I diversi stadi di tutela della libertà morale dei due reati rendono possibile il concorso di norme

Non è corretto affermare l’assorbimento del delitto di violenza privata in quello di atti persecutori, sebbene inseriti entrambi nella sezione dedicati ai delitti contro la libertà morale, giacché il suddetto bene giuridico presenta profili diversi, che esigono tutele diverse.

Mentre l’articolo 610 c.p. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, l’articolo 612- bis al pari dell’articolo 612 c.p. è volto alla tutela della tranquillità psichica, ritenuta condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della suddetta volontà. Non vi sono ragioni, quindi, per escludere il concorso di norme, siccome rivolte a tutelare aspetti diversi dello stesso bene. Questo il principio di diritto stabilito dalla Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 2283 depositata il 16 gennaio 2015, che delinea i rapporti e i relativi confini applicabili del delitto di stalking articolo 612- bis c.p. con altre fattispecie incriminatrici molto simili, quali la violenza privata e la minaccia. Il caso concreto e i motivi di ricorso. Un uomo, ritenuto responsabile in primo e secondo grado, nei confronti dell’ex convivente, di atti persecutori, violazioni delle prescrizioni dettate dal giudice civile sull’affidamento dei figli articolo 388 c.p. , violenza privata articolo 610 c.p. e di violazione di domicilio articolo 614 c.p. , presentava ricorso per cassazione sostenendo, tra l’altro 1 l’insussistenza del reato di stalking perché il motivo che aveva indotto l’imputato a ricercare la donna era quello di conservare i rapporti col figlio minore, ostacolati dalla madre 2 l’assorbimento di tutti i delitti in quello di cui all’articolo 388 c.p. o, in subordine, l’assorbimento del reato di violenza privata in quello di cui all’articolo 612- bis c.p. “rappresentando una delle modalità della più grave condotta di atti persecutori 3 la violazione di legge laddove si sia subordinata la sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale prima del passaggio in giudicato della sentenza entro due mesi . Niente sospensione condizionale subordinata al pagamento “prima” del giudicato. I giudici di legittimità accolto quest’ultimo motivo aderendo, sia pure sbrigativamente, all’orientamento definito maggioritario secondo cui il beneficio della sospensione condizionale della pena non può essere subordinato al pagamento di una provvisionale riconosciuta alla parte civile da effettuarsi anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza, citando Cass. numero 29888 rectius , numero 29889 dell’11.7.2013. In tale pronuncia si prende atto che la giurisprudenza di legittimità è divisa tra la soluzione positiva alla subordinazione “prima” del passaggio in giudicato Cass. numero 126/2008 numero 36769/2004 , facendo perno sulla immediata esecutività della disposta provvisionale, espressamente prevista dall'articolo 540, comma 2, c.p.p., e sull’articolo 165, comma 4, c.p. che attribuisce al giudice il potere di stabilire il termine entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti, senza però indicare se questo termine possa decorrere da epoca anteriore alla formazione del giudicato. Secondo altro orientamento, accolto dalla sentenza in commento, invece, la statuizione che assegna la provvisionale abbia tra le proprie caratteristiche quelle della precarietà essendo destinata ad essere travolta o assorbita dalla decisione conclusiva del processo e quindi insuscettibile di passare in giudicato della discrezionalità nella determinazione dell'ammontare senza obbligo di specifica motivazione della non impugnabilità con il ricorso per cassazione nella sua sostanziale insindacabilità . Tale connotato comporta, già sul piano strutturale/sistematico dei principi penalistici, l'incompatibilità della astratta possibilità di influire in modo irrevocabile, e con efficacia vincolante, addirittura sulla stessa concedibilità della sospensione condizionale della pena a prescindere dal giudicato Cass. numero 5914/12 . L'apposizione di una condizione, secondo la previsione dell'articolo 165 c.p., non può certo modificare strutturalmente l'istituto della sospensione condizionale della pena ed anzi non può che avere lo scopo di rafforzarne le funzioni, secondo le particolarità del caso. Al più può riconoscersi la possibilità che la condizione assolva a ulteriori e contestuali necessità accanto a quella di dare dimostrazione del conseguimento dell'obiettivo rieducativo della minaccia dell'esecuzione della pena, quella di soddisfare più celermente le ragioni della persona offesa o del danneggiato giammai però gli scopi accessori possono contraddire la funzione essenziale dell'istituto. Pretendere quindi che l'imputato, non ancora condannato in via definitiva, sia valutato per quanto fatto prima ancora della condanna contraddice il ruolo che assume la definitività dell'accertamento giudiziario nell'ambito dell'istituto del quale ci si occupa Cass. numero 29889/13 . Non c'è bisogno di aggiungere che il comportamento ante delictum non è privo di valore, ma viene in considerazione nelle forme previste da diversi ed ulteriori istituti ad esempio le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'articolo 62, numero 4 c.p. . Di conseguenza, gli ermellini annullano la sentenza nella sola parte in cui subordina la concessione del beneficio al pagamento della provvisionale nei ristretti termini stabiliti in sentenza, invece che entro due mesi dal passaggio in giudicato della sentenza d’appello. Si ricorda, infine, che non possa essere revocata la sospensione condizionale della pena qualora il condannato si trovi nell’impossibilità di risarcire il danno o versi in una situazione economica tale da rendergli particolarmente difficile ottemperare a tale incombente Cass. numero 36665/2012 . Sul concorso tra violenza privata e stalking. Dopo aver dichiarato inammissibile il primo motivo in quanto il giudice di merito ha acclarato l’atteggiamento vessatorio e violento dell’imputato nei confronti dell’ex convivente , infondato quello dell’assorbimento di tutti i reati ascritti in quello dell’articolo 388 c.p. in quanto quest’ultimo è posto a presidio dell’autorità delle decisioni giudiziarie, mentre gli articolo 612 e 612- bis sono volti a tutelare la libertà morale della persona offesa e l’articolo 614 c.p. l’inviolabilità del domicilio la Suprema Corte passa ad esaminare la questione relativa alla sussistenza o meno del concorso di norme tra i reati ex articolo 610 e 612- bis c.p Per i giudici di legittimità non è corretto affermare l’assorbimento del delitto di violenza privata in quello di atti persecutori, sebbene inseriti entrambi nella sezione dedicati ai delitti contro la libertà morale, giacché il suddetti bene giuridico presenta profili diversi, che esigono tutele diverse. Ciò in quanto il delitto previsto nell’articolo 612-bis c.p. tende alla protezione del singolo individuo da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, ovvero costringendo a modificare comportamenti ed abitudini di vita per questo può dirsi che è rivolto alla tutela della persona nel suo insieme, piuttosto che alla sola libertà personale . La violenza privata è volta alla tutela della libertà morale, nel suo aspetto di libertà individuale vale a dire come possibilità di determinarsi spontaneamente, secondo motivi propri libertà di autodeterminazione , e di agire di conseguenza libertà di azione . Quindi, tende ad impedire che un soggetto faccia, ometta o tolleri qualcosa perché costrettovi, con violenza o minaccia, da altri, indipendentemente dalla induzione di uno stato morboso o dalla modificazione delle abitudini di vita. In tali passaggi, la Suprema Corte conferma che con il reato di atti persecutori si è inteso anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità psico-fisica, e con l’introduzione dell’articolo 612- bis c.p. il legislatore ha voluto colmare un vuoto di tutela ritenuto inaccettabile rispetto a condotte che, ancorché non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima e che possono sfociare in violenza, declinata nelle diverse forme delle percosse, della violenza privata, delle lesioni personali, della violenza sessuale Cass. numero 18999/14 . In definitiva, mentre l’articolo 610 c.p. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, l’articolo 612- bis come il reato di minaccia ex articolo 612 c.p. è volto alla tutela della tranquillità psichica e, come ricorda Cass. numero 41182/14, poiché le minacce rientrano a pieno titolo, tra gli elementi qualificanti della fattispecie, sub specie di elemento materiale del reato, non possono essere addebitate due volte al loro autore e il suddetto reato resta assorbito, quindi, in quello di atti persecutori , ritenuta condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della suddetta volontà. Già in passato, la Suprema Corte aveva affermato che se la norma incriminatrice di cui all'articolo 612- bis è speciale rispetto a quelle che prevedono reati di minaccia o molestia, non lo è rispetto alla violenza privata in quanto quest’ultima non genera solo il turbamento emotivo occasionale dell'offeso per il riferimento ad un male futuro, ma esclude la sua stessa volontà in atto di determinarsi nella propria attività, d'onde il quid pluris di cui all’articolo 610 c.p. Cass. numero 20985/11 . Pertanto, l’oggetto giuridico di categoria la libertà morale esige, per la sua salvaguardia, la protezione di entrambe le sottospecie di beni, ben potendo essere aggredito nell’una o nell’altra manifestazione, oppure in entrambe. Quando quest’ultima situazione si verifica – come avvenuto nel caso di specie – non vi sono ragioni per escludere il concorso di norme, siccome rivolte a tutelare aspetti diversi dello stesso bene.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 novembre 2014 – 16 gennaio 2015, numero 2283 Presidente Palla – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Arezzo, con sentenza riformata, limitatamente alla pena, dalla Corte di appello di Firenze in data 4/10/2013, ha ritenuto C.S. responsabile, nei confronti della ex-convivente D.S. , di atti persecutori articolo 612-bis cod. penumero , capo A , di violazione delle prescrizioni dettate dal giudice civile in ordine all'affidamento della prole articolo 388 cod. penumero , capo B , di violenza privata articolo 610 cod. penumero , capo C e violazione di domicilio capo D per l'effetto, lo ha condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato al versamento, a favore della parte civile, di una restante somma dovuta a titolo di provvisionale. Alla base della decisione vi sono le dichiarazioni della persona offesa e di numerosi testi, anche di appartenenti al Servizio Sociale, nonché documentazione varia. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse dell'imputato, l'avv. Nadia Frese, con sei motivi, tutti incentrati sulla violazione di legge e il vizio di motivazione. Col primo lamenta - in ordine al delitto di atti persecutori - che non sia stata fornita risposta alle critiche mosse dalla difesa alla sentenza di primo grado, laddove si addebitava al Tribunale di non aver tenuto conto del motivo che aveva indotto l'imputato a ricercare, ripetutamente, la donna quello di conservare i rapporti col figlio minore, ingiustamente ostacolati dalla madre. Per questo motivo difetterebbe l'elemento soggettivo del reato. Col secondo contesta l'autonoma sussistenza dei reati di cui agli articolo 612-bis, 610 e 614 cod. penumero , che devono ritenersi assorbiti - a giudizio della difesa - in quello dell'articolo 388 cod. penumero . Col terzo contesta, sotto altro profilo, la sussistenza della violazione di domicilio, in quanto - sostiene - l'abitazione di D. era preceduta da un'area non recintata. Pertanto, l'accesso a quest'area non può costituire reato. Nello stesso motivo contesta la sussistenza del reato di violenza privata, in quanto - sostiene - manca una specifica condotta direttamente produttiva di una situazione idonea ad incidere sulla libertà psichica di determinazione ed azione del soggetto passivo . Col quarto sostiene l'assorbimento del reato di cui all'articolo 610 cod. penumero in quello di cui all'articolo 612-bis cod. penumero , rappresentando una delle modalità esecutive della più grave condotta di cui all'articolo 612-bis c.p. . Col quinto lamenta assenza di motivazione in ordine alle attenuanti generiche, richieste dalla difesa e negate dal giudice in ordine alla commisurazione della pena, incomprensibilmente applicata in misura assai superiore ai minimi edittali in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione, pure richiesto dalla difesa e non disposto in sentenza. Col sesto lamenta che - in violazione di legge - sia stata subordinata la sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale prima del passaggio in giudicato della sentenza entro due mesi . Considerato in diritto È fondato il sesto motivo di ricorso sono inammissibili - per le ragioni di seguito esposte - tutti gli altri. 1. Il primo motivo è inammissibile per genericità. Con consolidato orientamento, questa Corte ha avuto modo di precisare che è inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità Cass., sez. 4, numero 5191 del 29/3/2000, Rv. 216473. Da ultimo, Cass., numero 28011 del 15/2/2013 . In particolare il giudice di merito ha evidenziato come il quadro delineato dalla persona offesa e dai numerosi testi esaminati deponga inequivocabilmente per un atteggiamento vessatorio e violento dell'imputato nei confronti della ex convivente, a cagione della sua natura possessiva e prevaricatrice, manifestatasi con una quantità enorme di telefonate, dai toni offensivi e volgari con la pretesa di sottomettere la donna alla propria volontà, specie nella gestione del figlio comune con la sistematica inosservanza delle prescrizioni imposte dal giudice civile a tutela dei diritti dei genitori e degli interessi del minore. Il tutto generato dalla pretesa del C. di tenere la donna legata a sé nonostante la contrarietà di quest'ultima alla prosecuzione del rapporto, con la conseguenza di prostrare psicologicamente la ex-convivente e costringerla a ricorrere alle cure di uno specialista della mente. Per contro, solo assertiva e scollegata dal risultato istruttorio si è rivelata, per i giudicanti, la tesi difensiva - secondo cui tutto ha avuto origine e si spiega con l'ostinazione della D. di impedire la frequentazione del C. col figlio - posto che di una simile evenienza non sussiste alcuna prova o indizio nemmeno le dichiarazioni dell'imputato, che, sebbene presente a tutte le udienze dibattimentali, si è ben guardato dall'esporla dialetticamente e motivatamente. Di conseguenza, il motivo di ricorso, siccome inutilmente ripetitivo della tesi sostenuta nel giudizio, va disatteso, non essendo suffragato da argomenti idonei a incidere, anche in termini meramente dubitativi, sul compendio degli elementi che hanno portato la Corte territoriale all'affermazione della penale responsabilità per il reato di cui all'articolo 612-bis cod. penumero . 2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. L'articolo 388 cod. penumero è posto a presidio dell'autorità delle decisioni giudiziarie, mentre gli articolo 612 e 612-bis sono volti a tutelare la libertà morale della persona offesa e l'articolo 614 cod. penumero l'inviolabilità del domicilio. Né per l'oggetto giuridico né per la struttura delle fattispecie è dato comprendere, quindi, come e perché il reato di cui all'articolo 388 cod. penumero comprenda e assorba tutti gli altri nessuna congruente argomentazione è stata sviluppata, in proposito, dalla ricorrente . 3. È solo assertiva l'affermazione che l'abitazione di D. fosse preceduta da un'area non recintata, entro cui era possibile entrare senza violare il domicilio di chi vi abitava. La sentenza impugnata, come quella di primo grado, sono esplicite nel dire, invece, che C. si introdusse abusivamente, in più occasioni, in un'area di esclusiva pertinenza della D. e talvolta addirittura in casa, senza il consenso di chi vi abitava circostanza confermata dalla zia della D. . Tali circostanze non sono nemmeno prese in considerazione dalla ricorrente, che ignora addirittura le argomentate riflessioni del giudicante. 4. Non è corretto affermare l'assorbimento del delitto di violenza privata in quello di cui all'articolo 612-bis cod. pen, sebbene siano entrambi inseriti nella sezione dedicata ai delitti contro la libertà morale, giacché il suddetto bene giuridico presenta profili diversi, che esigono tutele diverse. Il delitto previsto dall'articolo 612 bis c.p. tende alla protezione del singolo cittadino da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, ovvero costringendo a modificare comportamenti ed abitudini di vita per questo, può dirsi che è rivolto alla tutela della persona nel suo insieme, piuttosto che della sola libertà morale . Nella sua struttura è reato abituale e, sebbene la norma faccia riferimento solo a molestie e minacce, quali fonti di responsabilità, deve ritenersi reato a condotta libera, in quanto le minacce e le molestie costituiscono esemplificazione dei comportamenti che possono determinare gli stati patologici sopra considerati, costituenti evento del reato. La violenza privata è volta alla tutela della libertà morale, nel suo aspetto di libertà individuale vale a dire come possibilità di determinarsi spontaneamente, secondo motivi propri libertà di autodeterminazione , e di agire di conseguenza libertà di azione . Quindi, tende ad impedire che un soggetto faccia, ometta o tolleri qualcosa perché costrettovi, con violenza o minaccia, da altri, indipendentemente dalla induzione di uno stato morboso o dalla modificazione delle abitudini di vita. In altri termini, mentre l'articolo 610 cod. penumero protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, l'articolo 612/bis è volto - al pari dell'articolo 612 cod. penumero - alla tutela della tranquillità psichica, ritenuta, con pieno fondamento, condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della volontà suddetta. Pertanto, l'oggetto giuridico di categoria la libertà morale esige, per la sua salvaguardia, la protezione di entrambe le sottospecie di beni sopra rassegnati, potendo essere aggredito nell'una o nell'altra manifestazione, oppure in entrambe. Quando quest'ultima situazione si verifica, non vi sono ragioni, quindi, per escludere il concorso di norme, siccome rivolte a tutelare aspetti diversi dello stesso bene. Alla luce di tali criteri, nessuna censura merita la sentenza impugnata, che ha ritenuto sussistenti entrambi i reati. La violenza privata è stata ritenuta sussistente perché, in più occasioni, C. costrinse la donna - con violenza verbale e minacce esplicite e contravvenendo alle prescrizioni dettate dal giudice civile - a consegnargli il figlio contro la sua volontà. Si tratta di qualcosa di diverso dalla induzione dello stato di ansia e di timore, preso in considerazione dall'articolo 612-bis, che ha indotto la donna a ricorrere alle cure di uno specialista e ad adeguare il proprio vivere quotidiano a moduli che cercassero di escludere interferenze da parte del C. pag. 4 della sentenza di primo grado . 5. Manifestamente infondato è il quinto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta l'entità della pena infintagli. Ed invero, la concreta modulazione della pena appartiene al novero dei poteri discrezionali del giudice di merito, il cui esercizio si sottrae al sindacato in sede di legittimità ove sorretto da idonea motivazione nel caso specifico, la motivazione addotta, fondata sulla gravità della condotta reiterarla nel tempo e sulle conseguenze da essa derivate, oltre che sui precedenti penali che non hanno impedito, comunque, alla Corte d'appello di ridurre la pena applicata dal primo giudice , vale a giustificare la modulazione del trattamento sanzionatorio, in misura, peraltro, moderatamente superiore al minimo edittale. Parimenti inammissibile è la censura relativa alla mancata concessione del beneficio della non menzione, posto che nell'atto d'appello recante la data del 7/11/2011 non ne era stata fatta richiesta. 6. È fondata, infine, la doglianza relativa alla sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento, entro due mesi dal deposito della motivazione della sentenza d'appello, di quanto stabilito a titolo di provvisionale. Questo Collegio aderisce infatti all'orientamento, maggioritario nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il beneficio della sospensione condizionale della pena non può essere subordinato al pagamento della provvisionale riconosciuta alla parte civile da effettuarsi anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza da ultimo, Cass., numero 29888 del 2013 . Di conseguenza, la sentenza va annullata nella sola parte in cui subordina la concessione del beneficio al pagamento della provvisionale nei ristretti termini stabiliti in sentenza, invece che entro due mesi dal passaggio in giudicato della sentenza d'appello. Il rigetto dei motivi di ricorso concernenti l'affermazione di responsabilità per i reati contestati comporta che il ricorrente va condannato al pagamento delle spese di rappresentanza sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale entro il termine di due mesi dal deposito della sentenza di appello. Rigetta nel resto il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di parte civile liquidate in complessivi Euro 1.200, oltre accessori di legge.