I colloqui telefonici con il difensore - disciplinati dal D.P.R. 230/2000 - non sono minimamente equiparabili agli incontri de visu. Ragione per cui, gli stessi sono sottoposti a limiti numerici settimanali, e ciò in virtù di una razionale gestione tecnica degli impianti audio fonici in uso all’Amministrazione Penitenziaria.
Ad affermarlo è la corte di Cassazione, nella sentenza numero 40011 del 26 settembre 2013. Il caso. Un Magistrato di Sorveglianza emetteva un’ordinanza con cui dichiarava il diritto di un detenuto di effettuare colloqui telefonici con il proprio difensore senza le limitazioni poste dall’articolo 39 reg. penumero , affermando, altresì, che l’amministrazione penitenziaria non può esercitare alcun potere discrezionale nel valutare la richiesta di colloqui avanzata dallo stesso detenuto, ma che la stessa e’ tenuta a consentire le comunicazioni dietro semplice richiesta. Ad avviso di tale Giudice, infatti, non sussisterebbe alcuna norma - né nell’ordinamento penitenziario, né nel regolamento di esecuzione – che disciplini espressamente la materia della corrispondenza telefonica tra il detenuto a titolo di condanna definitiva ed il proprio avvocato. Il Giudice colma il vulnus normativo facendo leva sul diritto di difesa. A fronte del vuoto normativo, quindi, occorrerebbe applicare i principi sanciti dalla Corte Costituzionale con la sentenza 212/1997, avente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, nella parte in cui non prevedeva il diritto del detenuto a titolo di pena definitiva di conferire liberamente con il difensore fin dall’inizio dell’espiazione e ciò al fine di poter esplicare appieno il diritto di difesa. Il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria impugna l’ordinanza del M.S., deducendo il vizio di violazione di legge le conversazioni telefoniche con il difensore rientrerebbero nell’ambito applicativo della disciplina penitenziaria della più generale corrispondenza telefonica, regolata dagli articolo 18 comma 5 ord. penumero e 39 org. penumero , non essendo quindi passibili di stravaganti interpretazioni. Le restrizioni ci sono. La Suprema Corte ritiene che il ricorso sia fondato. Invero, la stessa si era già precedentemente pronunciata in materia, affermando che la disciplina di cui al D.P.R. 230/2000 in tema di colloqui telefonici dell’internato articolo 39 si riferisce anche a quelli con il proprio avvocato tale norma, infatti, fissa un limite numerico settimanale di telefonate e sottopone le eventuali deroghe alla discrezionale valutazione del Direttore dell’Istituto Penitenziario. Ciò risponde all’evidente necessità di gestione tecnica degli impianti audio fonici, non comportando, però, una violazione del diritto di difesa, in considerazione della libertà del detenuto nell’intrattenimento di contatti grafici e personali con il difensore, essendo sempre possibile, senza limitazione alcuna, l’effettuazione di colloqui visivi. Parità di trattamento tra detenuti con condanna definitiva e a titolo cautelare. Nessuna distinzione può essere effettuata in relazione alla definitività o meno del titolo custodiale l’articolo 39, comma 4, D.P.R. 230/2000, infatti, parifica le condizioni di coloro che sono ristretti in forza di sentenza di primo grado a coloro che lo sono in forza di misura cautelare custodiale. Diversi i colloqui telefonici da quelli visivi. Gli Ermellini censurano la prospettazione del Magistrato di Sorveglianza, secondo cui vi sarebbe equiparazione tra i contatti telefonici e quelli visivi sussiste un’ontologica differenza tra i due, dal momento che i primi comportano scelte di gestione tecnica degli impianti audio, di cui l’Amministrazione Penitenziaria si fa carico mediante appositi provvedimenti autorizza tori proprio da questa diversità discende, per l’appunto, la previsione di un limite numerico per i primi e la assoluta libertà di effettuazione quanto ai secondi. L’articolo 39, D.P.R. 230/3200, inoltre, stabilisce che i Direttori carcerari ben possano autorizzare i detenuti ad effettuare conversazioni telefoniche con i difensori anche al di fuori dei limiti legali, a patto che gli stessi rappresentino, seppur sommariamente, quali siano i motivi di urgenza o di rilevanza a sostegno dell’istanza. In tale maniera, non può ritenersi minacciato il diritto di difesa il detenuto può liberamente incontrare il difensore, può intrattenere corrispondenza epistolare, può colloquiare telefonicamente entro il limite fissato dalla legge e, in caso di necessità sommariamente indicata , può addirittura ottenere il permesso di colloqui aggiuntivi. Per questi motivi, la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza impugnata e ha rinviato, per un nuovo esame, da condursi alla luce di principi da essa esposti, allo stesso Magistrato di Sorveglianza.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 maggio - 26 settembre 2013, numero 40011 Presidente Giordano – Relatore Santalucia Ritenuto in fatto Il Magistrato di sorveglianza dell'Aquila ha dichiarato, in favore del detenuto G A. , il diritto di effettuare colloqui telefonici con il proprio difensore senza le limitazioni al numero di colloqui previsto dall'articolo 39 reg. penumero ed ha altresì dichiarato che non compete all'Amministrazione alcun potere di valutazione discrezionale della richiesta di colloqui telefonici con il difensore, imponendole di consentire i colloqui telefonici del detenuto a semplice richiesta. Ha in particolare osservato che nessuna norma dell'ordinamento penitenziario, e del regolamento di esecuzione, disciplina espressamente la materia della corrispondenza telefonica tra il detenuto per titolo di condanna definitivo e il difensore. Di fronte a tale vuoto normativo, deve aversi riguardo ai principi enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 212 del 1997, che ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 18 nella parte in cui non prevede che il detenuto condannato in via definitiva ha diritto di conferire con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della pena, e specificamente che il diritto di difesa deve potersi esplicare in relazione a qualsiasi possibile procedimento contenzioso suscettibile di essere instaurato per la tutela delle posizioni garantite, e dunque anche in relazione alla necessità di preventiva conoscenza e valutazione - tecnicamente assistita - degli istituti e rimedi apprestati allo scopo dall'ordinamento. Il diritto. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso, per mezzo dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria -, deducendo - violazione di legge. Le conversazioni telefoniche del detenuto con il difensore, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, rientrano nell'ambito di applicazione della disciplina penitenziaria generale della corrispondenza telefonica di cui agli articolo 18 comma 5 ord. penumero e 39 reg. penumero Su questa premessa, l'Amministrazione penitenziaria ha invitato i Direttori degli istituti penitenziari a fare ampio uso, in riguardo ai detenuti del circuito di media sicurezza, del potere discrezionale di consentire corrispondenza telefonica, anche difensiva, oltre i limiti numerici stabiliti nell'articolo 39 comma 2 reg. penumero , ove ricorrano motivi di urgenza o di particolare rilevanza, indicati nel medesimo articolo al comma 3. Oltre alla possibilità di avere contatti telefonici, così interpretativamente ampliata, il detenuto ha il diritto, senza limitazione alcuna, di contatti visivi, epistolari e telegrafici con il difensore. A fronte di tale quadro normativo, il giudice ha errato nel ritenere che vi sia una lacuna di regolazione per quanto attiene ai contatti telefonici con il difensore, dimenticando che l'articolo 35, comma 5, disp. att. c.p.p. prescrive che, quando sono autorizzati colloqui telefonici fra l'imputato detenuto e il suo difensore, non si applica la disposizione che consente la registrazione e l'ascolto delle conversazioni, così attestando che anche i colloqui telefonici con il difensore sono soggetti ad autorizzazione e non sono assolutamente liberi. L'equiparazione fatta tra colloqui telefonici e colloqui visivi non tiene conto delle differenze normative e sostanziali tra questi ultimi ed i primi. Ha poi depositato memoria G A. , con cui ha dedotto l'inammissibilità dell'impugnazione perché il ricorso è stato depositato nella cancelleria del Tribunale di sorveglianza dell'Aquila e non già in quella del magistrato di sorveglianza dell'Aquila, che è il giudice che ha emesso il provvedimento. Ha quindi replicato alle argomentazioni di ricorso, affermandone la manifesta infondatezza. Considerato in diritto Deve preliminarmente rilevarsi l'ammissibilità del ricorso, perché ritualmente proposto. Esso è stato depositato presso la cancelleria del Tribunale di sorveglianza dell'Aquila, come si rileva dal timbro apposto su di esso, che non può considerarsi cancelleria di un giudice diverso - il Magistrato di sorveglianza dell'Aquila - che ha emesso il provvedimento impugnato, dal momento che il Tribunale non ha una struttura di cancelleria autonoma rispetto a quella del Magistrato del luogo ove ha sede la Corte di appello. Non può dirsi, pertanto, che sia stata violata la disposizione di cui all'articolo 582 in relazione all'articolo 591 cod. proc. penumero , in forza della quale l'atto di impugnazione, salvo che sia altrimenti disposto dalla legge, deve essere presentato, a pena di inammissibilità, nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il ricorso, oltre che ammissibile, è fondato, per le ragioni di seguito esposte. Questa Corte ha avuto già modo di affermare che “la disciplina di cui al D.P.R. numero 230 del 2000 in tema di colloqui telefonici, per i quali sussiste un limite numerico settimanale e la sottoposizione alla valutazione del direttore dell'istituto di pena, si riferisce anche al difensore, atteso che il legislatore ha inteso limitare i colloqui telefonici per problemi di gestione tecnica degli impianti, e che in dipendenza di ciò non si configura una violazione del diritto di difesa in quanto il detenuto può mantenere contatti grafici e visivi con il proprio difensore senza apposizione di limiti” - Sez. 1, numero 43154 del 14/10/2004 dep. 4/11/2004 , Roccalba, Rv. 230094 -. Il principio deve essere ribadito, senza che possa farsi distinzione tra detenuti per condanna definitiva e detenuti ancora sottoposti a processo, dato che l'articolo 39, comma quattro, del d.P.R. numero 230 del 2000, nel prescrivere testualmente che “gli imputati possono essere autorizzati alla corrispondenza telefonica, con la frequenza e le modalità di cui ai commi 2 e 3, dall'autorità giudiziaria procedente o, dopo la sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza”, parifica le due condizioni. Non è infatti corretta l'impostazione interpretativa fatta propria dal Magistrato di sorveglianza che ha equiparato i colloqui visivi con il difensore a quelli telefonici, i quali ultimi, invece, impegnano inevitabilmente, per il loro svolgimento, scelte di gestione tecnica degli impianti, di cui l'Amministrazione penitenziaria non può non farsi carico attraverso appositi provvedimenti autorizzatori. La disposizione di cui all'articolo 35, comma cinque, disp. att. c.p.p., citata in ricorso, è un importante indice normativo dell'assenza di lacune di previsione e smentisce la premessa del ragionamento interpretativo sviluppato dal provvedimento impugnato, in forza del quale corrispondenza telefonica con il difensore e colloqui visivi con lo stesso devono essere regolati allo stesso modo e senza alcun potere di limitazione in capo all'Amministrazione. Questa Corte, con la sentenza numero 20163 del 2011 di questa stessa Sezione, ha sul punto precisato che le disposizioni del Regolamento penitenziario, sì come interpretate alla luce della circolare ministeriale dell'aprile 2010, pur essa citata nel ricorso ora in esame, consentono al direttore dell'Istituto di pena di autorizzare i detenuti a effettuare conversazioni telefoniche con i propri difensori al di là dei limiti numerici indicati, sempre che il detenuto rappresenti, anche sommariamente, motivi di urgenza o di particolare rilevanza. Ed ha però chiarito che l'esercizio del diritto di corrispondenza telefonica con il difensore “deve necessariamente trovare un contemperamento nelle esigenze di tutela della collettività esprimibile con l'esercizio di un potere di controllo da parte degli organi preposti su soggetti condannati”, senza che sia prospettabile il pericolo di nocumento alle strategie difensive del condannato, a cui è fatto carico unicamente di una concisa e sintetica indicazione delle ragioni sottese alla richiesta di colloquio, neanche oggetto di comunicazione all'autorità giudiziaria, e non anche dei dettagli delle scelte difensive da fare o valutare unitamente al difensore. Il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato, con rinvio al giudice che lo ha emesso perché provveda ad un nuovo esame, da condursi alla luce dei principi di diritto appena indicati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Magistrato di sorveglianza dell'Aquila.