In tema di reati tributari, e segnatamente con riguardo ai reati in materia di dichiarazione, nel concetto di fatture per operazioni inesistenti devono comprendersi non solo le fatture emesse per operazioni mai effettuate, ma anche quelle relative a prestazioni soggette ad un regime giuridico e fiscale diverso da quello apparente.
Ne consegue che detrae indebitamente l’IVA l’imprenditore che emette fatture per prestazioni totalmente diverse da quelle che sono state realmente poste in essere nella specie, si trattava di prestazioni, dedotte in fattura, di attività lavorativa di tipo artigianale, in luogo di intermediazione di mano d’opera . Lo ha ribadito la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 38754, depositata il 4 ottobre 2012. La nozione di fatture false Particolare importanza assume, con riguardo al delitto di cui all’articolo 2 d.lgs. numero 74/2000, la nozione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. A tal proposito, occorre far riferimento alla definizione “autentica” di fattura, contenuta nell’articolo 1, comma primo, lett. a , del medesimo decreto. In base alla suddetta norma, sono rilevanti tanto le fatture, quanto tutti quei documenti aventi analogo valore probatorio sotto il profilo fiscale quali ricevute, note, conti, parcelle, contratti, documenti di trasporto, note di addebito e di accredito, etc. , che abbiano ad oggetto operazioni mai avvenute dal punto di vista materiale, e quindi esistenti solo sulla carta. Quanto alla nozione di operazione inesistente, essa viene tradizionalmente tripartita dalla dottrina penale tributaria con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti in quanto mai effettuate, totalmente o parzialmente , sovrafatturazioni consistenti nell’aumento fittizio di passività in parte esistenti ed operazioni soggettivamente inesistenti in quanto concluse fra soggetti in tutto o in parte diversi da quelli che le hanno poste in essere . Nello specifico, le sovrafatturazioni ricorrono nel caso in cui la fattura sia emessa per un corrispettivo maggiore di quello effettivamente corrisposto, al fine di precostituire elementi passivi fittizi in grado di garantire un maggiore abbattimento dell’imponibile, e quindi dell’imposta. In tema di inesistenza soggettiva, invece, occorre distinguere fra la cosiddetta interposizione fittizia e quella reale. La prima figura ricorre quando l’operazione è in realtà avvenuta, ma fra soggetti diversi da quelli dichiarati, e tutti i soggetti di essa vogliono che gli effetti del negozio si producano nei confronti di una persona diversa da quella che appare nell’atto. L’interposizione reale si ha invece quando gli effetti della vendita si producono realmente in capo all’acquirente, e quindi manca un accordo simulatorio. Pertanto, affinché possano aversi effetti tributari penalmente rilevanti, occorre che una terza persona di solito un nullatenente ponga in essere un successivo negozio di trasferimento in favore di un altro soggetto. Nell’interposizione reale, è dunque l’interposto il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, che nasce dal “fatto-presupposto” a sua volta originatosi dal compimento del negozio giuridico con il terzo. L’inesistenza dell’operazione indicata in dichiarazione può essere anche solo giuridica si tratta, per lo più, dei casi in cui la fattura o il diverso documento attesti una cessione di beni od una prestazione di servizi diversa da quella che le parti hanno consapevolmente e volontariamente “dissimulato”. Può citarsi il caso in cui il contribuente faccia figurare un mutuo quale prestazione di un servizio come, ad esempio, il leasing oppure può effettuare un acquisto non inerente all’attività economica o professionale esercitata, dichiarandolo invece come tale. comprende pure l’inesistenza giuridica delle operazioni. La sentenza in commento si pone in chiara controtendenza rispetto all’orientamento di una parte della giurisprudenza di merito, la quale pone l’accento sulla definizione normativa di operazioni inesistenti, contenuta nel corpo dell’articolo 1, comma 1, lett. a , d.lgs. numero 74/2000, secondo cui devono considerarsi tali solo le transazioni non realmente effettuate. Ne consegue che, in caso di mendacio che riguardi esclusivamente la qualificazione giuridica di un’operazione realmente esistita, non potrebbe aversi frode fiscale, e si imporrebbe dunque l’assoluzione del contribuente. Sempre con riferimento alla nozione penalmente rilevante di fattura, i giudici di merito hanno affermato che, in materia penal-tributaria, rileva soltanto, a proposito dell'emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, la divergenza fra la realtà commerciale sottesa al documento e la rappresentazione che ne viene data in esso, non anche la corretta interpretazione delle norme tributarie in relazione ad ipotetiche manovre elusive. La conclusione cui perviene la Terza Sezione Penale della Cassazione è diametralmente opposta rispetto agli orientamenti testé richiamati in tema di reati finanziari e tributari, tra le “operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte”, di cui all'articolo 1, comma primo, lett. a , d.lgs. numero 74/2000, qualificate come “inesistenti” ai fini della configurabilità dei reati di cui agli articolo 2 ed 8 del citato decreto, devono intendersi infatti anche quelle “giuridicamente” inesistenti, ovvero quelle aventi una qualificazione giuridica diversa.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 settembre – 4 ottobre 2012, numero 38754 Presidente Squassoni – Relatore Lombardi Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata il G.U.P. del Tribunale di Udine ha dichiarato non luogo procedere nei confronti di P.M. , perché il fatto non sussiste, in ordine al reato di cui all'articolo 2 del D. Lgs numero 74/2000. Nei confronti del P. era stata formulate richiesta di rinvio a giudizio in ordine a detto reato, ascrittogli, perché, nella quatte di legale rappresentante della società Verniciatura 2005 S.r.l., al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, si avvaleva di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società Arthena S.r.l., fatture che utilizzava, quali elementi passivi fittizi, nella dichiarazione annuale relativa all'anno 2006 per un importo di Euro 56.844,49. Nel confronti del P. era stata anche formulata richiesta di rinvio a giudizio per il reato di cui all'articolo 18, comma 2, del d.lgs. numero 276/2003 con riferimento al quale veniva emessa pronuncia di non luogo a procedere per essere estinto per prescrizione. Quanto al reato tributario il giudice di merito ha accertato che la società Arthena svolgeva unicamente attività di intermediazione di mano d'opera in favore di numerose aziende. La Arthena assumeva direttamente gli operai che poi venivano utilizzati dalle aziende operatrici. Queste ultime versavano il corrispettivo delle prestazioni degli operai alla Arthena previo rilascio da parte di quest'ultima di fatture il cui importo corrispondeva alle retribuzioni degli operai. La finalità dell'operazione, secondo quanto si legge in sentenza, era di evitare alle società utilizzatrici gli oneri previdenziali ed assistenziali connessi alla stipula del contratto di lavoro e di detrarre l’IVA esposta nelle fatture emesse dalla società appaltatrice della mano d'opera. Il giudice di merito ha escluso che le fatture emesse dalla Arthena rientrino nella categoria di quelle per operazioni inesistenti, essendo solo diverso l'oggetto della prestazione da quello rappresentato in fattura. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte territoriale, che, limitatamente al reato di cui all'articolo 2 del d.lgs. numero 74/2000, la denuncia per violazione ed erronea applicazione di legge. In sintesi, la pubblica accusa ricorrente deduce che nel concetto di fatture per operazioni inesistenti debbono comprendersi non solo le fatture emesse per operazioni mai effettuate, ma anche quelle relative a prestazioni soggette ad un regime giuridico e fiscale diverso da quello apparente. Nel caso in esame la Arthena emetteva fatture per apparenti prestazioni artigianali, eseguite con una propria organizzazione aziendale operazioni che di fatto venivano effettuate presso la società utilizzatrice delle fatture. Lo stesso giudice di merito ha Indicato tra le finalità dell'operazione quello dell'indebita detrazione dell’IVA, imposta non detraitele per il corrispettivo di mere prestazioni lavorative, con la conseguente sussistenza del reato ascritto all'imputato. Si chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al predetto reato di cui all'articolo 2 del d.lgs. numero 74/2000. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Ai sensi dell'articolo 1, comma 1 lett. a del d.lgs. numero 74/2000 per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si intendono te fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o Imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi È stato già precisato da questa Corte che devono essere qualificate come inesistenti te fatture emesse per operazioni aventi natura giuridica diversa da quella indicata, sez. 3, 06/03/2008 numero 13975, P.M. in proc. Carcano, Rv 239910. Orbene, nel caso in esame le prestazioni per le quali sono state emesse fatture sono totalmente diverse che quelle che sarebbero state realmente poste in essere intermediazione di mano d'opera invece che prestazioni di attività lavorativa di tipo artigianale di cui alle fatture con la conseguente insussistenza giuridica e di fatto delle prestazioni per le quali le predette fatture sono state emesse. Non appare, pertanto, corretto l'assunto del G.U.P. per il quale anche l'intermediazione di mano d'opera costituirebbe un'operazione esistente infatti, se non si può disconoscere che lo sia dal punto di vista fenomenico, è altrettanto evidente che non è l'operazione riferita dalle fatture, mai posta in essere, e dunque inesistente. In conclusione, è vero che un'operazione esiste, ma non quella documentata, che è la sola presa in considerazione, agli effetti penali, dal d.lgs. numero 74 del 2000. Il fine di ottenere il riconoscimento di un indebito credito di imposta, peraltro, è affermato nella stessa sentenza. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata limitatamente al reato di cui all'articolo 2 del d.lgs. numero 74/2000 con rinvio al Tribunale di Udine. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Udine limitatamente ai reato di cui all'articolo 2 del d.lgs. numero 74/2000.