano del trattamento sanzionatorio. Come si coniuga il concetto di fatto sopravvenuto nel contesto della circolazione stradale? Il fatto sopravvenuto e l’eventuale accertamento della natura eccezionale ed imprevedibile va valutato con una prospettiva ex ante e oggettiva, secondo l’ id quod plerumque accidit . Nel caso di specie i giudici hanno affermato che non costituisce causa totalmente autonoma ed imprevedibile il fatto di un utente della strada che sia inosservante delle regole in materia di circolazione della strada. Tale disciplina si prefigge lo scopo di assicurare la circolazione senza pregiudizio per gli altri utenti, stante l’elevato coefficiente di pericolosità dell’attività. È, infatti, imposto a ciascun utente – compresi i pedoni – di adeguare la propria condotta alle circostanze concrete considerando la possibilità che altri utenti costituiscano fonte di pericolo. In questo solco interpretativo, la giurisprudenza ha affermato che costituisce di per sé condotta negligente quella di aver confidato nel fatto che gli altri utenti si attengano alle prescrizioni del legislatore la ragione di simile approdo va ravvisata nel fatto che le norme del Codice della strada impongono severi doveri di prudenza e diligenza per far fronte a situazioni di pericolo, determinate da comportamenti irresponsabili altrui, se prevedibili.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 2 luglio – 7 ottobre 2014, numero 41777 Presidente Sirena – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. All'esito di giudizio abbreviato, P.A. è stato giudicato dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Agrigento colpevole del reato di omicidio colposo, commesso con violazione delle regole sulla circolazione stradale in danno di A.V. , e condannato alla pena di anni uno mesi otto di reclusione. Secondo quanto accertato dal giudice agrigentino, intorno alle ore 03 00 del OMISSIS il P. , mentre percorreva una strada statale alla guida di una Renault Clio, a causa dell'eccessiva velocità e delle condizioni psicofisiche alterate dall'uso di sostanze stupefacenti, perdeva il controllo della propria autovettura, che andava ad urtare dapprima il guardrail posto sul lato destro rispetto al senso di marcia percorso e quindi si arrestava di traverso sulla opposta corsia. Nel mentre il P. veniva soccorso dal conducente di una Ford Fiesta che lo precedeva, C.V. , sopraggiungeva dall'opposta direzione di marcia l'autovettura Opel Corsa condotta da A.D. , la quale investiva in pieno la Renault Clio e successivamente anche la Ford Resta, dal C. fermata regolarmente sul margine destro della propria carreggiata. Nel duplice impatto A.V. , passeggero di A.D. , riportava lesioni che ne cagionavano la morte. 2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha confermato la menzionata pronuncia rigettando la prospettazione difensiva secondo la quale il sopraggiungere della vettura condotta da A.D. aveva concretizzato una condicio sine qua non del sinistro e del suo epilogo. Ad avviso del Collegio distrettuale, infatti, da un verso non vi è dubbio che il comportamento del P. aveva determinato una condizione di pericolo e che soltanto successivamente e a causa di esso l'A. aveva perso il controllo della propria auto compiendo una roto-traslazione oraria e poi invaso la corsia opposta. Sotto altro profilo, la Corte di appello ha escluso l'applicabilità della presunzione di cui all'articolo 2054, comma 2 cod. civ. spiegando che essa può trovare applicazione solo quando rimanga incerto il comportamento specifico che ha causato il danno o nel casi in cui si ignora l'atto generatore del sinistro e che tale principio è solo un criterio di distribuzione della responsabilità che va superato quando si è pervenuti al compiuto accertamento delle responsabilità delle parti coinvolte. Ha quindi concluso per l'efficacia concausale della condotta del P. nella produzione dell'evento infausto, quantificandola nel 30%. La Corte di appello ha poi respinto l'ulteriore motivo di appello attinente alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla misura del trattamento sanzionatorio, rimarcando come l'imputato sia gravato da ben tre precedenti penali per stato di ebbrezza per fatti compiuti nell'aprile e nel giugno del 2005 nonché nel novembre 2008, e come risultasse ingiustificata l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 3. Ricorre per cassazione il P. a mezzo del difensore, avvocato Antonino Gaziano. 3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge e vizio motivazionale esponendo che nessuna risposta logica è stata fornita alle doglianze avanzate con i motivi di appello il ricorrente si duole della vantazione operata dalla Corte di appello in merito alla efficienza causale del comportamento tenuto da A.D. , che avrebbe dovuto essere ritenuto assorbente in quanto specifico antecedente senza il quale l'evento morte non si sarebbe verificato. Aggiunge l'esponente che il P. non ha perpetrato alcuna violazione di regola di condotta che abbia avuto valenza causale in quanto l'ipotetica catena causale deve ritenersi interrotta dalla condotta della vittima . Anche a voler ritenere che l'imputato abbia tenuto la condotta colposa che gli è stata ascritta, non vi sarebbe prova che l'evento causato da tale comportamento possa ritenersi opera del medesimo. Si richiama al riguardo il criterio dell'aumento del rischio e lo scopo della norma cautelare violata per concludere che il percorso motivazionale della sentenza impugnata appare del tutto incongruente e non in grado di condurre ad un giudizio di colpevolezza per il reato in contestazione in capo all'imputato, asserendo che è anomalo che si giunga ad un giudizio di condanna nei casi incidente stradale in assenza del contributo di un perito tecnico. 3.2. Con un secondo motivo di ricorso si deduce vizio motivazionale e violazione di legge per non essere stata data alcuna risposta logica alle doglianze avanzate con i motivi di appello in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti sulla contestata aggravante, in considerazione del comportamento mantenuto dal ricorrente, della assoluta occasionante ed episodicità dei fatti, della personalità dell'imputato, dell'assoluta risalenza dei fatti e dello scarso valore penale dei reati di cui ai precedenti. La Corte di appello avrebbe al riguardo fatto ricorso ad una mera clausola di stile mentre in punto di determinazione della pena si ravvisa una mancanza assoluta di motivazione. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati. 4.1. Appare opportuno rammentare che in presenza di decisioni che condividono la valutazione della prova e le conclusioni, le motivazioni rese dai giudici di merito si completano vicendevolmente, sicché ne va fatta una lettura complessiva ed integrata, ferma restando la necessità che la pronuncia del giudice dell'impugnazione manifesti di aver valutato le doglianze mosse con I motivi di appello cfr., ex multis, Sez. 4, numero 15227 del 14/02/2008 - dep. 11/04/2008, Baratti, Rv. 239735, per la quale se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione quando invece le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall'appellante, sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ai sensi dell'articolo 606, comma primo, lett. e , cod. proc. penumero , se il giudice del gravame si limita a respingere tal censure richiamando la censurata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sull'inadeguatezza od inconsistenza dei motivi di impugnazione . Nel caso che occupa l'incidenza sul piano della causazione dell'evento infausto della condotta serbata da A.D. è stata analizzata già dal Giudice per le indagini preliminari, il quale ha concluso per il concorso di diversi fattori causali, puntualizzando che la condotta gravemente colposa dell'A. non avrebbe potuto determinare l'evento senza la preesistente situazione di pericolo creata dal P. . La Corte di appello, dal canto suo, ha ribadito che soltanto a causa della condizione di pericolo determinata dalla condotta di guida dell'odierno imputato l'A. aveva perso il controllo della sua autovettura, percorrendo poi la traiettoria incontrollata che lo aveva portato ad impattare anche con l'autovettura Ford Resta posta correttamente a margine della strada dal soccorritore C.V. . A fronte di tali puntualizzazioni, corrette ancorché scarne, l'esponente si limita formulare censure di carattere generico, ad esempio laddove afferma che nessuna risposta logica sarebbe stata fornita alle doglianze avanzate con i motivi di appello o apertamente infondate, segnatamente laddove imputa al Collegio distrettuale di non aver valutato il comportamento dell'A. ovvero ancora meramente assertive, come quando afferma che l'evento morte non è opera dell'A. perché tale evento non era prevedibile. Lo stesso esponente tuttavia non può fare a meno di affermare - così condividendo il giudizio di concausalità cui sono pervenuti i giudici di merito - che la condotta tenuta dal P. non ha, da sola, cagionato l'evento morte della vittima . È altresì manifestamente infondata la doglianza che si muove per il mancato ricorso all'ausilio di una perizia. Mette conto rilevare, al riguardo, che il giudizio formulato in sede di gravame si è avvalso del contributo tecnico offerto dal consulente del pubblico ministero che pertanto non risponde al vero che quel giudizio sia stato formulato in assenza di informazioni tecniche, veicolate nel processo da un esperto che alcuna norma stabilisce l'obbligatorietà del ricorso agli esperti, siano essi consulenti o pentiti, per l'accertamento delle responsabilità connesse a sinistri stradali con esiti pregiudizievoli per la incolumità o la vita delle persone che il ricorrente neppure enuncia in quale guisa il mancato ricorso all'ausilio di una perizia abbia determinato un vulnus alla compiutezza dell'accertamento processuale, manifestato da una motivazione afflitta da vizi censurabili in sede di legittimità. 4.2. Tanto osservato a riguardo dei limiti del ricorso, va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte, in tema di sinistri stradati, identifica la causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento in quel fattore che, per essere assolutamente eccezionale, e pertanto imprevedibile, assume su di sé l'intera efficienza eziologica dei molteplici fattori che, su un plano puramente naturalistico, si pongono quali antecedenti dell'evento. È noto che per mitigare il rigore derivante dalla meccanica applicazione del principio generale contenuto nell'articolo 41, co. 1 cod. penumero , ovvero del principio per il quale vi è equivalenza nelle cause che possono individuarsi come produttive dell'evento, così identificate attraverso il noto procedimento che taluno chiama di “eliminazione mentale” teoria della “ condido sine qua non , il legislatore ha dato rilievo a cause sopravvenute dal carattere peculiare. Non può trattarsi di cause in grado di instaurare un processo causale del tutto autonomo da ogni altra pregressa, poiché se così fosse saremmo in presenza di una disposizione quella dell'articolo 41, co. 3 cod. penumero inutile, perché all'esclusione della valenza giuridica delle diverse “cause” si perverrebbe già con l'applicazione del principio condizionalistico previsto dall'articolo 41, co. 1 cod. penumero . L'attitudine eziologica di ciascuna causa è premessa della regola dell'equivalenza causale altrimenti neppure si potrebbe parlare di “causa” . Perché possa ritenersi interrotto il nesso condizionalistico tra condotta del trasgressore ed evento è necessario che il fattore interferente assorta per intero il processo causale. È quanto si esprime comunemente con l'affermazione per la quale la condotta del trasgressore degrada, da causa, ad occasione dell'evento. È quanto si pretende con la richiesta del necessario carattere di eccezionalità della causa sopravvenuta ma, secondo l'opinione preferibile, anche precedente o concomitante articolo 41, co. 3 cod. penumero . Deve pertanto trattarsi, secondo questo condivisibile orientamento, di un processo non completamente avulso dall'antecedente, ma sufficiente a determinare l'evento, secondo un'accezione di sufficienza che non può essere identificata nell'autonomia cui allude l'articolo 41, co. 1 cod. penumero sicché fuorviante è il riferimento sovente operato al carattere, che si vorrebbe dover essere proprio della causa sufficiente, della totale indipendenza dalla condotta dell'imputato Cass. Sez. 5, sent. numero 11954 del 26/01/2010, Palazzolo, Rv. 246549 Cass. Sez. 5, sent. numero 15220 del 26/01/2011, Trabeisi e altri, Rv. 249967 . 4.3. Lo snodo essenziale del tema in esame sembra a tutt'oggi essere quello del reperimento di un'adeguata definizione di causa sufficiente , la quale va ricercata nella prospettiva propria del giudizio di attribuzione di responsabilità giuridica. Si tratta, detto altrimenti, del concetto “giuridico” di causa sufficiente. Ciò posto, è più agevole comprendere che tale concetto non può e non deve essere colto alla luce di leggi fisiche, ma sulla base delle ragioni dell'imputazione giuridica. Viene perciò in rilievo, ad esempio per la teoria della causalità umana, il potere di signoria dell'uomo, in forza del quale si afferma che può dunque essere oggettivamente attribuito all'agente quanto è da lui dominabile ma non dò che fuoriesce da questa possibilità di controllo Cass. Sez. 4, sent. numero 9967 del 18/01/2010, P.G. e P.C. in proc. Otelli e altro, Rv. 246797 . Fuori della possibilità di controllo viene ritenuto, secondo questa ricostruzione, il fatto che ha una probabilità minima, insignificante di verificarsi il fatto che si verifica soltanto in cast rarissimi nei giudizi sulla causalità umana si considerano propri del soggetto tutti i fattori esterni che concorrono con la sua azione, esclusi quelli che hanno una probabilità minima, trascurabile di verificarsi in altri termini esclusi i fattori che presentano un carattere di eccezionalità . 4.4. Nel fare propria questa teoria la giurisprudenza di legittimità svolge un'utile precisazione. Per l'attribuzione del fatto sul piano oggettivo è necessario a che l'imputato con la sua condotta abbia posto in essere un fattore causale del risultato, vale a dire un fattore senza il quale il risultato medesimo nel caso concreto non si sarebbe avverato b che l'evento non sia dovuto al concorso di fattori eccezionali. La causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità o a procurane la sua interruzione, come altrimenti si dice presuppone quindi l'esistenza di un percorso causale ricollegato all'azione od omissione dell'agente ma si pone rispetto a questo come addizione completamente atipica, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale di un fattore che non si verifica se non In casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta Cass. Sez. 4, sent. numero 9967 del 18/01/2010, cit. . Tanto vale per il fattore interferente che abbia concorso nella determinazione di quel medesimo evento cui avrebbe condotto il percorso causale facente interamente capo all'agente/omittente, qualora non fosse intervenuto quell'ulteriore addizione causale. Ma vale, secondo la prevalente giurisprudenza, anche nell'ipotesi in cui il fattore interferente, che si innesta nel decorso causale già innescato dalla condotta del trasgressore, aggrava l'evento che si sarebbe prodotto. Anche in tali casi non risulta comunque reciso il nesso causale e la concorrenza causale di condotte di altri dal reo assume valore solo sul piano sanzionatorio. 4.5. La natura eccezionale ed imprevedibile del fatto sopravvenuto va valutata secondo una prospettiva ex post e prettamente oggettiva, che assuma il punto di vista coincidente con l' id quod plerumque accidit si tratta di un tipico accertamento devoluto al giudice del merito che deve logicamente valutare il suo convincimento sul punto. Ciò è avvenuto nel caso in esame perché, secondo i giudici di primo e di secondo grado, non può reputarsi causa totalmente autonoma ed Imprevedibile il fatto di altro utente della strada che sia inosservante delle regole che disciplinano la circolazione stradale, quale indubbiamente fu l'A. , che aveva mantenuto una velocità non adeguata, sia in rapporto ai limiti di velocità previsti nel tratto percorso, sia in rapporto alle condizioni di tempo e di luogo. In effetti, le regole in materia di circolazione stradale si prefiggono di assicurare che la medesima avvenga senza pregiudizio per gli utenti. Si tratta, infatti, di un'attività ad elevato coefficiente di pericolosità. Ciascuno, conducente o pedone, deve adeguare la propria condotta alle circostanze concrete, rappresentandosi l'evenienza che il comportamento di altri utenti divenga esso stesso fonte di pericolo. Non a caso, in tema di reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale, la giurisprudenza di legittimità è particolarmente rigorosa, riconoscendosi per la più parte nel principio per il quale costituisce di per sé condotta negligente l'aver riposto fiducia nel fatto che gli altri utenti della strada si attengano alla prescrizioni del legislatore, poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per far fronte a situazioni di pericolo, determinate anche da comportamenti irresponsabili altrui, se prevedibili Cass. sez. 4, sent. numero 32202 del 15/7/2010, Filippi, rv. 248354 . L'affermazione del giudice distrettuale è quindi in linea con il principio di diritto secondo il quale l'utente della strada deve regolare la propria condotta in modo che essa non costituisca pericolo per la sicurezza di persone e cose, tenendo anche conto della possibilità di comportamenti irregolari altrui, sempre che questi ultimi non risultino assolutamente imprevedibili Cass. sez. 4, sent. numero 26131 del 3/6/2008, Garzotto, rv. 241004 . Ne consegue la correttezza della valutazione della Corte di merito quanto alla sussistenza del nesso causale tra la violazione ascritta al P. e l'evento illecito, sotto il profilo della non interruzione del medesimo per effetto della condotta tenuta dall'A. . 5. In relazione al secondo motivo di ricorso va ricordato che in tema di onere motivazionale quanto al diniego delle circostanze attenuanti genetiche, esso risulta adempiuto solo che il giudice manifesti di aver valutato l'esistenza di eventuali fattori rilevanti nella prospettiva In parola per contro egli non ha l'obbligo di motivare specificamente al riguardo della valenza o della irrilevanza di dascuno di essi, essendo sufficiente che venga indicato quello ritenuto dominante ed assorbente cfr. Sez. 6, numero 34364 del 16/06/2010 - dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244 . Nel caso di specie la Corte di appello ha fatto riferimento al grado della colpa particolarmente elevato, al danno di estrema gravità arrecato alla vittima, ai tre precedenti penali per guida in stato di ebbrezza, dei quali non si è mancato di indicare la significativa collocazione cronologica. Risulta pertanto ampiamente motivato il diniego delle attenuanti generiche e allo stesso modo risulta con quei riferimenti motivata anche l'entità della pena ritenuta equa. 6. Deve in ogni caso rilevarsi che le contravvenzioni ascritte all'imputato risultano estinte per essere decorso il termine massimo di prescrizione. Infatti, commesse il OMISSIS , il termine di cinque anni previsto dal combinato disposto agli articolo 157, co. 1 e 161, co. 2 cod. penumero è spirato con il decorso del 28.11.2013. Avendo il giudice di primo grado indicato l'ammontare della pena inflitta per tali contravvenzioni, pari nel complesso ad un mese di reclusione, questa Corte è in grado di rideterminare la pena in anni uno mesi sette e giorni dieci di reclusione. 7. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi b e c della rubrica perché estinti per prescrizione e la pena da infliggere a P.A. determinata in un anno, sette mesi e dieci giorni di reclusione. Il ricorso va rigettato nel resto. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente ai reati di cui ai capi b e c della rubrica perché estinti per prescrizione e determina la pena da infliggere a P.A. in un anno, sette mesi e dieci giorni di reclusione rigetta il ricorso nel resto.